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domenica 26 giugno 2022

Pasolini - Non doveva finire così - Un estratto della Postfazione di Walter Siti a Petrolio edizione 2022

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro





Walter Siti
Pasolini - Non doveva finire così

Un estratto della Postfazione a Petrolio edizione 2022

Tratto da pag. 560 e da pag. 570 di Petrolio edizione 2022, curata da Walter Siti e Maria Careri.   

Presente anche anche in "Quindici riprese - Cinquant'anni di studi su Pasolini, sempre a cura di Walter Siti (2022) rispettivamente a pag. 381 e pag. 390 

[...]

pag. 560

Sull’omicidio di Pasolini si sono accumulate negli anni le incongruenze, le coincidenze troppo strane, le ombre di depistaggio, le novità intervenute con l’ausilio di strumenti più sofisticati; al punto da rendere necessaria una riapertura delle indagini, poi troppo frettolosamente concluse con un’archiviazione. Pino Pelosi non era solo quella sera all’idroscalo di Ostia, tracce di DNA sui reperti lo confermano; erano presenti un’auto targata Catania e una terza auto quasi uguale

a quella di Pasolini, più almeno una moto; durante la colluttazione vennero pronunciate parole in dialetto siciliano; l’auto quasi uguale a quella di Pasolini fu portata il giorno dopo in una carrozzeria, sporca di sangue e con una botta sulla fiancata;(17) Pino Pelosi è stato udito quella sera telefonare a qualcuno a proposito delle “pizze” rubate di Salò; una ventina di giorni prima la centralina telefonica dell’EUR era stata messa fuori uso da un attentato, e Pasolini aveva ricevuto dalla SIP un “numero volante” facilissimo da intercettare; al ristorante «Biondo Tevere» Pasolini cenò con un ragazzo che non era Pelosi; Olimpio Mazzocchi (nipote del pescatore che quella notte dalla sua baracca aveva sentito tutto), dopo aver affermato di voler riferire nel nuovo processo, sia pure de relato, quel che lo zio (deceduto nel frattempo) gli aveva sempre raccontato, morì in un incidente d’auto nel 2010 e il guidatore dell’auto, rimasto illeso, era Pino Pelosi. Pasolini, nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975, è stato vittima di un’esecuzione. Troppa gente coinvolta, troppo macchinosa e complessa la dinamica, troppo insistente la scia di protezioni e allarmi per pensare che si sia trattato soltanto di una “punizione” da parte dei magnaccia di Piazza dei Cinquecento, o della volontà di far tacere un intellettuale accusatore della dirigenza DC. Dire che Pasolini era “scomodo” è una generalizzazione banale, come rivela la stereotipia dell’aggettivo. La convinzione (da parte del presidente della Montedison e dei mafiosi siciliani) che stesse scrivendo «un libro su Cefis» ci riporta invece a un movente preciso, già ipotizzabile nel caso De Mauro e in un altro caso di cui si è parlato assai meno, cioè il ritrovamento nel 1969, all’Hotel Diana di Milano, del cadavere di Salvatore Palazzolo, giornalista freelance che aveva detto in giro di aver scovato «verità scottanti» sul caso Mattei.(18)

[...]

pag. 570

Il Pasolini che la sera del 1° novembre 1975 si avvia all’appuntamento fatale è un uomo disperato ma pieno di progetti: oltre a Salò, di cui spera di ritrovare le “pizze” coi colori giusti e alcune sequenze altrimenti irrecuperabili, ha in previsione un film con Eduardo De Filippo (il viaggio iniziatico di un Re Mago accompagnato dal suo servo), la ripresa di una vecchia sceneggiatura su San Paolo (storia di una nevrosi che si risolve in entusiasmo religioso), un lavoro teatrale molto più complesso dei precedenti (su Jan Palach e la repressione in Cecoslovacchia), ma soprattutto un ciclo di poesie in cui, dopo la liquidazione di Trasumanar e l’abiura della Nuova gioventù, si sarebbe riconnesso in modo sorprendente con l’ermetismo. E poi quel romanzo che sembra volersi estendere all’infinito perché non sa come chiuderlo. Nella lettera a Moravia ammette candidamente di trovare «ripugnante» il protagonista Carlo, e che farebbe fatica a starci insieme ancora per molto tempo (così aveva risposto anni prima a chi gli chiedeva perché prendesse dalla strada i suoi attori sottoproletari ma affidasse le parti di borghese solo ad attori professionisti). Nell’ultimo Appunto di Petrolio, il 133, troviamo Carlo rifugiato in «una villa in forma di piccolo eremo» nel Canavese (sulle rive di un improbabile Adda) dove si è ritirato in meditazione; come non pensare alla torre di Chia, dove dal 1970 si era ritirato Pasolini? Le note manoscritte successive all’ultimo Appunto accennano a una «discesa agli inferi» di Carlo stesso, e a un «colpo di scena» che non sapremo mai. La conclusione del «blocco politico» è avvenuta molte pagine prima, nell’Appunto 103 intitolato Storia delle stragi; è significativo che a scoprire (ma non a rivelare al lettore) la “verità” sulle trame del Potere non sia Carlo ma un narratore anonimo nel corso di una rocambolesca avventura in Nepal (uno che, come Elsa Morante all’inizio, «non ha niente da perdere»). Questo narratore secondario incontra un affiliato alla mafia che prima di morire affida al suo piccolo Nagra, con nomi e cognomi, «un breve periodo della recente storia italiana (esattamente sei anni)», cioè quelli tra il 1968 e il 1974. Il morente è l’ultimo di una serie di testimoni che sono stati fatti tacere con un omicidio, e sta per diventare anch’egli un «ammazzato a bastonate». (Presentando come «editore» il progetto non finito della Divina Mimesis, Pasolini aveva scritto che il presunto «vero autore» del testo era stato trovato cadavere, «ucciso a colpi di bastone».)(32)

Note:

17) Probabilmente è solo una suggestione, ma anche nell’omicidio Mattei vennero usati due Morane-Saulnier quasi uguali.

18) Per tutte le notizie di questo paragrafo vedi Benedetti, Giovannetti, Frocio e basta, cit., Gianni D’Elia, Il Petrolio delle stragi, Effigie Edizioni, Milano 2006 e Simona Zecchi, Pasolini, massacro di un poeta, Ponte alle Grazie, Milano 2015. Ancora Simona Zecchi, più recentemente, ha approfondito le proprie tesi in L’inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini, Ponte alle Grazie, Milano 2020; nel libro si affronta il tema interessante del rapporto epistolare tra Pasolini e Giovanni Ventura, l’ex editore di estrema destra vicino a Franco Freda e poi incarcerato per gli attentati terroristici del 1969; basandosi su un dossier che Ventura avrebbe inviato a Pasolini e di cui però non è rimasta traccia, la Zecchi propone con argomenti non del tutto convincenti che i mandanti dell’assassinio non avessero a che fare con Cefis ma con le paure della destra democristiana facente capo a Mariano Rumor.

32) Il narratore, che è un etnologo musicale e si porta dietro un registratore Nagra per catturare le musiche nepalesi, assomiglia nel suo entusiasmo a Pasolini con la macchina da presa in spalla.


@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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