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Saggi "Corsari" - Saggi e scritti su Pier Paolo Pasolini

sabato 8 novembre 2025

Nico Naldini: "Un paese di temporali e primule" di Pier Paolo Pasolini - Temporali, primule e memoria: un paesaggio narrativo che intreccia tempo, luoghi e affetti.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

Nico Naldini:


"Un paese di temporali e primule"


Temporali, primule e memoria:
un paesaggio narrativo che intreccia tempo
luoghi e affetti di Pier Paolo Pasolini

Guanda, 1993

"Un paese di temporali e di primule" rappresenta una delle principali chiavi di lettura non solo per esplorare la produzione letteraria friulana di Pier Paolo Pasolini, ma anche per comprendere l'apporto critico, documentale ed emotivo di Nico Naldini, poeta, scrittore e cugino dello stesso Pasolini. Attraverso la cura minuziosa di questa antologia, pubblicata da Guanda per la prima volta nel 1993 e più volte rieditata (ultima nel 2015), Naldini offre al pubblico un'opera imprescindibile che ricostruisce la fitta ragnatela di suggestioni, temi, soprassalti emotivi, riflessioni linguistiche e politiche che furono peculiari degli anni friulani (1945-1950) del poeta bolognese. Il volume non svolge soltanto la funzione di raccolta memoriale, ma si pone come luogo di interpretazione e testimonianza, assegnando al Friuli e alla lingua friulana una centralità insostituibile nella formazione di Pasolini uomo, intellettuale e artista.

"Un paese di temporali e di primule" si presenta come una raccolta di scritti tra i più rappresentativi della “stagione friulana” di Pier Paolo Pasolini, compresi tra il 1945 e il 1951. Questa antologia, curata da Nico Naldini, seleziona e organizza materiali eterogenei (narrativa, mémoire, saggistica, appunti pedagogici, approfondimenti linguistici) che avevano conosciuto originariamente una disseminazione su riviste, giornali, quaderni culturali e raccolte parziali.

Il libro è suddiviso in quattro sezioni fondamentali:

1. Foglie Fuejs: La più estesa, raccoglie racconti e prose di natura autobiografica, “elzeviri narrativi”, pagine di memoria dell’infanzia e della giovinezza tra Casarsa, Versuta, Valvasone, la campagna friulana, i compagni di giochi, la famiglia, la realtà delle feste religiose e popolane. Tra i testi emblematici si ricorda "La rondinella del Pacher", racconto penetrato poi – con modeste variazioni – in "Ragazzi di vita". Questi brevi testi testimoniano la precoce creatività narrativa e la fondamentale influenza della provincia sulla fantasia pasoliniana.

2. Di questo lontano Friuli: La seconda sezione accoglie scritti e saggi sulla lingua friulana, in cui Pasolini argomenta della sua “invenzione poetica” in friulano, con riflessioni glottologiche e poetiche che saranno significativamente riprese in opere saggistiche posteriori (specialmente in "Passione e ideologia"). In queste pagine si avverte la tensione alla ridefinizione di una lingua regionale che sappia andare oltre la funzione vernacolare o lo spazio di un dialetto.

3. Il Friuli autonomo: Qui compaiono scritti dal taglio civile e politico, in cui Pasolini si misura con la questione dell’autonomia regionale. Il “Friuli autonomo” rappresenta il tema della necessità di una regione non solo amministrativa ma autenticamente distinta per storia, lingua, cultura. Si delineano così le tensioni di un regionalismo “di sinistra”, capace di rispondere all’omologazione e al centralismo, con Pasolini attivamente coinvolto nella fondazione e nelle attività del Movimento Popolare Friulano.

4. Dal diario di un insegnante: La quarta parte raccoglie riflessioni pedagogiche nate dall’esperienza di Pasolini come insegnante, in particolare nella scuola privata di Valvasone e Versuta. Lì emergono le sensibilità, i metodi, le preoccupazioni, l’inclinazione quasi “maieutica” di Pasolini, che attraverso la poesia, la lettura e l’osservazione diretta cerca di avvicinarsi ai ragazzi, ai loro drammi, ingenuità, attese.

In appendice sono inoltre raccolti materiali inediti, scritti e poesie composte per gli scolari e altri testi saggistici o memorialistici, che completano un quadro vivido e polifonico del “Friuli pasoliniano” e delle sue molteplici traiettorie.

Pasolini vede nel Friuli la patria di un’umanità arcaica, ingenua – quasi un “Eden perduto” – dove resiste una civiltà contadina carica di riti arcaici, silenzi, legami profondi con la terra, le stagioni, i valori religiosi e familiari. Proprio la magia del “paese di temporali e di primule” (titolo ispirato a un passaggio di "Poeta delle ceneri") diventa simbolo di un ritorno alle origini, di una ricerca di purezza, di una nostalgia proiettata verso l’infanzia e il mito della madre. Egli impiega il friulano come lingua poetica, non dialetto. Mira a una “favella inventata”, sospesa fra la tradizione locale e un’aspirazione lirica universale, ricollegandosi agli studi di Ascoli sulla lingua ladina e ascendendo la lezione del Félibrige provenzale. Vi è in lui la ricerca di una lingua capace di esprimere la complessità dell’esperienza e del sentimento, superando la semplice annotazione folklorica o vernacolare. In questo orizzonte, la lingua diventa il luogo privilegiato di una “autonomia” non solo amministrativa, ma soprattutto culturale e politica. Uno degli snodi centrali degli scritti pasoliniani raccolti da Naldini è rappresentato dal tema dell’autonomismo. L’autonomia del Friuli è posta come necessità non solo “amministrativo-istituzionale” ma in senso storico e linguistico, come autodeterminazione di un popolo caratterizzato da stratificazioni etniche, culturali e storiche. Pasolini partecipa attivamente alle battaglie regionali del secondo dopoguerra, fino alla creazione del Movimento Popolare Friulano, manifestando posizioni anche divergenti rispetto alle linee dominanti della sinistra italiana e del PCI. Il rapportarsi con i ragazzi di Valvasone e Versuta introduce il tema della pedagogia nel vissuto pasoliniano. Vi troviamo la ricerca di un contatto autentico con l’infanzia, la difesa delle spontaneità, le difficoltà della marginalità, l’esperienza della povertà, dell’emigrazione. Nell’attività didattica e nell’invenzione di una poesia “plurale”, Pasolini sperimenta una forma di educazione sentimentale, politica, poetica unica nella letteratura italiana del secondo Novecento.

L’esperienza friulana di Pasolini – e dunque la materia di "Un paese di temporali e di primule" – è strettamente intrecciata con le drammatiche vicende della Seconda Guerra Mondiale e del primo dopoguerra. Il Friuli degli anni ’40 era stato investito dalle tragiche ondate dell’occupazione fascista e nazista, inclusa la presenza delle truppe cosacco-caucasiche alleate ai tedeschi e le relative violenze contro la popolazione. Il desiderio di autodeterminazione regionale, espresso da numerosi intellettuali e politici locali, si accompagna alle attività della Resistenza partigiana, con la tragica eco della strage di Porzûs (1945) e la morte di Guido Pasolini, elemento centrale nella biografia di Pier Paolo. Nel primissimo dopoguerra si manifestano forti spinte regionalistiche, la fondazione dell’Associazione per l’Autonomia Friulana (1945), la nascita del Movimento Popolare Friulano (1947) e il dibattito sulla specialità della regione (“statuto speciale” raggiunto nel 1963). Pasolini, sia come poeta sia in veste pubblicistica, prende parte attiva a queste lotte, elaborando una visione della “piccola patria” fondata sulla coscienza linguistica e culturale e appoggiando le richieste di un’autonomia non solo di nome ma di sostanza. Il passaggio epocale dal mondo contadino, chiuso e arcaico, a una modernità avvertita come omologante e spersonalizzante, attraversa l’intero arco degli scritti, facendosi tema costante sia di nostalgia che di cauta denuncia. Il Friuli, in questo senso, è osservato da Pasolini come luogo di resistenza culturale ma anche come territorio di lutti e di abbandoni, prologo ideale alla sua successiva attenzione delle periferie romane.

Il Friuli degli anni Quaranta e Cinquanta è assai più di uno sfondo; si pone come vero e proprio “laboratorio” di sperimentazione letteraria, linguistica e identitaria. In quest’epoca, la cultura friulana si presenta attraversata da spinte contraddittorie: da un lato il culto della tradizione, legata alla poesia di Zorutti e della Società Filologica Friulana; dall’altro, l’irruzione della modernità urbanizzante e la sconvolgente esperienza bellica. Pasolini, con la sua “Academiuta di lenga furlana” (fondata a Versuta nel 1945), riunisce giovanissimi poeti e artisti (tra cui Cesare Bortotto, Virgilio Tramontin, lo stesso Naldini) in un'esperienza di poesia collettiva, volta alla creazione di una lingua letteraria che si ponga in rapporto dialettico e mai subordinato con l’italiano e le culture europee. L’Academiuta fu la culla di una nuova poesia friulana, più attenta all’asprezza lirica dei sentimenti, alle esigenze di una modernità rurale attraversata da tragedie politiche e morali. Il tema della lingua regionale – mai intesa come dialetto secondario, ma come idioma di orgoglio e libertà – si irradia in tutte le riflessioni letterarie e militanti di Pasolini nonché negli scritti critici e biografici di Naldini, che qui si fa portavoce del “caso Friuli” nel dibattito letterario italiano postbellico. Si pensi anche all’influenza dei correnti regionaliste europee (il Félibrige provenzale è qui ripreso come modello glottologico, letterario e militante) e a una rinnovata attenzione verso le "piccole patrie romanze" come luoghi di resistenza alla modernità e al centralismo.


Dal punto di vista stilistico, "Un paese di temporali e primule" restituisce la molteplicità delle voci e delle strategie espressive pasoliniane degli anni friulani. Naldini dispone i testi secondo una progressione che accompagna il lettore attraverso la varietà dei registri (dal racconto breve alla prosa saggistica, dal memoir poetico all’articolo giornalistico). Si alternano pagine di lirismo accorato, dense di sinestesia e simboli naturali, a prose secche, quasi diaristiche, in cui emerge la cifra realistica del Pasolini cronista e pedagogista.

Lo stile si contraddistingue per questi tratti:

L’infanzia e la giovinezza a Casarsa e in Friuli sono trascritte “dal di dentro”, con uno sguardo insieme partecipe ed estraniante, dolente e mitizzante. La prosa pasoliniana si fa talora canto, ricca di immagini luminose, percezioni olfattive, sonorità arcaiche (vedi il brano sul “treno di Casarsa”).

Attenzione alla realtà rurale, ai paesaggi, ai volti, alle piccole cose: “la botteguccia di mia zia”, “i campi bruciati dal sole”, le “rogge”, le “rilucenti acque del Tagliamento”.

Sperimentalismo linguistico: In questi testi, Pasolini elabora una lingua “altra”, che mescola l’italiano a inserti friulani, recuperando arcaismi e parole “pure”, ma anche “sporcando” la lingua con gerghi locali e mescolanze. Questo dialogo fra italiano e marilenghe è la base della sua poetica della contaminazione e dell’invenzione.

Introspezione e pathos ideologico: Nei saggi sull’autonomia e nelle lettere al “Mattino del popolo”, emerge la passione civile di Pasolini, la tensione verso una “riappropriazione” della friulanità, l’ansia di una presa di posizione culturale e politica netta.

Naldini, da parte sua, accompagna i testi con un’introduzione capace di “introdurre dentro”, fondendo racconto soggettivo e sguardo storico, commento critico e testimonianza privata. Il risultato è un mosaico di voci e sguardi che restituisce in pieno la varietà dell’esperienza friulana come snodo decisivo della maturazione pasoliniana.

Nico Naldini – cugino stretto di Pasolini, ma anche poeta, critico, biografo, filologo raffinato – svolge fin dagli anni Ottanta un ruolo determinante nella ricostruzione del “mito” pasoliniano, specie per l’attenzione alla stagione friulana. L’introduzione di Naldini al volume, articolata e intensa, restituisce non solo fatti e date, ma soprattutto atmosfere, emozioni, peculiarità della giovinezza di Pasolini. Il rapporto familiare si intreccia all’analisi letteraria e storica, offrendo una visione dall’interno che, in molti passaggi, si trasforma in vero e proprio commento esistenziale. Grazie a Naldini, molti dei testi dispersi e meno noti della produzione friulana pasoliniana sono stati resi disponibili al grande pubblico, superando la dimensione di “letteratura minore” per collocarli nel canone nazionale.

Naldini, attraverso diverse opere (biografie, monografie, antologie) torna costantemente sul ruolo della lingua, della memoria familiare, della microstoria vissuta tra Casarsa, Valvasone, Versuta. In questo senso, "Un paese di temporali e primule" è l’opera che più di ogni altra cristallizza la funzione di Naldini come “passeur” tra la storia privata e la storia collettiva. Il suo lavoro non è solo conservativo, ma anche proattivo: Naldini difende la specificità del Pasolini friulano contro le semplificazioni del mito “romano”, favorisce convegni, mostre, riedizioni dedicate proprio alla riscoperta del periodo casarsese e del valore universale (non provinciale) della lingua friulana. Inoltre, Naldini si distingue per una scrittura limpida, empatica, intrisa di poesia e di misura narrativa, che rende l’introduzione e le note critiche altrettanto preziose quanto i testi antologizzati.

Le pagine di "Un paese di temporali e di primule" sono punteggiate da passaggi di acuta densità espressiva e simbolica. Alcune citazioni risultano particolarmente emblematiche della poetica pasoliniana:

"Rivedo una fotografia del ’29, in cui io con un vestito a righe marroni e bianche, compaio sul balcone della Canonica, insieme a una trentina di fanciullini, miei compagni di classe. E' straordinario, ancora non mi riesce di commuovermi di fronte al mio aspetto fiero, al mio ciuffo impudente, alla tenerezza di bronzo della mia carnagione; ancora non mi riesce di non pensare a quel Pier Paolo, come a una specie di Telemaco o di Astianatte, ma già rotto alle avventure più seducenti. Eppure so assai bene cos'era quel ragazzino: era, mitologicamente, qualcosa come un incrocio fra Catone e un piccolo Belzebù."

"Allora per me il friulano fu un linguaggio che non aveva nessun rapporto che non fosse fantastico col Friuli e con qualsiasi altro luogo di questa terra. Ora che abito quassù, e non ci sono più la nostalgia e la lontananza, ho dovuto studiare più freddamente quella mia lingua poetica... Da tali meditazioni durate circa due anni e fatte in comune con alcuni giovani amici, è nata l'"Academiuta di lenga furlana", che è dunque una sorta di modesto félibrige."

"Il treno puntava direttamente verso questa: le rotaie vi arrivavano fin contro la porta aperta e un po’ sgangherata, dipinta di un color verdolino ormai ridotto a un pulviscolo, i vetri pieni di file di cartoline con cuori, rose, ragazze e soldati. Andava dritto lì dentro, in quella bottega di mia zia, perduta in fondo alla terra, alle mie spalle: davanti a me, vicina, c’era mia mamma, che sapeva, che era una di color che sanno..."

"La popolazione di questo Friuli Occidentale è già da secoli abituata a tartagliare un orribile veneto (e ciò è veramente un’umiliazione, di cui, però, i deboli cervelli dei borghesi che vogliono figurare spregiudicati e non provinciali non possono rendersi conto. Di questa umiliazione siamo in pochi a sopportare l’amarezza)."

"Quante volte ho pensato all'inaccettabilità dell'ingiustizia che pesa sulla morte del partigiano Ermes, mio fratello, a quanto sia inconciliabile la sua persona con la sua morte! Basti pensare che l'8 settembre egli era già nel campo di aviazione di Casarsa a rischiare la vita per portar via armi ai nazifascisti, e da allora non passò giorno che egli non dedicasse, con la purezza e la bontà del diciottenne, tutto se stesso alla Resistenza..."

"Ricordo che a Versuta, dov'ero sfollato nel '44 -in quel periodo di vacanza morosa di paura e di solitudine- la ricostituzione della mia purezza avvenne improvvisa. A Versuta c'era un ventina di ragazzi che non potevano a causa dei pericoli, frequentare la scuola di san Giovanni. Io e mia madre divenimmo i loro maestri; con che tremore, con che reale interesse mi accinsi a quell'avventura."

Queste citazioni testimoniano una straordinaria capacità di fondere memoria individuale e collettiva, poesia, storia e cronaca.

L’introduzione dell’opera, tra le più intense e personali di Naldini, costituisce un vero e proprio saggio a sé stante. Essa coniuga il valore memoriale (“testimonianza diretta”) con un'analisi critica profonda del giovane Pasolini: l’autore vi alterna ricordi privati, aneddoti familiari, riflessioni sul contesto regionale, osservazioni letterarie e saggistiche. Il tono oscilla tra la nostalgia discreta di chi ricorda un compagno di giochi e la lucidità spietata del critico che inquadra la genesi di un talento unico nella letteratura italiana. Offre al lettore la possibilità di compiere, un viaggio attraverso Casarsa, Versuta, San Vito, Valvasone, arricchendo la lettura con dettagli sui luoghi, le persone, i fermenti politici e culturali che animarono gli anni fra il ’45 e il ’51. L’introduzione ha conosciuto variazioni minime nelle diverse ristampe, segno della vitalità e coerenza del progetto narrativo ed esegetico naldiniano.

L’antologia di Naldini ha avuto il merito indiscusso di rendere accessibile e di valorizzare in modo decisivo la produzione friulana del poeta, troppo spesso considerata "minore" o di semplice preparazione rispetto all’esplosione del Pasolini romano e cinematografico. Si è consolidata la lettura del Friuli come “paese originario”, spazio estetico ed etico imprescindibile per l’intera produzione pasoliniana. 

Bruno Esposito

Curatore, Bruno Esposito

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