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mercoledì 30 luglio 2014

Pasolini - Perché allo Strega no e al Festival sì -l’ultima stagione pasoliniana corsara e luterana - Prima parte

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




UNIVERSITÀ DEGLI STUDI "ROMA TRE" ROMA 
DOTTORATO DI RICERCA 
IN 
STUDI DI STORIA LETTERARIA E LINGUISTICA ITALIANA 
XXII CICLO 
TESI DI DOTTORATO 
1968-1975:
l’ultima stagione pasoliniana, corsara e luterana


Candidato:                                                                                        Docente tutor: 

Andrea Di Berardino                                                 Chiar.Mo Prof. Giuseppe Leonelli 


ANNO ACCADEMICO 2008 / 2009  
ANDREA DBERARDINO 



Stampato da Garzanti, nel marzo del 1968 arriva in libreria Teorema, in anticipo di qualche mese sulla data di distribuzione nelle sale cinematografiche dell‟omonimo film, le cui riprese prendono avvio in contemporanea con l‟uscita del testo e si concludono a maggio. Così Pasolini stesso, nella «bandella editoriale»98, presenta e giustifica il bifrontismo dell‟opera («a metà strada fra la sceneggiatura e il romanzo»(99)):
 
Teorema è nato, come su fondo oro, dipinto con la mano destra, mentre con la mano sinistra lavoravo ad affrescare una grande parete (il film omonimo). In tale natura anfibologica, non so sinceramente dire quale sia prevalente: se quella letteraria o quella filmica. Per la verità, Teorema era nato come pièce in versi, circa tre anni fa; poi si è tramutato in film, e, contemporaneamente, nel racconto da cui il film è tratto e che dal film è stato corretto.(100)
 
Il progetto originario, dunque, prevedeva che Teorema divenisse la «settima tragedia in versi della serie iniziata con Orgia»101 esattamente due anni prima, quando – nel giro di appena un mese di convalescenza seguito ad un violento attacco di ulcera – erano stati composti gli altri sei testi teatrali (a quello inaugurale si aggiunsero infatti Calderón, Pilade, Affabulazione, Porcile e Bestia da stile)102. Ciò spiega anche perché buona parte della critica coeva, sia militante che accademica, rimanga sostanzialmente indifferente dinanzi a questa nuova prova narrativa pasoliniana, la quinta in ordine cronologico di pubblicazione – dopo Ragazzi di vita nel 1955, Una vita violenta nel 1959, Il sogno di una cosa nel 1962 e Alì dagli occhi azzurri nel 1965: tutte uscite per i torchi garziantiani – e forse la più difficile da rubricare in un preciso genere letterario (senza considerare il postumo Petrolio, secondo molti interpreti a metà tra l‟ircocervo e lo scartafaccio). Nel tacito ed unanime giudizio dell‟establishment culturale, insomma, il libro rappresentava una sorta di semplice atto di presenza da parte di uno scrittore sopravvissuto a fatica, ormai da anni prestato definitivamente al grande schermo: «Teorema fu accolto dai critici, tranne l‟eccezione di Garboli, come fosse un treatment e null‟altro: uno stratagemma di ex narratore preoccupato, occhio al mirino della camera, di farsi vivo nell‟arengo letterario»103.
Cesare Garboli risultò appunto il lettore che più prese sul serio Teorema, dedicandogli una recensione completa e ricca di spunti illuminanti104. Per cominciare, il critico parte dalla dichiarazione pasoliniana sulla natura del testo, alla quale aggancia un‟osservazione sul particolare valore che i cromatismi – croce e delizia già per il narratore dei ragazzi di vita – rivestono nell‟opera:
 
La confessione artigianale è importante, aiuta a raccapezzarsi in un testo che sembra scritto davvero col pennello, farcitissimo di richiami figurativi, continua vicenda e fuga di cromatismo. Nelle tinte dominanti, il verde, il grigio (sui bianchi), l‟azzurro, Pasolini si produce perfino nel pastello, senza però dimenticare la sua predilezione per i grandi oli manieristici, le nere figure angosciate, i cieli vertiginosi e caravaggeschi, le gonfie nubi tenebrose listate di assurdi sereni. Ma in Teorema, che si svolge tra Milano e la Bassa, i toni accesi, passionali, si spengono volentieri nella diffusa ruggine degli autunni, si smorzano in una luce sognante, diafana, di annegante dolcezza, verso il gusto di una pittura bagnata di musica.1(05)
 
Di tutto rispetto, sottolinea poi Garboli, è lo stile del libro, che poco ha da spartire con la sciatteria, talvolta esibita come un vanto, che permea di norma il genere pseudo-letterario a cui Teorema dice di appartenere:
 
Teorema, abbiamo detto, è un trattamento, un “film scritto”. Ma è singolare e prestigiosa, quanto ricca di superiore naturalezza, la perizia con la quale lo scrittore ha utilizzato, ricopiandoli pari pari, e nello stesso tempo rivoltandoli fino a renderli irriconoscibili, appunto quei modi sommari, insieme pretenziosi e volgari, che contrassegnano di regola la stesura di ogni “treatment”, destinato, ovviamente, a usi pratici.(106)
 
Passando infine dal piano della forma a quello del contenuto, ugualmente felici sono gli esiti dell‟inventio di Pasolini, il quale, mediante un registro che sembra trarre ispirazione dalla vena tipica della Morante, si avvicina alla produzione favolistica di uno degli auctores del Decadentismo europeo:
 
Il risultato è uno stile da flauto magico, tutto nativo e figurale. Si sente in questa direzione la presenza di un modello coevo e congeniale, Elsa Morante, grande comprimaria creaturale (il fiabeggiare da contemporanea e insieme da sopravvissuta, ricco d‟ironia, modo naturale della Morante, diventa in Teorema una conquista). Mentre l‟idea di Teorema, Mammona che s‟innamora di Dio, anche nel modo in cui si è svolta, sarebbe piaciuta a Oscar Wilde, al Wilde delle favole.(107)
 
La lettura di Garboli doveva comunque restare un unicum, come testimonia la posizione assunta da un altro critico un decennio dopo la morte di Pasolini. A circa venti anni dalla comparsa di Teorema, infatti, in una tra le più complete monografie a lui dedicate, Golino riprese e sintetizzò le perplessità della repubblica delle lettere anche sul reale valore estetico dell‟opera:
 
Per quel che riguarda i contenuti e i personaggi, si avverte il suo [dell‟autore] impaccio nel raccontare il mondo dei ricchi. Per quel che riguarda la struttura, il testo è un prodotto ambiguo, di natura anfibia, dovendo servire sia l‟aspetto letterario sia la destinazione cinematografica.(108)
 
Nella fattispecie, lo studioso appoggiava la sua valutazione sulle parole pasoliniane introduttive al racconto, esplicitamente rivelatrici di una non eccelsa ambizione:
 
L‟autore stesso, ben consapevole di ciò che scrive, mette le mani avanti: «come il lettore si è già certamente accorto, il nostro, più che un racconto, è quello che nelle scienze si chiama “referto”: esso è dunque molto informativo; perciò, tecnicamente, il suo aspetto più che quello del “messaggio”, è quello del “codice”».(109)
 
Date queste premesse, nelle quali certe ammissioni autoriali appaiavano la freddezza della ricezione, poté magari apparire sorprendente la decisione di far concorrere Teorema al premio “Strega”. In realtà, la partecipazione alla manifestazione romana organizzata dai coniugi Bellonci – che allora giungeva alla XXII edizione – non era certo una novità per Pasolini, già in gara con Ragazzi di vita nel 1955 (anno della vittoria di Giovanni Comisso con Un gatto attraversa la strada(110)) e con Una vita violenta nel 1959 (quando il riconoscimento andò al “caso” narrativo per antonomasia del decennio Cinquanta, Il gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa(111)).
Come vuole una consuetudine invalsa nella cerchia degli scrittori che si presentano allo “Strega”, le settimane antecedenti coincidono con il momento dell‟oro vos faciatis, delle richieste di voto rivolte ai giurati amici. Non si sottrae al tradizionale rito Pasolini, che interpella per corrispondenza alcuni esponenti del coté letterario di quegli anni: scorrendo l‟epistolario curato dal cugino Nico Naldini(112), si rinvengono in totale 6 lettere dattiloscritte indirizzate ad altrettanti votanti. La serie è aperta dal biglietto inviato a Vittorio Bodini (il messaggio è senza data, ma il timbro postale sulla busta risale al 22 maggio; la breve lettera fu scritta da Roma – come del resto tutte le altre del gruppo – e spedita sempre alla volta della capitale). «Una richiesta di suffragio»: come notato da Naldini(113), l‟espressione che campeggia in questa prima missiva alla maniera di un titolo, può essere considerata eponima dell‟intero, piccolo fascio di lettere, oltre a fotografare con fedeltà lo stato d‟animo e le aspettative pasoliniani:
 
Caro Bodini,
ho fatto lo spoglio dei votanti allo Strega ed ho selezionato secondo un curioso criterio: ho selezionato cioè le persone la cui idea non mi inibisce nello scrivere un biglietto come questo: una richiesta di suffragio. Tu sei entrato immediatamente in questa inusitata lista. Spero che tu mi perdoni la debolezza di non essermi chiuso in un superbo silenzio, – sono anzi certo che me lo perdonerai.(114)
 
Segue l‟appello rivolto a Lanfranco Caretti – anche questo privo di data; fu spedito a Firenze, dove il critico era allora docente all‟università –, redatto in un registro più formale rispetto al precedente, dove il “tu” indicava subito una maggiore confidenza con l‟interlocutore:
 
Caro Caretti,
vedendo che lei è un votante dello Strega, l‟ho messa subito nell‟elenco delle persone cui non provavo troppa timidezza o addirittura vergogna a scrivere: per chiederle, insomma, il voto. Concorro al premio con “Teorema” (che spero lei abbia avuto, altrimenti me lo faccia sapere, che provvedo a spedirglielo). Mi scusi per questo biglietto effettivamente non tanto simpatico…(115)
 
Con cordialità, lo studioso risponde il 22 maggio, cogliendo anche l‟occasione per invitare il poeta a tenere un seminario per gli studenti dell‟ateneo toscano (e nel biglietto sono interessanti i passi nei quali la contestazione del ‟68 viene implicitamente osservata ex cathedra da un letterato della “vecchia guardia”, eppure con uno sguardo che si avverte equanime):
 
Caro Pasolini,
è cosa fatta, tanto più che ci avevo già pensato. Sono contento che tu mi abbia scritto. Il ritorno a Firenze, dopo undici anni pavesi, è stato calamitoso tra alluvione e agitazioni universitarie. Tuttavia io lavoro bene col mio gruppo in tutti i sensi. L‟anno prossimo verresti a conversare coi miei laureandi? Vogliono fare a tutti i costi un “seminario” su D‟Annunzio poeta. Ho accettato per… democrazia. Vedremo. E molto ci terrei che due o tre amici “poeti” venissero a dirci ciò che ha significato per loro D‟Annunzio. Ci posso contare?(116)
 
La lettera successiva, ad Alessandro Bonsanti – inviata dunque ancora a Firenze –, è l‟unica a non essere conservata presso il destinatario, dato che si trova nell‟Archivio Contemporaneo del Gabinetto Viesseux, nel fondo della rivista “Letteratura” (per la datazione soccorre nuovamente il timbro postale: «14 giugno»). Emerge qui il retroscena di una qualche pressione ricevuta dall‟editore, a cui un eventuale successo del libro alla prestigiosa manifestazione avrebbe garantito ovvi benefici nelle vendite; a Pasolini, per converso, interessa certo di più che l‟opera abbia avuto una favorevole accoglienza presso un autorevole lettore specialista (anche se nell‟inciso corrispondente forse non manca una punta di ostentazione):
 
Caro Bonsanti,
sono almeno due settimane, che spinto dall‟editore, che mi ha fornito gli elenchi degli elettori, devo scriverle per chiederle, non senza vergogna, il voto per lo “Strega”: lo faccio ora, molto in ritardo, per inerzia, sperando che Lei non si sia già impegnato con un altro – o, meglio ancora, molto meglio – sperando che “Teorema” le sia piaciuto.(117)
 
Senza data si presenta invece il messaggio, spedito a Bologna, a Luciano Anceschi, nel quale affiora tra le righe qualche ricordo autobiografico dell‟infanzia del mittente. Nella fattispecie, un tratto anticipa quasi per intertestualità il passo di un‟intervista concessa qualche anno più tardi a Dacia Maraini (uscita nel 1971 sul numero di maggio del mensile “Vogue Italia”118), nel quale rivive l‟orgoglio del bimbo primo della classe: «Ho dei ricordi gloriosi. Ogni mese (in prima elementare, a Conegliano) distribuivano le medaglie ai più bravi. Mi ricordo un meraviglioso fiocco verde. Tornavo a casa di corsa. Vedevo mia madre alla finestra e le indicavo col dito il fiocco sul petto»119. Alla fine della lettera, il filo rosso della rimembranza si riannoda al presente e permette di ironizzare sul legame tra vanità personale e malattia, alterando il testo e trasformandolo in qualcosa che non stonerebbe – per esplicita dichiarazione d‟autore – nella struttura di una silloge poetica pasoliniana:
 
Caro Anceschi,
ti scrivo, dopo tanto tempo e tante cose, per una ragione un po‟ triste e avvilente, lo ammetto: vorrei cioè chiederti se voti per me al Premio Strega (sempre che ti piaccia il libro). Un po‟ spinto dalla vanità e un po‟ dall‟editore, mi accingo a calcare le virgolette che contengono il mio nome. Male! Ma da bambino ero così felice quando ero premiato a scuola, soprattutto per la felicità materna. Sarà questo (ragione anche per cui mi è venuta poi l‟ulcera). Certo, il contenuto di questa lettera sarebbe più adatto a una poesia “in falsetto” dell‟Usignolo della Chiesa Cattolica: ma tu fingi che lo sia.(120)
 
Più articolata è la lettera spedita a Racalmuto (Agrigento) ed indirizzata a Leonardo Sciascia (anche in questa circostanza il dattiloscritto è privo di data). Si divide infatti in due parti, ciascuna racchiusa da un capoverso: nella prima viene formulata la consueta richiesta di sostegno, nella seconda – quasi sotto forma di un lungo, anomalo poscritto – viene prospettata la collaborazione dello scrittore siciliano al progetto di rinnovamento del genere teatrale (definita in un‟altra missiva «una cosa a cui tengo moltissimo, e da cui dipende tutto il mio lavoro futuro»121, l‟iniziativa aveva già sollecitato il coinvolgimento di altri fidi compagni nella cerchia letteraria dell‟epoca). La voce del mittente calca soprattutto sul significato simbolico che assumerebbe l‟affermazione al premio, considerata non tanto in una banale prospettiva narcisistica, quanto come un modo per scongiurare l‟isolamento cui Pasolini si sentiva condannato:
 
Caro Sciascia,
ho avuto la maledetta tentazione (gli editori in questo caso sono diabolici) di partecipare al Premio Strega: ma in fondo mi diverte. Ho bisogno di voti non tanto per vincere, quanto per non venire a sapere che sono completamente isolato ed abbandonato – a parte pochi, stretti amici. Spero che tu sia uno di questi, e che tu decida di votare per me! Se non hai avuto Teorema, fammelo sapere, che te lo faccio mandare.
Ti saluto affettuosamente… Però prima vorrei accennarti a un‟altra cosa, più seria. Hai letto il mio Manifesto per un nuovo teatro sull‟ultimo “Nuovi Argomenti”? Se sei appena un po‟ d‟accordo su quanto dico – un teatro di schema ateniese, senza azione scenica – perché non pensi a scrivere una tragedia? O a tradurne, almeno, una dal greco (Bertolucci Alcesti, Leonetti Prometeo, Siciliano Ippolito, Morante Filottete…). Infatti lo Stabile di Torino e di Roma mi finanziano insieme un teatro, che sarà anche un centro di incontri, un vero e proprio “foro”. Pensaci seriamente, perché so che la tua severità, la tua puntigliosità, la tua ispirazione concentrata sono elementi ideali per quel teatro che vorrei fare.(122)
 
L‟ultimo biglietto della serie viene inviato a Milano ed ha per destinatario Francesco Leonetti, il vecchio compagno di strada – assieme a Roberto Roversi – dell‟avventura di “Officina”. In queste parole la preoccupazione dichiarata, vera o fittizia che sia, sembra riguardare non la vittoria, ma addirittura l‟ingresso di Teorema nella rosa – la «cinquina» – dei libri finalisti (nelle poche righe Pasolini chiede anche notizie sullo stato di avanzamento del lavoro teatrale “commissionato” al sodale):
 
Caro Francesco,
ti scrivo rapidamente per ricordarti che sei votante del Premio Strega, e che avrei bisogno del tuo voto. Non dimenticarlo, ché rischio di non entrare nella cinquina!
E poi volevo sapere come vanno le cose – e soprattutto, te lo confesso – a proposito del teatro (organizzativamente le cose vanno avanti: e tu potresti passare un periodo tranquillo a Roma a fare la regia mettiamo del “Prometeo”, o magari fare l‟attore).(123)
 
Per quanto non ne resti traccia nell‟epistolario – per così dire – “in uscita”, tra gli interpellati figurava anche il nome del decano Aldo Palazzeschi (all‟epoca ottantatreenne), il quale rispose in data 8 giugno con la proverbiale, stilematica bonomia:
 
Caro amico,
sono affascinato da questo Suo desiderio d‟una cosa della quale non ha nessun bisogno ma che rivela una limpida giovinezza in lei, oltre ad una candida bontà. E allora il mio più affettuoso augurio per il trionfo che non dovrebbe mancare nonostante sia combattuto.
La mia leggerezza? Lo so, dipende dal fatto che sono sul punto di voler prendere il volo.
Il mio più affettuoso augurio e a presto. Spero di avere una serata favorevole per assistere al premio.(124)
 
Le beneauguranti parole palazzeschiane anticipavano di una decina di giorni l‟inizio dei lavori della giuria dello “Strega”, la quale s‟insediò mentre in Italia il clima culturale era ancora teso e ben lungi dall‟estinguersi avvampavano le fiamme della rivolta che aveva appena incendiato il maggio studentesco. Nella vox populi di quei momenti s‟insinuava persino il timore strisciante di un imminente assalto contro la manifestazione romana, nuovo potenziale bersaglio della furia giovanile, iconoclasta ed anti-accademica:
 
La prima votazione del premio avveniva il 18 giugno, come al solito in casa Bellonci, via Fratelli Ruspoli 2, a Roma. Corse voce che gli studenti universitari, spinti dall‟urgenza di ridicolizzare i cabotaggi di una cultura sclerotizzata, avrebbero marciato sugli scrittori radunati.
Non vi fu alcuna marcia.
Nella votazione risultò primo il romanzo di Alberto Bevilacqua, L’occhio del gatto; seguiva Teorema.(125)
 
Scampato il pericolo della contestazione, un colpo di scena si materializzò comunque, nelle sembianze di un inopinato «gran rifiuto» di matrice pasoliniana (imitato dall‟azione quasi congiunta di altri autori in gara): «Pasolini decideva di ritirarsi dal premio, e con lui lo decideva Antonio Barolini, quindi Cesare Zavattini e Giulio Cattaneo, tutti partecipanti»126. Le ragioni del sorprendente gesto furono esternate pubblicamente una settimana dopo, nell‟articolo – intitolato In nome della cultura mi ritiro dal Premio Strega – apparso in data 24 giugno sul quotidiano “Il Giorno”127. L‟esordio dell‟intervento oggettiva la decisione, osservandola con l‟ottica del lettore comune naturaliter portato a censurare un comportamento del genere:
 
La prima reazione di un osservatore oggettivo e un po‟ indifferente, nel venire a sapere che un partecipante al Premio Strega, poco prima della seconda votazione, ritira il suo libro, è che si tratti di un‟azione scorretta. Ebbene, lo è. Si tratta di una scorrettezza formale: e si sa che la correttezza formale è una delle basi della convivenza democratica.(128)
 
Riconosciuto, dal punto di vista della forma, il proprio errore, nelle righe immediatamente successive il ritiro si configura tuttavia come faute de mieux:
 
Benché questo non mi sia costato molta fatica, ho dovuto dunque usare una certa violenza contro me stesso, in questa decisione di ritirarmi dal premio […].
Perché ho usato questa violenza contro il mio legalitarismo e il mio rispetto per le formalità democratiche? Perché ero posto di fronte a un dilemma: o andarmene, scorrettamente – e questo era male – o restare – correttamente – e questo era un male ancora peggiore. È molto semplice dire il perché.(129)
 
Ma prima di spiegare a chiare lettere il motivo dietro una scelta all‟insegna del “male minore”, Pasolini – magari con un occhio alla salvaguardia della suspence giornalistica – ricostruisce in sintesi gli antefatti («voglio fare un breve riassunto di quello che è successo in questi giorni»130). E innanzitutto, in queste righe, viene svelata la ragione che ha spinto lo scrittore ad entrare nella competizione, cioè il retaggio nell‟adulto di quella «soddisfazione infantile», procurata dai primi successi scolastici, che nella lettera ad Anceschi era rimasto soltanto abbozzato:

Come il lettore forse sa, alla prima votazione del premio la rosa si era ristretta a cinque nomi: Bevilacqua (103 voti), io (62), Cattaneo (56), Barolini (52) e Zavattini (37). Io avevo deciso di partecipare al premio così come si partecipa a un gioco (a una lotteria come dice Zavattini): per avere la soddisfazione infantile di essere premiato. Insomma ho partecipato, con leggerezza, col gusto del rischio, con curiosità, con vanità – magari per far piacere a mia madre – come quando tornavo a casa dalla prima elementare e mostravo dalla strada, a lei affacciata alla finestra, il nastro verde della medaglia di primo della classe, settimanalmente guadagnata (cattiva abitudine, ahimè). Bene. Piano piano, in questi giorni, la mia leggerezza si è mostrata ingenuità, e questa ingenuità, complicità.(131)

Risalendo sempre a ritroso il corso del tempo, dopo la parentesi-flashback sui più remoti anni di scuola, Pasolini ripercorre brevemente anche le circostanze che lo avevano visto concorrere in due altre edizioni dello “Strega” (in entrambi i casi senza troppa fortuna, come viene di proposito sottolineato con il termine «sconfitta»), nell‟ambito di contesti storico-culturali profondamente differenti da quello di fine anni Sessanta:

È vero che già altre volte avevo partecipato al premio: con Ragazzi di vita, nel ‟55 o ‟56, e con Una vita violenta nel ‟59; e l‟elettorato (scelto arbitrariamente, ed è per questo che ho detto che chi decide di partecipare allo “Strega”, decide di partecipare a un “gioco”, e non come a una “competizione democratica”) ha decretato una mia dimostrativa sconfitta: ma quelli erano altri tempi, erano gli anni Cinquanta, con l‟Italia ancora paleocapitalistica, col suo Sud, i suoi sottogoverni ecc. ecc.(132)

L‟attualità racconta infatti di una manifestazione che ha cambiato volto in maniera radicale, rispetto al vecchio premio dai connotati “familiari” (pur con tutti i suoi limiti), conformandosi alla mutazione in corso nel resto della vita italiana:

Ora tutto è cambiato: mentre allora il Premio Strega era, come dire, una cosa in famiglia, pareva, partecipandovi, di andare a giocare a tombola coi vicini di casa – e quindi tutti i suoi piccoli pasticci, le sue micragnose alleanze, le sue contrattazioni galeotte facevano parte di un “malcostume”, contro cui non valeva nemmeno la pena di fare delle polemiche – oggi invece il Premio Strega è venuto a fare parte integrante di quella che si chiama “industria culturale” e si inquadra in un‟Italia borghese di tipo nuovo, contro cui non incombe più la minaccia romantica e antiquata di una rivoluzione operaia, che non è poi avvenuta. Il “malcostume” dunque non è più un fenomeno parziale, all‟interno di un particolarismo sociale (la vita letteraria), ma è un fenomeno integrale, riguardante la società italiana nel suo insieme.(133)

A questo punto l‟autore dell‟articolo, come a prevenire un‟ideale obiezione dei lettori, ammette di aver partecipato al premio in buona fede, cioè sottovalutando l‟incidenza su di esso delle mere ragioni economiche:

Il malcostume imperante al Premio Strega negli anni precedenti al nuovo corso della società italiana non mi offendeva dunque che parzialmente, e mi consentiva un certo cinismo: oggi non più. Ora, quando quest‟anno ho accettato di concorrere al premio, mi sono illuso – per colpa della mia natura recalcitrante a riconoscere il male e le malefatte – che le cose non fossero così gravi: la mia ingenuità mi ha dunque fatto commettere un errore: sarebbe stupido che ora non riconoscessi pubblicamente questo errore, e non cercassi di ripararlo, magari anche scorrettamente, cioè commettendo una nuova ingenuità.(134)

Se le edizioni dell‟immediato dopoguerra e degli anni Cinquanta mantenevano fede in tutto e per tutto (retroscena un po‟ provinciali compresi) al nome dei soci fondatori – il circolo degli “Amici della Domenica” – quelle più recenti, in coincidenza con il periodo di boom economico del Paese, non hanno saputo sottrarsi alle pressioni asfissianti della cosiddetta “industria culturale”. Così, la classifica finale dello “Strega” finisce per dipendere non dal valore intrinseco delle opere concorrenti, bensì da un fattore esterno quale la logica ferrea e spietata del mercato librario:

Insomma, sono venuto a conoscenza di fatti (di cui purtroppo non posso né, credo, potrò mai produrre prove) che mi hanno convinto che il Premio Strega è completamente e irreparabilmente nelle mani dell‟arbitrio neocapitalistico, che ciò che è avvenuto nel ‟66 non è stato un caso, ma un precedente: e che quest‟anno le cose si stanno ripetendo.(135)


99 M. A. BAZZOCCHI, Pier Paolo Pasolini, Milano, Bruno Mondadori, 1998, p. 187. 
100 E. SICILIANO, Vita di Pasolini, cit., p. 409. 
101 N. NALDINI, Pasolini, una vita, cit., p. 317. 
102 Cfr. E. SICILIANO, Vita di Pasolini, cit., p. 394. 
103 Ivi, p. 410. Lo scritto di Cesare Garboli è raccolto nel volume La stanza separata (Milano, Mondadori, 1969). 
104 Oggi il testo della recensione si legge nella recente ristampa della silloge: C. GARBOLI, La stanza separata, Milano, Scheiwiller, pp. 320-325. 
105 Ivi, p. 321. 
106 Ivi, p. 323. 
107 Ivi, p. 324. 
108 E. GOLINO, Pasolini. Il sogno di una cosa, cit., p. 93. 
109 Ibidem. 
110 Edito da Mondadori. 
111 Il romanzo era stato pubblicato postumo da Feltrinelli (nel 1958). 
112 P. P. PASOLINI, Lettere 1955-1975, a cura di N. NALDINI, Torino, Einaudi, 1988. 
113 Cfr. N. NALDINI, Pasolini, una vita, cit., p. 322. 
114 Ivi, p. 638. 
115 P. P. PASOLINI, Lettere 1955-1975, cit., p. 641. 
116 Ibidem. 
117 Ivi, p. 642. 
118 P. P. PASOLINI, Saggi sulla politica e sulla società, cit., pp. 1670-1681. 
119 Ivi, p. 1674. 
120 P. P. PASOLINI, Lettere 1955-1975, cit., p. 643. 
121 Ivi, p. 634 (la lettera a Livio Garzanti dell‟aprile 1968). 
122 Ivi, p. 644. Il Manifesto per un nuovo teatro uscì su “Nuovi Argomenti” (n.s., n. 9, gennaio-marzo 1968). 
123 Ivi, p. 645. 
124 Cfr. N. NALDINI, Pasolini, una vita, cit., p. 322. 
125 E. SICILIANO, Vita di Pasolini, cit., p. 411. 
126 Ibidem. 
127 P. P. PASOLINI, Saggi sulla politica e sulla società, cit., pp. 151-154. 
128 Ivi, p. 151. 
129 Ibidem. 
130 Ibidem. 
131 Ivi, pp. 151-152. 
132 Ivi, p. 152. 
133 Ibidem. 
134 Ivi, pp. 152-153. 
135 Ivi, p. 153. 



 
@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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