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venerdì 18 dicembre 2020

Parola Parlata e Parola scritta - Lettera di Pasolini al direttore de Il Dramma- Risposta di Piero Sanavio

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro





P. P. P.
Parola  Parlata   e  Parola  scritta
Lettera di Pasolini (mai ripubblicata altrove) tratta da:
Il Dramma
Anno 45 - numero 14-15 - novembre-dicembre 1969

Indice:

*

Gentile Direttore, leggo l’intervista pubblicata nell’ultimo numero di ≪ Il Dramma ≫, dovuta al registratore e alla penna di Piero Sanavio: il registratore per me, la penna per lui. Ciò e, lo dico subito, molto sleale. Se il Sanavio ha sentito il bisogno di correggere e rifare le sue domande e i suoi interventi, doveva dare a me la stessa possibilità. Egli è arrivato a casa mia con una faccia da scolaro innocente e inquieto, e come a uno scolaro innocente e inquieto ho parlato, cercando di semplificare le cose: basta che il lettore di ≪Il Dramma≫ dia un’occhiata a ≪ Nuovi Argomenti ≫, le due ultime annate, per ricostituire nella loro integrità e complessità i discorsi che ho fatto con questo giovane giornalista: che non sapevo essere un piccolo Gerione.
Insomma: la parola orale non e la parola scritta. La registrazione rende scritta la parola orale illecitamente. Parlando a voce alta si usa infatti un ≪ sistema di segni ≫ diverso dal ≪ sistema di segni ≫ che si usa scrivendo: ci sono in più le intonazioni di voce, i sorrisi, le serietà, i gesti, tutti gli atteggiamenti psicologici della mimica e della presenza fisica, riproducibili attraverso uno strumento audiovisivo, semmai, non unicamente auditivo. Inoltre, parlando, i due interlocutori accettano la convenzione delle frasi sospese, dell’imprecisione dei vocaboli, delle interruzioni allusive, dei cambiamenti di senso dovuti a diverse espressioni, ecc.
Non nego il valore, relativo, di una riproduzione di un discorso al registratore: è un documento puro e semplice, che può comunque servire. Ma il nostro piccolo Gerione (che passera tutta la vita a fare più o meno quello che fa, senza andare ne avanti ne indietro) se ne serve lui. Infatti corregge, amplifica, correda di documenti e citazioni le sue domande e le sue obiezioni: le trasforma cioè da lacerti del sistema di segni orale in lacerti del sistema di segni scritto: vi scompaiono le ingenuità, le rozzezze, e quell’aria indifesa che è l’unico sapore e l’unico valore, in definitiva, del discorso fatto al magnetofono: lascia a me dunque tutti i balbettamenti e i sensi dei segni dimidiati (un segno pronunciato sorridendo ha un senso, pronunciato seriamente o con tono di noia ne ha un altro). Ne è uscita una intervista sgradevole, in cui questo italiano medio e privo di ogni qualità fa la parte del predicatore, e fa fare a me la parte dell'autore incapace o quasi di esprimersi o difendersi. Questo non mi dispiace: so benissimo che parlo male, soprattutto davanti a personaggi come il Sanavio, che non ho voglia di prendere in considerazione, perchè non trovo in essi niente, e il cui moralismo nel tempo stesso mi fa perdere la testa. So benissimo che non ho doti di parlatore, per apprensione, per timidezza, ecc. Perciò non mi lamento di ciò che, con l’oggettività relativa dovuta alla confusione dei sistemi di segni che dicevo, appaio nell'intervista pubblicata su ≪ Il Dramma ≫. O meglio, non mi lamenterei, se ≪ tutto ≫ ciò che il nastrino del registratore conteneva fosse stato trascritto fedelmente nelle pagine della sua rivista: allora si sarebbe trattato di un documento (anche della mia incapacità a parlare con un intervistatore che in cuor suo mi disprezza): mentre cosi mi da l’aria di uno scrittore colto in fallo e redarguito: e questo non è piacevole. La prego perciò di dire fraternamente al suo collaboratore di astenersi in seguito da manipolazioni che mettano lui in una luce santa e giusta e l’intervistato in una luce falsa e magari un po sciocca. 


Mi scusi l’incertezza tra lettera di protesta e soggetto di semiologia, e riceva i cordiali saluti del suo 
Pier Paolo Pasolini


Caro Pasolini, mi dispiace che si sia irritato per l’intervista, che, comunque, riflette fedelmente ciò che lei mi ha detto, al punto che lei stesso non ha potuto obbiettarmi nulla di sostanziale. Lei parla di differenza tra parola parlata e parola scritta: e mi accusa di avere cambiato i miei interventi. L'assicuro che ho solo cambiato la punteggiatura. Se da parte sua lei voleva rivedere il suo testo, non aveva che da chiederlo. Mi meraviglio che, non avendolo chiesto, si lamenti adesso per non averlo fatto.

Piero Sanavio








Curatore, Bruno Esposito

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