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lunedì 28 dicembre 2020

18 febbraio 1975. I Nixon italiani

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




18 febbraio 1975. I Nixon italiani
(Sul «Corriere della sera» col titolo «Gli insostituibili Nixon italiani»)
(Scritti Corsari Editore Garzanti, 1975)

Ho visto alla televisione per qualche istante la sala in cui erano riuniti in consiglio i potenti democristiani che da circa trent'anni ci governano. Dalle bocche di quei vecchi uomini, ossessivamente uguali a se stessi, non usciva una sola parola che avesse qualche relazione con ciò che noi viviamo e conosciamo. Sembravano dei ricoverati che da trent'anni abitassero un universo concentrazionario: c'era qualcosa di morto anche nella loro stessa autorità, il cui sentimento, comunque, spirava ancora dai loro corpi.

richiami di Fanfani all'ancien régime, pieni di ampollosa spregiudicatezza, erano talmente insinceri da rasentare il delirio; i giovani descritti da Moro erano fantasmi quali possono essere immaginati solo dal fondo di una fossa dei serpenti; il silenzio di Andreotti era intriso di un cereo sorriso di astuzia terribilmente insicura e ormai timida senza riparo...

Appunto Andreotti. E' alla sua risposta che dovrei replicare.
Naturalmente non senza esitazioni. Ciò che temo è che egli mi abbia a bella posta - con l'abilità ch'è naturale al potere - trascinato nella sua palude. Dunque, se in tale palude - in tale grigiore - io gli rispondo, faccio il suo gioco.

Se non rispondo, però, non faccio il mio gioco.

In cosa consisterebbe l'abilità di Andreotti (se c'è)? Nell'avere risposto a un articolo che io non ho scritto. Infatti a me non potrebbe mai nemmeno venire in mente di scrivere qualcosa che concerna il malgoverno o il sottogoverno. Ci sono centinaia di giornalisti e di politici, molto più informati di me, che scrivono appunto, e da trent'anni, sul malgoverno e il sottogoverno democristiano. Andreotti, secondo l'ipotesi che sto qui formulando, avrebbe finto di annoverarmi tra coloro che scrivono del malgoverno e del sottogoverno democristiano, e di conseguenza avrebbe scritto una finta difesa d'ufficio. In questo «gioco di finzioni» io non avrei potuto che perdermi.

Invece voglio escludere - almeno per ora - questa attendibilissima ipotesi del «gioco delle finzioni» in cui Andreotti mi avrebbe, non senza cortesia, impantanato: voglio accettare la lettera della sua risposta, voglio credere nella sua sincerità. Voglio credere che, anche parlando con lui a quattr'occhi - e con l'ipotetica certezza della massima sua buonafede - egli mi avrebbe dato la risposta che mi ha dato pubblicamente sul «Corriere».

In tal caso egli non avrebbe finto di non aver capito ciò che io ho scritto a proposito della Democrazia cristiana: egli non avrebbe realmente capito ciò che io ho scritto.

In cosa consiste infatti, onestamente, la sua difesa della Democrazia cristiana (contro chi, in questo senso, non si è mai sognato di attaccarla)? Consiste in un lungo, prevedibile e diligente elenco dei meriti, appunto della Democrazia cristiana. Tale elenco non è privo, tecnicamente, di una certa allure liturgica: si sa che tutte le religioni hanno un debole per gli elenchi, il cui schema è il comandamento, la litania, il rosario. Ciò depone in un certa senso a favore di Andreotti, perché dimostra inequivocabilmente - come ogni prova linguistica - che la sua buonafede cattolica, risalendo all'infanzia, ha qualcosa di sincero.

Tuttavia, per quanto ci riguarda, tale elenco andreottiano dei meriti della Democrazia cristiana ci si presenta essenzialmente, e fatalmente, come un elenco di Opere del Regime. Non lo dico tanto per polemica (c'è anche questa, s'intende, visto che io ho sinceramente voluto accettare la sincerità della risposta di Andreotti), ma lo dico soprattutto per rilevare un fenomeno che è oggettivamente comune a tutte le Opere del Regime, e che è il seguente: le Opere del Regime non sono Opere del Regime. Sono soltanto Opere che il Regime non può non fare. Le fa, naturalmente, nel modo peggiore (e in questo la Democrazia cristiana non si distingue dagli altri Regimi) ma, ripeto, non può non farle. Qualsiasi governo in Italia verso la fine degli anni trenta avrebbe bonificato le Paludi Pontine: il Regime Fascista ha elencato tale bonifica, di comune amministrazione, tra le proprie Opere. Di tutte le Opere che Andreotti liturgicamente elenca come meritevoli Opere del Regime Democristiano, si potrebbe ripetere la stessa cosa: il Regime Democristiano non poteva non farle. E, ripeto, le ha fatte malissimo. Ma io non mi occupo di malgoverno o di sottogoverno. Solo se io mi occupassi di malgoverno o di sottogoverno potrei notare come nell'elenco di Andreotti manca ogni accenno agli ospedali e alle scuole (si accenna alla «popolazione scolastica» facendone una petizione di principio: come se cioè gli italiani fossero migliorati dalle scuole italiane e non invece peggiorati).

Prendo due delle più rilevanti delle Opere elencate da Andreotti, cioè la costruzione di case («gli italiani che abitano una casa di cui sono proprietari hanno superato il cinquanta per cento») e lo spostamento di grandi masse dalle campagne alla città («milioni di contadini sono passati al lavoro industriale o a quello autonomo»).

Si tratta di due fenomeni che Andreotti vede da un punto di vista strettamente pragmatico, fattuale, materiale, quasi direi nomenclatorio. Essi si presentano nell'elenco come freddamente privi di significato al di fuori del loro mero esserci (od essere attuali).

Puro nominalismo amministrativo. Andreotti non si cura, quasi non fosse affar suo, degli effetti umani, culturali, politici di tali fenomeni. Pare non aver sentito neanche mai parlare della degradazione antropologica derivante da uno «sviluppo senza progresso», qual è stato quello italiano con le sue case e il suo urbanesimo. A parte il fatto che le case costruite in Italia negli anni del Trentennio democristiano sono una vergogna, e che le condizioni di vita a cui sono costretti i contadini emigrati nel Nord o in Germania sono atroci. (Ma io non sono uno che si occupa di malgoverno o di sottogoverno.) Per restare dunque al gioco che in realtà non dovrei accettare, farò a proposito dei due fenomeni assunti ad esempio, le seguenti osservazioni.

A proposito della costruzione di case e dell'abbandono delle campagne, si possono verificare con particolare precisione e pertinenza - credo anche statisticamente - le due «fasi delle lucciole» di cui parlavo nel mio vero articolo.

Infatti, durante la «fase della presenza delle lucciole» (anni cinquanta) le case, che attraverso una serie di scandali edilizi memorabili, la Democrazia cristiana ha tuttavia costruito, sono un'opera a cui la Democrazia cristiana è stata costretta dalla più normale e tradizionale lotta di classe. E lo stesso vale per la politica agraria. La Democrazia cristiana vi ha messo di proprio, di originale, appunto, le speculazioni, e gli spari della polizia.

Durante la «fase della scomparsa delle lucciole» (anni sessanta e settanta) si ha un completo rovesciamento della situazione: si ha cioè quella «soluzione di continuità» che io non ho esitato, e non esito ora, a dichiarare millenaristica: il passaggio da un'epoca umana a un'altra, dovuta all'avvento del consumismo e del suo edonismo di massa: evento che ha costituito, soprattutto in Italia, una vera e propria rivoluzione antropologica. In questa «fase» a spingere la Democrazia cristiana alle Opere non è stata (se non relativamente, all'inizio) la classe operaia guidata dal pci: sono stati, al contrario, i padroni, con la loro inarrestabile «espansione economica». La quale ha appunto costruito - attraverso un'inebbriata Democrazia cristiana - miriadi di case e ha risucchiato dalla campagna milioni di contadini.

Anche in questo la Democrazia cristiana non c'entra. Tanto non c'entra che (pare) non si è nemmeno accorta di nulla. Non si è accorta di essere divenuta, quasi di colpo, nient'altro che uno strumento di potere formale sopravvissuto, attraverso cui un nuovo potere reale ha distrutto un paese. Andreotti non spende naturalmente che due parole, rispondendomi, a proposito della Chiesa. Ma la Chiesa è appunto uno di quei valori che il nuovo potere reale ha distrutto, compiendo un vero e proprio genocidio di preti, che rientra nel quadro di un ben più imponente e drammatico genocidio di contadini. Non voglio passare io dalla parte della Chiesa e degli analoghi valori, cancellati pragmaticamente dallo «sviluppo». Ma Andreotti non può certo venirmi ad accusare che io non me ne faccia un problema.

Lui infatti ride delle lucciole io no.

Ma, fatto il mio grigio dovere, ecco che è giunto il momento ch'io torni sulla prima ipotesi che ho formulato: l'assai più divertente ipotesi, cioè, che Andreotti abbia finto di non avermi capito, dandomi quindi una risposta che ha fuorviato e seppellito tutto. Che tale ipotesi abbia serie probabilità di essere quella giusta può essere dimostrato dal fatto che Andreotti - verso la fine del suo intervento - nel punto più retoricamente delicato, quello che precede la perorazione, abbia fatto una oscura allusione alla sorte di Nixon. Il senso diplomatico di tale oscura allusione è tuttavia chiaro, ed è il seguente: qui in Italia, miei cari, non si può fare come si è fatto in America con Nixon, cioè cacciare via chi si è reso responsabile di gravi violazioni al patto democratico: qui in Italia i potenti democristiani sono insostituibili.

C'è una sfida quasi luciferina in questa oscura allusione di Andreotti dal senso così chiaro. I potenti democristiani sono paragonabili (anzi, sono paragonati) a Nixon: e con ciò?

Non solo - sembra dire Andreotti - i successori di Nixon seguono la stessa politica di Nixon e continuano dunque a sostenere per quanto riguarda almeno l'Italia, gli equivalenti di Nixon; non solo, qui in Italia, non ci sarebbe un mediocre Ford pronto eventualmente a sostituire i nostri Nixon (tutti sanno cosa sia divenuta una carriera politica in Italia, e come gli avvocatucci provinciali e volgari eletti deputati fino a una diecina di anni fa, siano dei giganti rispetto ai loro possibili successori di oggi), non solo, ma i nostri Nixon sono infinitamente più potenti del Nixon americano: essi hanno trovato appunto, a quanto pare, il modo di rendersi insostituibili. Il legame che unisce infatti questa allusione di Andreotti a una sua altrettanto significativa omissione è di una perfetta logicità.

Voglio dire che - pur accennando alla criminalità, comune e politica, che, quasi caduta dal cielo, caratterizza l'odierna vita italiana - Andreotti ha omesso nel suo articolo di parlare della «strategia della tensione» e delle stragi.

Dunque gli uomini che decidono la politica italiana - e in definitiva la nostra vita - primo: non sanno nulla, o fingono di non saper nulla, di ciò che è radicalmente cambiato nel «potere» che essi servono, praticamente detenendolo e gestendolo, secondo, non sanno nulla, o fingono di non saper nulla, sull'unica «continuità» di tale potere, cioè sulla serie di stragi. Ciò è scandaloso. E io sono scandalizzato: a rischio di essere anche ingeneroso e conformista (come è sempre chi è scandalizzato, e si fa, quindi, portavoce di un sentimento comune e maggioritario, non privo di qualunquismo). E' chiaro comunque che fin che i potenti democristiani taceranno sul cambiamento traumatico del mondo avvenuto sotto i loro occhi, un dialogo con loro è impossibile.

Ed è altrettanto chiaro che fin che i potenti democristiani taceranno su ciò che invece, in tale cambiamento, costituisce la continuità cioè la criminalità di Stato, non solo un dialogo con loro è impossibile, ma è inammissibile il loro permanere alla guida del paese. Del resto c'è da chiedersi cos'è più scandaloso: se la provocatoria ostinazione dei potenti a restare al potere, o l'apolitica passività del paese ad accettare la loro stessa fisica presenza («...quando il potere ha osato oltre ogni limite, non lo si può mutare, bisogna accettarlo così com'è», Editoriale del «Corriere della sera», 9-2-1975).




Curatore, Bruno Esposito

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