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sabato 30 settembre 2023

Pier Paolo Pasolini - Che cos’è questo golpe? Io so - Il romanzo delle stragi - Corriere della sera, 14 novembre 1974.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Pier Paolo Pasolini
Che cos’è questo golpe? Io so
Il romanzo delle stragi

Corriere della sera, 14 novembre 1974.



LA STRATEGIA DELLA TENSIONE
“destabilizzare per stabilizzare”



Nel 1969 in Italia ha inizio quella che è stata definita "la strategia della tensione" una serie di stragi pilotate da..., con l’obiettivo di diffondere la paura nei cittadini ogniqualvolta si stava verificando uno spostamento politico a sinistra.

Il caos creato doveva generare il bisogno di "ordine" e la necessità di difendersi attraverso un consolidamento dell'allora potere politico. La formula di tale strategia era estremamente semplice ed efficace: “destabilizzare per stabilizzare” -  cioè, generare la paura del cambiamento:


⦁ Il 25 aprile 1969 scoppia una bomba al padiglione  FIAT della  Fiera di Milano, un'altra bomba viene ritrovata all'Ufficio Cambi della  Stazione Centrale.


⦁ Qualche mese dopo, il 9 agosto vengono fatte scoppiare otto bombe su  diversi treni, che provocano dodici feriti.

⦁ Il 12 dicembre  1969 una bomba esplose all'interno della sede della  Banca Nazionale dell'Agricoltura in  Piazza Fontana a Milano


⦁ Il 22 luglio  1970 un treno deraglia sui binari sabotati nei pressi della  stazione di Gioia Tauro, uccidendo sei persone e ferendone una sessantina.


⦁ Il 31 maggio ⦁ 1972, una  Fiat 500 imbottita di esplosivo esplose nei pressi di  Peteano, uccidendo tre carabinieri e ferendone altri due.


⦁ Il 17 maggio  1973  Gianfranco Bertoli lanciò una  bomba a mano sulla folla durante una cerimonia davanti la  Questura di Milano, provocando quattro vittime e una quarantina di feriti.


⦁ Il 28 maggio  1974,  Piazza della Loggia a  Brescia, una bomba uccise otto persone mentre un centinaio rimasero ferite.


⦁ Il 4 agosto  1974 una bomba esplose sul  treno Italicus, dodici vittime e centocinque feriti.


Il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, Un altro attentato dinamitardo uccide ottantacinque persone e provoca circa duecento feriti. ( ma viene vista come visione da Pasolini nel suo incompiuto Petrolio )


La strategia della tensione pare sia stata aiutata e gestita da servizi segreti deviati nazionali e da apparati come Gladio e finanziata da  potenze estere:  da documenti pubblicati sul sito Wikileaks, hackerati dal 2010 al 2013 dai server del governo statunitense, sono emersi i cosiddetti "Kissinger Cables" che pare diano conferma a tale teoria.

Il 14 novembre 1974  Pier Paolo Pasolini, mostrando una grande e oggettiva capacità analitica, pubblicò sul Corriere della Sera un articolo intitolato "Che cos’è questo golpe?".

In tale articolo, Pasolini dice di conoscere i nomi degli esecutori materiali delle stragi e di quello che lui definisce Golpe, degli ideatori (mandanti), ed accusa giornalisti, politici e intellettuali, di sapere, magari di avere anche delle prove, ma di tacere per servilismo nei confronti del potere.


«Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi. Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi. A chi dunque compete fare questi nomi?».

Ecco, la domanda è chiara:


«A chi dunque compete fare questi nomi?»

Pasolini risponde che solo chi  “  non è compromesso nella carica del potere” e che per  definizione  non ha niente da perdere, un intellettuale, può e anzi deve, assumersi questa responsabilità nei confronti del popolo italiano. Ed è da questo momento,dal momento in cui si è fatto carico di questa responsabilità, che Pasolini inizia un vero e proprio ATTACCO AL POTERE, sul campo aperto.

Pasolini dichiara che lui sa, e sa anche senza avere delle prove o indizi. Lui sa, perchè è un intellettuale che mette insieme fatti anche lontani, che possono sembrare insignificanti, ma che fanno parte di un intero quadro politico-sociale creato dal potere. Lui sa, ed ha il coraggio di dirlo, perchè è un  intellettuale non compromesso dal potere e in più,  non ha niente da perdere...Ma su questo punto si sbagliava, come abbiamo visto un anno dopo.

Quindi politici, intellettuali (al servizio dei partiti e del potere) e giornalisti, sanno e non parlano. Ma a questa lista aggiunge anche i partiti di opposizione e "in modo particolare" si rivolge al PCI sostenendo che è vero che è  


«un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico», 

ma il suo tacere e il suo essere “ un Paese nel Paese”, fanno di lui un altro Potere ed in quanto tale, compromesso col potere. Lui sostiene che in Italia vi sia un'opposizione “al potere” e non “contro il potere” e che  il  


«coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia».

Pare che la storia di questo grande partito di opposizione, il PCI, oggi abbia dato ragione a Pasolini e che la mozione di sfiducia, ipotizzata dal Poeta nei suoi confronti, era più che motivata.

Ma Pasolini non chiude le porte, anzi le apre nella speranza che, da queste sue parole, possa venire una reazione:


«Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico – non per opportunità – cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento – deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, ma su cui, a differenza di me, non può non avere prove, o almeno indizi».


L'analisi di questo scritto porta dritto alla sua idea di "Processo ai gerarchi democristiani", un'idea che evidentemente già aveva preso forma nella mente dell'intellettuale e che trova conferma nelle ultime parole di questo suo scritto:


"Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti".

L'implosione del potere - Il vero Colpo di Stato.


Il 24 ottobre 1990 Giulio Andreotti, capo del governo italiano, rivelò alla Camera dei Deputati l'esistenza di Gladio... Ma Pasolini non gli avrebbe tolto la sua mozione di sfiducia, perchè queste rivelazioni furono per "opportunità", perchè era arrivato "il momento".



Bruno Esposito
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice




Di seguito il testo integrale dell'articolo di  Pier  Paolo Pasolini:




Che cos'è questo golpe? Io So.

di Pier Paolo Pasolini



dal "Corriere della sera" del 14 novembre 1974 col titolo "Che cos'è questo golpe?"  
da "Scritti Corsari", Garzanti 1975 col titolo "Il romanzo delle stragi"
spesso ripubblicato ed universalmente conosciuto col titolo

"Io So."


Io so.

Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpes" istituitasi a sistema di protezione del potere).

Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.

Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.

Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.

Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).

Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum".

Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.


Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.

Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.

Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.

Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile.


Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974.

Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.

Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.

A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.

Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.


Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.

Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.


All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.

Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.

Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.

È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.

Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. 


In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. 

È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro.


Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.

La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.

Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.

Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere.

Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.

Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto.


L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.

Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana.

E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.

Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.

Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato. 


Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere). 

Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. 

Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. 

Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di golpes, sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia, infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti. 

Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969), e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).


Io so i nomi del gruppo di potenti che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci e della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il 1968, e, in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del referendum. 

Io so i nomi di coloro che, tra una messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neofascisti, anzi neonazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine ai criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi bruciavano), o a dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli. 


Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killers e sicari. 

Io so tutti questi nomi e so tutti questi fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che rimette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.

Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il "progetto di romanzo" sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il 1968 non è poi così difficile.

Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974. 
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.

Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi. A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale. Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.

Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.

Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi. Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi. Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.

All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici. Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici". Gridare al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.


Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano. È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche. Il Partito comunista italiano è un paese pulito in un paese sporco, un paese onesto in un paese disonesto, un paese intelligente in un paese idiota, un paese colto in un paese ignorante, un paese umanistico in un paese consumistico. 

In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro.

Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo. La divisione del paese in due paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività. Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere. Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci  riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.

Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpes e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto. L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.


Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire.

Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso non pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana.

E lo faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.

Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.

Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon -  questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero colpo di Stato.





Curatore, Bruno Esposito

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