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venerdì 18 dicembre 2020

Pasolini - Roma, stupenda e misera città.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro





Roma
[...] 
Stupenda e misera città, 
che m'hai insegnato ciò che allegri e feroci 
Gli uomini imparano bambini, 
le piccole cose in cui la grandezza 
della vita in pace si scopre, come 
andare duri e pronti nella ressa... Stupenda e misera 
città che mi hai fatto fare 
esperienza di quella vita 
ignota: fino a farmi scoprire 
ciò che, in ognuno, era il mondo.

Però, da cinque o sei anni tutto questo è finito. 

[...] Perché finché il protagonista della vita romana era il popolo, Roma è rimasta una metropoli, una metropoli scomposta, disordinata, divisa, frazionata, ma comunque una grande, confusa, magmatica metropoli. Nel momento, invece, in cui s'è compiuta l'acculturazione, attraverso soprattutto i mass-media, il modello del popolo romano non è più nato da sé stesso, dalla propria cultura, ma è stato un modello fornito dal centro: e da quel momento Roma è diventata una delle tante piccole città italiane. Piccolo borghesi, meschine, cattoliche, impastate di inautenticità e di nevrosi. 

[...] Questo processo di acculturazione, cioè di trasformazione delle culture particolari e marginali in una forma di cultura centrale che omologa tutto, è avvenuto pressoché contemporaneamente in tutta Italia. A ciò hanno concorso diversi elementi. Lo sviluppo della motorizzazione, per esempio. Quando cade il diaframma delle distanze, vengono meno anche certi modelli umani. Oggi il ragazzo della borgata inforca la motoretta e viene "al centro". Non si dice neanche più, come si diceva, "vado dentro Roma". Il centro li ha raggiunti. È finita l'avventura. Il ricambio tra centro e periferia è rapido e continuo. 

[...] C'è un diaframma tra il centro e la periferia. Fino a qualche anno fa erano addirittura due città diverse. Adesso in apparenza un po' meno. 

[...] Prima gli uomini e le donne delle borgate non sentivano nessun complesso di inferiorità per il fatto di non appartenere alla classe cosiddetta privilegiata. Sentivano l'ingiustizia della povertà, ma non avevano invidia del ricco, dell'agiato. Lo consideravano, anzi, quasi un essere inferiore, incapace d'aderire alla loro filosofia. Oggi, invece, sentono questo complesso d'inferiorità. Se osserva i giovani popolani vedrà che non cercano più di imporsi per quello che essi sono, ma cercano invece di mimetizzarsi nel modello dello studente, addirittura si mettono gli occhiali, anche se non ne hanno bisogno, per avere un'aria da "classe superiore".

(Da un'intervista di Luigi Sommaruga, Il Messaggero, Roma, 9 giugno 1973)




Curatore, Bruno Esposito

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