Pasolini - VITA, OPERE E MORTE

Pasolini al Setaccio

Le pagine corsare - Riflessioni su "Processo alla DC"

Saggi "Corsari" - Saggi e scritti su Pier Paolo Pasolini

lunedì 29 settembre 2025

Pier Paolo Pasolini, al Setaccio - di Bruno Esposito

"Le pagine corsare " 

dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

Pier Paolo Pasolini

al Setaccio

di Bruno Esposito

La breve vita della rivista «Il Setaccio», pubblicata a Bologna tra il novembre 1942 e il maggio 1943, rappresenta un passaggio decisivo nel percorso formativo di Pier Paolo Pasolini, offrendo uno spaccato prezioso dell’Italia intellettuale in uno dei suoi momenti più complessi. Nonostante la sua uscita limitata a soli sette numeri, «Il Setaccio» ha lasciato un’impronta significativa sul giovane Pasolini e, indirettamente, sulla cultura italiana, fungendo da crocevia tra aspirazioni artistiche, pressioni ideologiche e tentativi di emancipazione generazionale.

Nata nel pieno della Seconda guerra mondiale, «Il Setaccio» riflette il clima di tensione, restrizione e controllo che caratterizzava la vita culturale italiana dei primi anni Quaranta. Nel 1942 il regime fascista, ormai logorato dalle difficoltà militari, intensifica la propria azione di propaganda e regimentazione delle istituzioni culturali, affidando alle organizzazioni della Gioventù Italiana del Littorio (GIL) la missione di plasmare e organizzare la gioventù sotto la propria egida. La GIL, fondata nel 1937 assorbendo l’Opera Nazionale Balilla (ONB), si avvale di periodici, circoli e biblioteche – come la grande Biblioteca Popolare di Bologna, diretta da Giovanni Falzone – per estendere la propria influenza in ambito letterario, artistico e associativo.

La città di Bologna, sede strategica e crogiuolo di intellettuali, studenti e artisti, rappresentava un importante laboratorio culturale: qui la vita universitaria, la vivacità dei fermenti artistici e la presenza capillare delle istituzioni di regime si intrecciano in un contesto complesso, animato da giovani che, pur obbligati a muoversi nei meandri della retorica ufficiale, cercano spazi di confronto, espressione e crescita.

«Il Setaccio» nasce ufficialmente nel novembre 1942 nella sede della GIL di Bologna, in piazza XX Settembre. Il progetto è il risultato di un incontro – e spesso scontro – tra le esigenze propagandistiche del regime, incarnate dal direttore Falzone, e le aspirazioni culturali di un gruppo di giovani: Pier Paolo Pasolini (vice consulente e poi redattore), Fabio Mauri, Mario Ricci, Luigi Vecchi e altri collaboratori come Giovanna Bemporad, Sergio Telmon, Achille Ardigò, Fabio Luca Cavazza, Michelangelo Masciotta e Luciano Serra.

Pasolini, all’epoca appena ventenne, è tra i principali promotori: “Sono affogato negli esami; ma soprattutto mi occupa la fondazione della rivista ‘Il Setaccio’, in grembo alla GIL, da cui, forse, comincerà la mia carriera vera e propria” – scrive in una lettera all’amico Franco Farolfi nell’ottobre 1942.

La nascita della rivista è anche sostenuta dalla presenza di Italo Cinti, pittore e critico, che svolge il ruolo di consulente, soprattutto per la parte grafica e per la gestione diplomatica dei contrasti tra Falzone e il nucleo dei giovani redattori.

Il nome della rivista e il suo simbolo – il setaccio – sono fortemente emblematici: “cioè il vaglio, attraverso una fittissima rete, delle intelligenze giovanili”, come scrive Falzone stesso nel primo editoriale. L’ambizione è quindi quella di selezionare, stimolare e far emergere i talenti delle giovani generazioni, tra arte e letteratura. Tuttavia, dietro questa retorica si celano differenti visioni: se per Falzone la funzione del setaccio è soprattutto di orientamento ideologico, per Pasolini indica un lavoro di ricerca critica, di auto-coscienza e di fermento intellettuale aperto all’Europa.

Il direttore ufficiale era Giovanni Falzone (1906-1972), funzionario comunale, “fascista della prima ora”, animato da uno stile retorico e propagandistico che si riflette in molti degli scritti di apertura. Italo Cinti risulta consulente artistico e grafico; Pasolini, vice consulente e poi redattore di punta nei numeri centrali, affiancato da Ricci, Mauri e Vecchi, tutti nati tra il 1924 e il 1926.
La struttura redazionale era flessibile, spesso fonte di tensioni dovute alla divergenza tra l’indirizzo politico imposto da Falzone e le aspirazioni culturali del gruppo dei giovani. Dal n. 5 in poi, la composizione cambia ancora: Cinti diventa vice direttore, Pasolini continua a essere tra i redattori.

La rivista nasce come continuazione del bollettino “Gioventù italiana del Littorio. Bollettino del Comando federale di Bologna”, pubblicazione ufficiale della GIL bolognese, sulla quale lo stesso Pasolini aveva pubblicato il suo primissimo articolo nell’aprile 1942.

La Commissione per la stampa della GIL di Bologna, nella quale era coinvolto lo stesso Pasolini in qualità di consulente della commissione giovanile per l’arte, lavora alla preparazione del giornale-saggio “Il Setaccio” già nella primavera del 1942. Il gruppo operante intorno a Pasolini è composto da: Fabio Mauri, Luigi Vecchi, Mario Ricci (tutti nati tra il 1924 e il 1926), ai quali si aggiungono progressivamente altri collaboratori. Pier Paolo Pasolini. In una lettera dell’ottobre di quell’anno all’amico Franco Farolfi, Pasolini annota: 

“Sono affogato negli esami; ma soprattutto mi occupa la fondazione della rivista il ‘Setaccio’, in grembo alla GIL, da cui, forse, comincerà la mia carriera vera e propria”

Dopo il n. 5 (marzo 1943), Cinti è indicato come vice direttore; Pasolini figura tra i redattori insieme a Ricci e Vecchi. Questo assetto riflette una certa commistione tra la struttura ufficiale, imposta dall’alto, e una reale “presa di potere” da parte del gruppo giovanile che fa della rivista un laboratorio di creazione e dibattito.

Pasolini svolge un ruolo centrale sia nella fondazione che nella gestione quotidiana della rivista. La testimonianza di Mario Ricci, come di altri redattori, sottolinea la funzione di motore, stimolatore, punto di riferimento e “primus inter pares” di Pasolini, che non solo contribuisce con suoi testi e disegni ma alimenta costantemente la discussione epistolare, anche da Casarsa, sollecitando i colleghi a non abbandonare il lavoro redazionale, difendendo la linea artistica e cercando di mediare nelle frequenti tensioni interne.

Questa funzione di leadership culturale emerge esplicitamente in diverse lettere, tra cui quella del febbraio 1943 a Fabio Luca Cavazza, dove Pasolini invita la redazione a non “cedere” alle pressioni e scendere, se necessario, “al compromesso con nobiltà” pur di non perdere l’autonomia intellettuale della rivista.

D’altro canto, la sua posizione di autorità non evitò lo scontro costante con il direttore Falzone e con la cornice ideologica fascista nelle quali la rivista era istituzionalmente inserita: una tensione che, come vedremo, sarà decisiva per le sorti del periodico e per la crescita politica del giovane Pasolini.

I componimenti in friulano pubblicati su «Il Setaccio» rappresentano una scelta fortemente controcorrente – “un’ulteriore causa di ‘trasgressione’ era l’uso di un dialetto, rifiutato dal regime poiché impediva l’impiego delle ‘lingue barbare’ in favore di una ‘lingua nazionale’”. Il dialetto, per Pasolini, è spazio di autenticità, luogo della memoria e veicolo di “purezza poetica”, in antitesi con la lingua imposta dall’alto.

In più di un intervento emerge la volontà di distanziarsi dalla retorica generazionale imposta dall’alto. In una celebre lettera a Luciano Serra, scritta dopo la caduta del Fascismo, Pasolini afferma: “L’Italia ha bisogno di rifarsi completamente, ab imo, e per questo ha un bisogno estremo di noi, che nella spaventosa ineducazione di tutta la gioventù ex-fascista, siamo una minoranza discretamente preparata... La libertà è un nuovo orizzonte... Ho sentito in me qualcosa di nuovo sorgere e affermarsi, l’uomo politico che il fascismo aveva abusivamente soffocato, senza che io ne avessi la coscienza”.

Uno degli aspetti più rilevanti è la ricchezza della corrispondenza di Pasolini relativa a «Il Setaccio». Lettere a Mauri, Cavazza, Serra attestano la cura e la tensione continua con cui egli dirigeva la vita della rivista, malgrado gli ostacoli pratici e ideologici. Tra i passaggi più emblematici:

“Ho pensato a lungo sul da farsi; e mi sono convinto di questo, che non dobbiamo cedere. Abbiamo parlato a lungo, della missione educatrice della nostra generazione, ed ora che abbiamo un mezzo per poter attuare questo – una goccia nell’oceano – perché dovremmo arrenderci?” 
(a Cavazza, febbraio 1943)

“Per il Setaccio. Ho sentito che in seguito a non so che specie di domanda i giornali del Guf e della Gil, possono continuare. Informati bene, ti prego Luca, perché ho intenzione di fare del Setaccio una cosa meravigliosa, e, finalmente nostra.” 
(a Cavazza, agosto 1943, dopo la chiusura della rivista)

Queste parole vanno lette alla luce della precocità e della solitudine della posizione pasoliniana; la determinazione si scontra spesso con la necessità di compromessi continui.

Oltre alle crescenti difficoltà legate alla guerra (carenza di carta da stampa, clima di incertezza, dispersione del gruppo a seguito dei bombardamenti su Bologna), uno dei principali fattori della chiusura precoce della rivista è costituito dallo scontro continuo e insanabile tra Falzone e il “clan” dei giovani redattori. Falzone viene descritto da Pasolini in modo corrosivo (“attaccaticcio somaro”, “capriccioso e prepotente”); Ricci, con più equilibrio, lo ricorderà come “un onesto funzionario e un onesto fascista”.

La composizione stessa delle ultime copertine racconta la dialettica interna: se quella dell’ultimo numero reca il ritratto di Mussolini con lo sfondo africano e la scritta “Ritorneremo”, in riferimento alla sconfitta delle truppe italiane in Africa, la copertina del n. 3 (“Pere diritte e pere rovesce” di Giovanni Ciangottini) simboleggia l’anima realmente artistica e letteraria che Pasolini e amici avrebbero voluto per la rivista.

Il Setaccio” cessa le pubblicazioni con il doppio numero 6/7 di aprile-maggio 1943. 

Si può indicare la fine della rivista non come effetto di una pura repressione dall’alto, ma come conseguenza di un fallimento dialettico: la rivista non riuscì mai ad affermare completamente la propria autonomia e, di contro, nemmeno la linea ufficiale riuscì a piegare la creatività dei giovani redattori al compiacimento ideologico.

L’esperienza de “Il Setaccio” lasciò in Pasolini una traccia profonda, come attestano non solo le lettere coeve ma anche le sue dichiarazioni e scelte intellettuali nel dopoguerra. Le riflessioni di Pasolini oscillano tra una punta di rimpianto per il mancato compimento del progetto editoriale e una chiara consapevolezza della valenza formativa e, in parte, antagonista dell’esperienza.

Nei ricordi postumi, Pasolini rimarca la funzione, anche inconscia, di opposizione al potere, sia pure inizialmente confinata sul piano esclusivamente culturale e letterario. Il suo “antifascismo culturale”, che sarebbe poi divenuto uno dei punti cardinali della sua poetica civica, trova le sue prime espressioni concrete proprio nei testi pubblicati allora e nella difesa della libertà di parola dei giovani poeti, inclusi coloro che scrivono in dialetto.

"Ho sentito in me qualcosa di nuovo sorgere e affermarsi, con un'imprevista importanza: l'uomo politico che il fascismo aveva abusivamente soffocato, senza che io ne avessi la coscienza".
(Lettera a Luciano Serra)

Pasolini - Al Setaccio

Articoli, poesie e altro

Per una visione o lettura, dei singoli interventi di Pier Paolo Pasolini sulla rivista "Il Setaccio", clicca sui link sotto.

Buona lettura

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