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domenica 16 luglio 2023

Pier Paolo Pasolini, Perché dicono che il mio Calderón non ha peso politico? - Tempo, 18 novembre 1973, pag. 123

"Le pagine corsare " 

dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Pier Paolo Pasolini
Perché dicono che il mio Calderón non ha peso politico? 

Tempo, 
18 novembre 1973 
pag. 123
poi con il titolo Calderón, in Descrizioni di descrizioni .



Interrogato sulla sua opinione intorno alla politicità di un’opera teatrale in versi appena uscita, Adriano Sofri (che, secondo l’offensivo termine convenzionale, è il «leader» di «Lotta Continua») ha dichiarato che «dal punto di vista personale la tragedia lo interessa anche, ma dal punto di vista politico non ha commenti da fare, la sua rilevanza è nulla, non ha peso».

Adriano Sofri è uno di quei giovani nati col '68, nel '68. Per lui «politica» significa «azione politica» nella pratica, «intervento politico» in ogni altro campo. Su altri punti egli è molto più agile, intelligente e possibilista (cioè cosciente delle infinite complicazioni della realtà) dei suoi compagni: ma su questo punto egli è rigidamente ortodosso. Per lui il pensiero non è pensiero se non si manifesta come azione. Nel caso che esso sia parlato o scritto, la sua struttura linguistica deve avere l’instabilità e la provvisorietà di una struttura che ambisca a divenire immediatamente altra: cioè la struttura dell’azione. Non c'è assolutezza nella parola: più essa mira ad essere assoluta, più e apolitica, o addirittura reazionaria. Essa deve essere pervasa dal senso della propria fuggevolezza, della propria mansione utilitaristica, della propria funzione puramente pragmatica che consenta, al massimo, una forma di espressività sentimentale. Ecco perché a Sofri e ai suoi compagni piacciono unicamente gli atti d’accusa, le «querelles», le melopee, le documentazioni di parte, le oratorie vibranti, le condanne spietate e indiscriminate. Ecco perché la scrittura e per loro tanto più politica quanto più è piatta, convenzionale, banale, elementare, corretta da una certa ironia demagogica (che consenta anche fughe nell'ambiguità dello scherno).

L'opera teatrale su cui Sofri ha pronunciato il suo «impersonale» giudizio, è mia: si intitola Calderón, ed è uscita in questi giorni (ma l'ho cominciata nel '65, addirittura, rifacendola poi più volte: l'ultimo apporto rilevante è del '72).

Sono certo che Calderón è una delle mie più sicure riuscite formali. Il corso de Le ceneri di Gramsci e dei volumi di versi degli anni Cinquanta, ha ripreso qui, credo, a fluire con pienezza, dopo un lungo periodo di aridità (a cui la mia volontà non si è opposta). Fluire formalmente: ma anche politicamente. Sofri avrà forse potuto notare («dal punto di vista personale») con quanta leggerezza ed anche esattezza egli stesso entri nel testo, sotto la forma idealizzata (cioè fisicamente modellata su altri suoi giovani compagni più innocenti) nella figura del secondo studente Pablo.

Non voglio difendere la «politicità» di Calderón. Una lettura del mio testo in chiave di attualismo politico è una lettura che a me, autore, non può che apparire limitativa. Ambirei, se mai, che la chiave della lettura fosse quella di una politica platonica, quella del Convito o del Fedro (non essendoci limite all’ambizione di un autore). D'altra parte non posso negare che i «fatti» di Calderón appartengono totalmente, specie negli ultimi «episodi» all’attualità politica. Se nelle prime due parti Rosaura si risveglia dal metaforico sonno calderoniano «aristocratica» e «sottoproletaria» (adattandosi poi alla realtà di tale risveglio), nella terza parte, risvegliandosi nel letto di una piccola borghese dell’età del consumismo, l’adattamento le riesce molto più difficile; ne vive l'alienazione e la nevrosi (da manuale), e assiste a un vero e proprio cambiamento di natura del potere. Assiste inoltre alla contestazione, del '67 e del '68, come nuovo tipo di opposizione al potere, e all'albeggiare di un nuovo secolo in cui la classe operaia non è stata che un sogno, nient’altro che un sogno. Dunque i «discorsi» dei personaggi vertono necessariamente su questi temi di attualità politica.

Ora, in effetti, nel mio dramma, tutto ciò è contemplato (in base alla fede nell’assolutezza dei valori formali), come se io fossi un abitante del cosmo: e capisco che ciò possa sembrare inaccettabile a chi sia impegnato in una lotta politica quotidiana, illudendosi che questa sia la volta buona (richiedente quindi uno stato d’emergenza in cui tutto sia in sua funzione).

Non voglio opporre una mia visione storicamente condizionata dall’esperienza, bene o male vissuta, a quella di Sofri e dei suoi compagni. Non sono un padre, non ho voluto essere un padre. Molte volte son anzi io nelle condizioni di figlio, in confronto a questi giovani, quando loro parlano come pubblici ministeri, mentre io, anziché sul seggio del senatore, siedo sul banco degli imputati.

Purtroppo non ho saputo mai credere, in questi anni, che fossimo veramente nell’imminenza dell'Avvento; purtroppo non ho vissuto la vigilia di una Rivoluzione. Tanto peggio per me. Lo so che è una mancanza di ingenuità, forse anche di amore. D’altra parte mi faceva orrore rivendicare per i «poveri» l’appartamento di un palazzone col frigorifero e il video, più qualcosa di lieto, ed estrema-mente imprecisato, che pareva essere l’ideale di «Lotta Continua» («prendiamoci la città»). Ho sentito, proprio in questi anni, in contraddizione con tutto, che la povertà non è affatto il male peggiore. Anzi, ho cominciato disperatamente a rimpiangere la povertà, mia e altrui.

Dunque, Calderón è un dramma politico, che Sofri, e in genere i giovani rivoluzionari, non intendono considerare tale. Invece io credo che ci siano in quest’opera, degli elementi di carattere politico che gli dovrebbero interessare, e proprio in quanto possono in qualche modo influire sull’azione politica e modificarla.

In tutti e tre i suoi risvegli, Rosaura, si trova in una dimensione occupata interamente dal senso del Potere. Il nostro primo rapporto, nascendo, è dunque un rapporto col Potere, cioè con l’unico mondo possibile che la nascita ci assegna. Chi, come Rosaura, è inadattabile o male adattabile, anziché vivere tale esistenza precostituita come «membro normale» la vive come «capro espiatorio»: se Rosaura, invece di restare in tale limbo riservato alle anime infelici e nobili, ingenue ed eroiche, avesse potuto procedere nella coscienza di sé e quindi dei propri diritti, assumendo una posizione polemica o addirittura rivoluzionaria contro il Potere, non avrebbe però mai potuto evitare di avere con esso quel «rapporto di intimità» (di cui Pannella recentemente parlava a proposito del fascismo). Il Potere in Calderón si chiama Basilio (Basileus), ed ha connotati cangianti: nella prima parte è Re e Padre (appare nello specchio - con l' Autore!! - come nel quadro de Las meninas), ed è organizzato classicamente: la propria coscienza di sé - fascista - non ha un’incrinatura, un’incertezza. Nella seconda parte - quando Rosaura si risveglia «povera», sottoproletaria in un villaggio di baracche - Basilio diviene un’astrazione quasi celeste (sta nello stanzone de Las meninas vuoto, come sospeso nel Cosmo: e da lì invia i suoi sicari sulla terra); infine, nella terza parte, egli è il marito piccolo-borghese, benpensante, non fascista ma peggio che fascista. È in questa terza parte che egli è in crisi. Non sa più quale sia la sua «vera volontà». Secondo le regole del comportamento borghese egli nasconde l’angoscia di questa sua incertezza, e lavora, con tutta l’estrema intelligenza della sua cultura, per «capirsi». Non esita a servirsi anche del pensiero della opposizione borghese gauchista (i due medici omonimi Manuel, psichiatri alla Basaglia) e addirittura del pensiero rivoluzionario. Infine egli capisce la propria nuova «natura»: si è, per l’ennesima volta ricreato, ma, per la prima volta, si è ricreato non più uguale a se stesso. Ha omologato, ora, perfettamente il mondo su cui egli si esercita. Le Rosaure, da ora in poi, non avranno più altri luoghi dove risvegliarsi.

Dunque il nostro Basilio non è affatto un uomo ottuso, feroce, stupido, avido (e la volgarità è un suo elemento, non è un tutto): come egli dice al medico colto che ha in cura Rosaura: «Lei squittisce la sua piccola borghesia - mentre io, seguendo il mio fato, la vivo». C’è in Basilio qualcosa di ascetico, una totale identificazione con la propria funzione. Egli è il Potere borghese, ma ha i caratteri assoluti del Potere, qualunque sia la sua qualificazione (Potere dei Soviet o Potere dell’immaginazione). Nessuno di noi può sperare di esserne incontaminato. Accusare gli altri di qualche connivenza col potere è esercitare una forma (inconscia) assai più grave di potere.

I gauchisti per anni («Gauchismo - si dice in Calderón — malattia verbale del marxismo!») hanno fatto del Potere (chiamato «Sistema») l’oggetto di un «transfert»: su tale oggetto essi hanno scaricato tutte le colpe, liberando cosi, per mezzo di un meccanismo estremamente arcaico, la propria piccolo-borghese «coscienza infelice».

Attraverso la drastica identificazione di «Sistema» e « Male » — attuata in modo manicheo o calvinista — si sono delineate di conseguenza sul fronte opposto forme di esistenza e di azione che dovevano per forza essere «buone»: donde il trionfalismo, il fanatismo, la disperazione. Che peso ha avuto tutto questo sull’azione politica (con cui i gauchis ti identificano totalmente la politica, come chi identificasse l'applicazione della scienza con la scienza)?

È molto semplice. Il risultato di una convenzionale, approssimativa, banale, e quindi mitica e irrazionale, idea del Potere, ha fatto si che l'azione politica contro il Potere — accanto ai caratteri di originalità e di necessità insiti nella propria natura — accumulasse anche i caratteri «negativi» del nemico: non si può condurre una lotta intelligente contro un nemico considerato irreparabilmente stupido.

I giovani di «Lotta Continua», dunque, sono stati limitati nella loro azione politica da questi due dati: a) non hanno saputo o voluto individuare quanto di «intimo» li legasse al Potere, nel cui spazio sono nati e si sono educati, conservandone molti caratteri sotto l'etichetta di purezza assoluta che si sono ingenuamente attribuiti; b) hanno pronunciato sul Potere un aprioristico giudizio negativo di stupidità, che è poi ricaduto sulla loro lotta.

Una meditazione, non demagogica, su ciò che è realmente il potere, sarebbe a questi giovani rivoluzionari molto utile, anche per ciò che riguarda l’azione politica immediata, che è la sola che essi (forse giustamente) ritengono valida.

Pier Paolo Pasolini

@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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