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venerdì 22 luglio 2016

Da Salò alla Turchia - Il nudo è la metafora del potere.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Da Salò alla Turchia

Il nudo è la metafora del potere.

Ho preso a simbolo di quel potere che trasforma gli individui in oggetti il potere fascista e nella fattispecie il potere repubblichino. Ma, appunto, si tratta di un simbolo. In realtà lascio a tutto il film un ampio margine bianco, che dilata quel potere arcaico, preso a simbolo di tutto il potere, e abbordabili alla immaginazione tutte le sue possibili forme. Nel potere - in qualsiasi potere, legislativo e esecutivo - c’è qualcosa di belluino. Nel suo codice e nella sua prassi, infatti, altro non si fa che sancire e rendere attualizzabile la più primordiale e cieca violenza dei forti contro i deboli: cioè, diciamolo ancora una volta, degli sfruttatori contro gli sfruttati. I potenti di De Sade non fanno altro che scrivere Regolamenti e regolarmente applicarli... 
P.P. Pasolini, Autointervista, 
in CORRIERE DELLA SERA, 
25 marzo 1975



L’immagine dei corpi maltrattati e umiliati dei militari arrestati in Turchia, schiene curve e braccia legate, piegati verso la terra, denudati e privati di ogni facoltà decisionale e di ogni libertà, annientati nella dignità e ridotti a cose senza alcun rispetto per la persona, è rimbalzata in questi giorni su televisione e giornali di tutto il mondo, in un’escalation progressiva di violenza che inizia, per rimanere a questo secolo, con l’11 settembre del 2001.


Il potere rituale di cui parlava Pasolini in Salò o le 120 giornate di Sodoma, film quanto mai violento quando si vide per la prima volta, ritorna oggi drammaticamente, a quaranta anni di distanza, come una lugubre profezia nelle immagini citate e scandalosamente estreme di un’ennesima messa in scena del potere o dell’io egemonico e arrogante, che ci sembrava ormai relegata nel passato remoto. La privazione della libertà e l’umiliazione urbi et orbi, cui vengono sottoposti prigionieri senza diritti, ripropone l’emblema del campo di concentramento, o, per dirlo con le parole di Giorgio Agamben, della “nuda vita” calpestata, anticamera dello “stato di eccezione” in situazioni di emergenza, accolto da regimi democratici europei e ancora più clamorosamente e istantaneamente in auge in regimi pronti a stravolgere qualsiasi diritto e ogni procedura penale a scapito dei cittadini.

Dai dialoghi del film pasoliniano: “La cosa comincia a preoccuparmi, dopotutto, quando ognuno di noi fa dei corpi delle sue vittime ciò che vuole, egli non è che Dio in terra!". “
“Ma dopo aver meditato a lungo sono giunto a una conclusione liberatrice: basta sostituire la parola DIO con la parola POTERE”.
Gabriella Sica.






Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi

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