Le pagine corsare - Riflessioni su "Processo alla DC"
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mercoledì 4 agosto 2021
Edipo re di P.P.Pasolini - Alberto Moravia, L’Espresso , 17/9/1967
"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
La tragedia di Edipo, a meno di andare a cercare i primitivi polinesiani tra i quali vige ancora oggi il tabù dell’endogamia e dell’incesto, non ha niente a che fare con il mondo moderno. Anche se poi gli stessi eventi potrebbero benissimo verificarsi negli stessi modi. La tragedia di Edipo appartiene al mondo arcaico greco; tanto è vero che in Grecia essa era un mito, cioè qualche cosa di così insopportabile per la società quale era allora da meritare di essere trasformato in mistero. Tuttavia il recupero della tragedia di Edipo oggi è pur sempre possibile, soprattutto in due modi: sia in senso conoscitivo e razionale, ossia scrivendo una storia moderna che (quasi sempre inconsapevolmente da parte dello scrittore) ne adombri i significati: oppure risuscitando con piena consapevolezza il mito a livello estetico-culturale. Nel primo caso abbiamo un’operazione realistica; nel secondo un’interpretazione estetizzante. I precedenti in ambedue i casi sono molti: per il primo, si potrebbe risalire addirittura ad Amleto; per il secondo, il nome di Wagner sembra il più legittimo.
Realistico è l’inizio dell’Edipo Re di Pier Paolo Pasolini. Realismo che discende da Freud, cioè dalla dimensione tragica che Freud ha legato per sempre al nudo fatto di nascere. Ma Pasolini ha respinto con mano delicata e ferma ogni tentazione didascalica e ci ha dato una bellissima sequenza sull’innocenza dell’amore materno e sulla fatalità di quello filiale. Subito dopo Pasolini abbandona Freud per Jung, cioè abbandona l’ansia conoscitiva per la preoccupazione estetico-culturale e ci presenta l’Edipo di Sofocle sullo sfondo di una natura erosa e solenne, in Marocco, in villaggi turriti simili a rozze regge arcaiche. Abbiamo fatto un salto indietro di migliaia di anni, al tempo in cui il mito era attuale. Anche qui, secondo noi, la poesia è raggiunta, sia pure attraverso un vagheggiamento estetizzante e culturale.
Pasolini, quei monti, quei villaggi, quei riti, li «sente» con elementi essenziali del mito e riesce a comunicarci il suo sentimento. L’uccisione di Laio è scandita con maestria; ma vi si nota un’esaltazione della ferocia che non è giustificata né prima né dopo da un contesto sociale analogo. Tuttavia, finché dura l’ignoranza di Edipo, cioè per tutto il tempo la rappresentazione è degna del migliore Pasolini. L’incrinatura si comincia ad avvertire nel secondo tempo, quando quella stessa brutalità che era servita a far uccidere Laio, impedisce di affrontare il vero dramma di Edipo, quello scritto da Sofocle, con un personaggio adeguato. È il dramma della conoscenza, della scoperta della verità. Come ha osservato il critico americano Ferguson, questo dramma è una specie di match tra Tiresia, il cieco che vede, e Edipo, il veggente che è cieco.
In questo match verbale, Edipo non è un violento, un brutale, bensì un intellettuale come Amleto, strenuo, eroico, avido di verità. Se questo è vero, allora bisognava prolungare al massimo il duello tra Tiresia ed Edipo, lasciando in ombra il rapporto incestuoso con Giocasta (al quale dobbiamo pur tuttavia le parti più valide del secondo tempo). Ma per far questo ci voleva un attore della forza di Julian Beck, non Franco Citti. Pasolini è convinto che il sottoproletariato delle borgate sia omologo al mondo arcaico ma il suo film dimostra che non è vero. Edipo urla quando dovrebbe invece esprimersi quietamente e dialetticamente. Non bisogna infatti dimenticare che incesto e parricidio sono «tentazioni» eterne dell’uomo, cioè qualche cosa di profondo, di misterioso, di segreto. Poi la fine. Diciamo subito che avremmo preferito un ritorno al realismo dell’inizio, senza simboli, di nuovo freudiano, cioè conoscitivo. Una famiglia come quella della prima sequenza ma con una madre invecchiata e troppo affettuosa, un padre anziano non amato né rispettato e un figlio che inconsapevolmente, ciecamente, si comporta secondo i modi propri del complesso di Edipo.
Pasolini invece ha preferito l’elegia al dramma. Ha sostituito Antigone con Angelo, ha fatto trapassare l’Edipo fisicamente cieco del mito nella realtà del mondo moderno. Edipo che era nato a Tebe, qui si identifica con il bambino nato in una piccola città italiana. Una fine «privata», simbolica, tristissima ma non catartica. L’interpretazione di Silvana Mangano è splendida. Accanto a lei, bisogna mettere Julian Beck, eccellente nella parte di Tiresia. Di Franco Citti abbiamo già detto; vogliamo soltanto aggiungere che il suo volto è sì fortemente espressivo ma di qualche cosa che non ha niente a che fare con Edipo.
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