"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini
Liberalizzazione reale
Vie Nuove
numero 38
23 settembre 1965
pag. 30
( © Questa trascrizione da cartaceo, è stata curata da Bruno Esposito )
Recentemente, «Il Mondo» è sceso in polemica con la rubrica di Pier Paolo Pasolini, pubblicata in queste pagine, tentando di identificare in essa – e in «Vie nuove» – le linee della politica culturale del PCI. Tentativo evidentemente assurdo e privo di ogni concretezza. Lo stesso Pasolini, del resto, in questo numero della sua rubrica, chiarisce la reale portata della propria posizione personale.
Un corsivista del «Mondo» è intervenuto nel dialogo tra i lettori di «Vie nuove» e me, sul tema della crisi del marxismo, e più precisamente, della crisi della politica culturale del PCI (cfr. la mia lettera del n. 34). Non direi che si tratti del più attento dei corsivisti del «Mondo»: giurerei, per esempio, che non si tratta di Gorresio, il quale è solito documentarsi, leggere e capire prima di intervenire nelle polemiche, e non è abituato a perdere tempo nei caffè allo scirocchetto romano, adottando nelle discussioni letterarie l’infingarda abilità delle signore borghesi poco inclini alla lettura. Bastava che il corsivista del «Mondo» si limitasse a leggere, almeno, i mie corsivi nella loro intera serie. Se egli mi accusa in buona fede di non amare la liberalizzazione post-stalinista e di rimpiangere gli «ordinamenti dall’alto», le direttive ecc., una lettura decente di quei miei scrittarelli espistolari su «Vie nuove» gli sarebbe anche bastata a desistere, in limine, da una così folle interpretazione della mia operazione critica. Ho tuttavia qualche buona ragione per credere che egli non sia in buona, ma in cattiva fede: e a spiarlo è la sua veramente antidiluviana congettura (il vecchio sogno dovuto a cattiva coscienza) di un diabolico piano comunista, per cui io, non sospettabile, sarei mandato in avanscoperta ecc. Ma non mi va neanche di continuare a riassumere una simile sceneggiata dei tempi della guerra fredda e di Scelba. (Anche il colpo basso di definirmi cattolico e, infine, «borghese» risale a quei tempi: sono borghese, certo…)
Tuttavia io sono tenuto a presupporre la buona e non la cattiva fede in chi mi critica. E allora, oltre agli ingenui consigli a essere un po’ meno indolente e sicuro di sé stesso, sarò tenuto a dare qualche chiarimento.
Nella mia polemica con la politica culturale del PCI, io mi batto per una liberalizzazione reale.
Ogni liberalizzazione che si richiami ai principi classici – e passati al senso comune del liberalismo – è ontologica: ossia si riferisce a un significato del termine libertà non critico, ma semplicemente «dato» (e nella fattispecie «ritrovato»).
Una liberalizzazione di «buon senso», dunque, implicante un regresso all’ontologia liberalistica, è un’operazione irrazionale: non è decisamente marxista, se il marxismo implica una totale razionalizzazione delle diagnosi e delle impostazioni dei problemi.
Questa «interruzione del pensiero marxista», nel comma culturale del X Congresso del PCI, non si può spiegare che come atto interlocutorio: in attesa che una nuova elaborazione culturale antistalinista porti a qualcos’altro che all’agnosticismo.
Tale intelocutorietà è appunto quello che io critico: perché mi sembra – e lo è – una mossa tattica di attesa, e, insieme, una mossa tattica di apertura verso certe forze culturali che, non ben definite oggi, domani possono far comodo (e che comunque anche oggi garantiscono una certa «presenza» di chi se ne dimostra interessato).
Ebbene, il tatticismo è l’altra faccia del dogmatismo. Nell’atto stesso in cui il PCI compie delle mosse tattiche, anche abili, dimostra di non avere superato il vecchio dogmatismo, o almeno la rigidità moralistica dell’ideologia. Naturalmente io mi tengo sul piano della cultura, e non mi azzardo a criticare le «mosse tattiche» in altri campi.
Per un uomo di cultura, il pensiero deve essere lasciato al suo stato di pensiero: per un uomo politico il pensiero può essere anche pretestuale. La mia critica alla politica culturale del PCI si risolve dunque in una opposizione – che va risolta – tra potere e cultura.
Ciò che io chiedo al potere (in Italia al «futuro» potere: ma in Cecoslovacchia, in Ungheria, in Polonia, in Romania al potere «presente») è di garantire la libertà non di nome, ma di fatto, cioè non attraverso una enunciazione tattica, ma attraverso una elaborazione del pensiero.
Nuovi argomenti
Ora, tale elaborazione del pensiero – del pensiero marxista – pare interrotta, a causa di una – certo momentanea – incapacità del marxismo ad afferrare alcune «novità» del neo-capitalismo, e di intervenire, in qualità di pensiero-guida, nei problemi che la nuova sociologia ha individuato e impostato.
Non è certo un comma degli atti di un congresso la sede più adatta per una simile ripresa dell’elaborazione del pensiero marxista – che ritrovi la funzione di guida degli anni Cinquanta: tuttavia il comma si può prestare benissimo a riassumere discussioni fatte più compiutamente altrove, a fare il punto, e a presentarsi quasi come il capoverso di un contratto. Ora, tale pretesa, per me e per molti altri intellettuali italiani, non è una mera pretesa formale di democraticità: lo è anche.
Ma è soprattutto il desiderio, di una ripresa massiccia e magari temeraria della presenza del pensiero marxista, la cui autenticità democratica sia garantita da un’autocritica reale degli errori del passato, da un abbandono motivato delle vecchie posizioni, e da una liberalizzazione reale dei rapporti con gli scrittori. I quali ultimi sono usciti molto malconci dal balletto sociologico, e hanno bisogno di ricordare che i loro «prodotti» (si dice adesso così) hanno come «destinatari» o «consumatori» non soltanto i contemporanei, ma anche i posteri.
Sarebbe come se il calzaturificio di Varese, oltre che produrre scarpe che vadano bene almeno fino alla Pasqua del ’66, producesse scarpe per il 2000, il 2100 ecc., per piedi e per marciapiedi di pronipoti Di qui la «figura economica extravagante» dello scrittore (e quindi l’erronea impostazione di protezione dello scrittore negli Stati socialisti), la mal definibile analogia omologica dei suoi prodotti con le strutture della società ecc. ecc. ecc.
I problemi sono complicati e sconfinati. Qui non posso che limitarmi a dire al lettore di «Vie nuove» che, quanto a me, sto scrivendo pagine e pagine sugli argomenti che ho qui schematicamente indicato. E inoltre posso annunciare che col gennaio del 1966 uscirà una nuova serie di «Nuovi Argomenti», edita dagli Editori Riuniti, alla cui direzione io mi affiancherò a Moravia e Carocci. Tale rivista – che si presenta tecnicamente come una «rivista per preparare una rivista» – sarà la sede dei discorsi critici di chi non intende ripartire «da zero», e cerchi di affrontare razionalmente e marxisticamente la crisi del marxismo in campo culturale, l’alternativa al regresso avanguardistico, l’impostazione «reale» dei nuovi problemi che hanno rovesciato e fatto invecchiare di colpo il pensiero marxista degli anni Cinquanta (e con esso i suoi avversari liberali, che sono irrimediabilmente legati a quel tipo di anticomunismo).
Pier Paolo Pasolini





Nessun commento:
Posta un commento