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sabato 5 luglio 2014

Pasolini in Friuli - Sesta Parte

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro





Pasolini in Friuli:


1° parte
2° parte
3° parte
4° parte
5° parte
6° parte
7° parte
8° parte


Il '43 è l'anno dell'abbraccio al Friuli: Pasolini, infatti, si stabilisce definitivamente a Casarsa, insieme con la madre e il fratello Guido. Fuggire dai bombardamenti di Bologna è il motivo più plausibile.


“(...) I soj tornàt di estàt.
E, in miès da la ciampagna,
se misteri di fuèjs!
E àins ch'a son passàs!

Adès, eco Fevràr,
sgivìns, ledris moràrs...
mi sinti cà ta l'erba,
i àins passàs par nuja”. (66)


Il '43 è l'anno dell'abbraccio al Friuli: Pasolini, infatti, si stabilisce definitivamente a Casarsa, insieme con la madre e il fratello Guido. Fuggire dai bombardamenti di Bologna è il motivo più plausibile (67), anche se con questo trasferimento ciascun membro della famiglia ha un desiderio da esaudire.
Ma scrive Amedeo Giacomini:
“Aveva lasciato Bologna, non per paura dei bombardamenti, ma per una sorta d'atto d'amore nei confronti del materno villaggio contadino, per ritirarsi in quel «paese dell'anima» a verificare concretamente, nel quotidiano, la validità e lo spessore delle tensioni ideologiche, poetiche e sentimentali che allora lo appassionavano” . (68)
Con la sistemazione definitiva a Casarsa, la terra friulana diventa esclusivo luogo di elezione che implica, necessita un impegno totale. In una lettera a Fabio Luca Cavazza del febbraio del 1943 dice che occorre dedicarsi «a problemi di educazione». E' il periodo in cui il direttore politico del “Setaccio”(69), Giovanni Falzone, punta i piedi di fronte all'impostazione data dal giovane Pasolini alla rivista. Nella stessa lettera a Cavazza, Pier Paolo scrive: “Ho pensato a lungo sul da farsi; e mi sono convinto di questo, che non dobbiamo cedere. Abbiamo parlato a lungo (...), della missione educatrice della nostra generazione, ed ora che abbiamo un mezzo per poter attuare questo - una goccia nell'oceano - perché dovremmo arrenderci?" (70). Con il precipitare degli eventi, le restrizioni sull'uso della carta provocano la scomparsa di molte riviste, e anche del "Setaccio". Ma se a Pasolini, in questo momento, viene a mancare il mezzo, gli restano un luogo, dei volti a cui rivolgere la sua passione educativa.
“La libertà è un nuovo orizzonte (...). Sento nelle narici un odore fresco di morti; i cimiteri del Rinascimento hanno la terra appena smossa e recenti le tombe. E noi abbiamo una vera missione, in questa spaventosa miseria italiana, una missione non di potenza o di ricchezza, ma di educazione, di civiltà (71). Casarsa, «topos del vagheggiamento giovanile di una terra mitica, pura» (72), non è più un'isola di pace, non è più il sereno rifugio di un tempo:


“O sen svejàt
Dal nòuf soreli!
O me cialt jet
Bagnàt di àgrimis!

Cu n' altra lus
mi svej a planzi
i dìs ch' a svualin
via coma ombrenis”. (73)


Pasolini scrive a Franco Farolfi nell'estate del '43:

“La guerra non mi è mai sembrata tanto schifosamente orribile come ora: ma non si è mai pensato cos'è una vita umana?”


La sensibilità del giovane Pier Paolo lo porta a sentir battere in lui il cuore di tutto il paese, il cuore di tutti quei ragazzi, compagni di nuotate, che parlano solo di aeroplani e che lui definisce ironicamente «ignavi di storia e di letteratura». (74) Pasolini, invece, conosce Ippolito Nievo, la sua amata fontana di Venchiaredo che l'ha visto vivere, ridere, e improvvisamente morire. (75) L'idea che la morte, la guerra possano privarlo del volto di suo padre o dell'amico Ermes Parini (76) lo ferisce con un dolore «quasi fisico» che non riesce nemmeno ad esprimere perché «è troppo vivo, violento». E il felice ricordo di momenti sereni non suscita in lui vaghi tremori, ma lo richiama al presente crocifisso nel dolore scavato sul volto della madre.

“(...) E quegli incanti
- il fuoco acceso nella casa, il fumo
greve dell'aria fresca, i melanconici
lumi, la voce stanca di mia mamma –
ravviva questo odore
(...)".(77)


Scrive a Franco Farolfi nell'estate del '43:

La guerra non mi è mai sembrata tanto schifosamente orribile come ora: ma non si è mai pensato cos'è una vita umana?” (78)

Ma nonostante, o meglio, con tutto il dolore Pier Paolo rimane ancorato alla speranza che viene dalla poesia, dalla letteratura:

“(...) probabilmente devo la mia salvezza (non diventare maniaco, non consumarmi) alla mia fantasia, che sa trovare un'immagine concreta ad ogni sentimento (...). Così al doloroso e continuamente sofferto urgere dei sentimenti, corrisponde in me, un riordinamento poetico (... )” (79).

Pasolini continua a lavorare molto, la sua fantasia matura e raggiunge 

«una chiarezza di invenzione, che lo fortifica a vivere» (80); 

ma contemporaneamente, sente il peso dei suoi pensieri 

“(...) che da mille anni nascono uno dall'altro e sono soltanto miei. Vorrei gettarmi sugli altri, trasfigurarmi, vivere per loro.” (81)

I pericoli della guerra sono diventati più incombenti. Per gli studenti che frequentano le scuole di Pordenone ed Udine diventa estremamente difficoltoso e rischioso il viaggio; così Pasolini, con alcuni amici, apre a San Giovanni (a due chilometri da Casarsa) una scuola privata.

Abbiamo voluto vedere alla base di questo desiderio il primo emergere della sua vocazione pedagogica, che da questo momento, sarà una dimensione essenziale della sua esistenza. Un attaccamento profondo alla vita, alla realtà, tanto più quanto il presente si mostrava perduto e privo d’attese. 

«Un attaccamento cioè reso ancora più bruciante dal disincanto» (82)

Nell’autunno del ‘43, quando i Tedeschi scendono nel Friuli assoggettandolo alle loro leggi di guerra col nome di “Litorale Adriatico”, i pericoli della guerra sono diventati più incombenti. Per gli studenti che frequentano le scuole di Pordenone ed Udine diventa estremamente difficoltoso e rischioso il viaggio; così Pasolini, con alcuni amici, apre a San Giovanni (a due chilometri da Casarsa) una scuola privata.

“Anche il treno ti porta nel mezzo
di una guerra che ormai è qui (...)
le mani sulle orecchie per non sentire
urla e fischi laceranti
quando gli aerei se ne vanno
risali sul treno e cerchi la cartella
lasciata sul sedile come pegno
per il ritorno (...)
La strada per Udine ormai è chiusa
non vale la pena morire
per un po’ di greco e di latino
ma ecco che nasce una scuola
S. Giovanni è Pierpaolo con Giovanna
Riccardo Cesare che si inventano
professori di latino greco italiano
inglese matematica... (...)” (83)

L’iniziativa scolastica è un luogo favorevole per far emergere quel prezioso linguaggio friulano in cui, dopo studi linguistici e filologici (84), aveva riconosciuto un nuovo strumento poetico.
Pasolini legge ai sui giovani discepoli le poesie dei più alti esponenti della letteratura italiana, ma ciò che più gli sta a cuore è trasmettere loro la sua stessa passione per 

«quella lingua che li ha svezzati» (85), «la lingua che hanno parlato fin da piccoli nella loro famiglia e nel loro paese, nelle mani della loro madre» (86). 

Così Ovidio Colussi testimonia il suo incontro con Pasolini, “maestri di puisia”:

A la fin di otobri - doma dopu qualche setemana di lessino - il Pieri Pauli al à scuminsiat a spiegani che `l furlan `a è na lenga (...), il furlan al ven four, dret, dal latin. Ch’à noi bisogna vergognassi a tabajà furlan. “Tabajà furlan al è tabajà latin“. (87)
Nu studens, una setemana dopo, quant ch’al ni à invidat a scrivi un alc in furlan, i vin tacat a domandà milanta di robis: coma si scrivia, ponemo scjiavassà, sciala e via discurint.
“Scriveit coma ch’à vi capita. L’ impuartant al è ch’i scrivesi
“ (88)

Questo è l’unico punto positivo a cui ancorarsi, l’unico motivo per cui rimanere attaccati a questa terra, dove

 «tutto puzza di spari, tutto fa nausea». (89)

Un improvviso veto burocratico del provveditore agli studi di Udine fa chiudere la «scuoletta» di San Giovanni, ma quest’ennesima difficoltà non può sminuire la sua dedizione per i ragazzi, il suo amore per la letteratura, la sua 

«passione per la vita, per la realtà, per la realtà fisica (...), esistenziale» 

(90) attorno a sé. Pasolini continua ad insegnare, anche in condizioni precarie, a Casarsa, nella sala da pranzo di casa sua.

NOTE

66. Fevrar, in P. P. PASOLINI, Tutte le poesie, tomo I, cit., p. 26. Trad.: "Sono tornato d'estate. / E in mezzo alla campagna, / che mistero di foglie! / e quanti anni sono passati! /Adesso ecco febbraio, / canali, pianeli, gelsi... / Mi siedo qui sull'erba, / gli anni sono passati per nulla".
67. La scelta di Casarsa, stimata come luogo più tranquillo e sicuro dove attendere la fine guerra, ci lascia un po' titubanti. Per quel che concerne le bombe, Casarsa, essendo un importante nodo ferroviario, vi era più esposta di Bologna. A partire dal 1943, fu sottoposta a bombardamenti quotidiani che quasi la distrussero. Per quel che riguarda Casarsa, obbiettivo militare per eccellenza: cfr. AA. VV., Ciasarsa, cit.
68. Pasolini a Casarsa: quasi un racconto, di Amedeo Giacomini, in TONUTI SPAGNOL, La cresime e timp piardut, Edizione Concordia Sette, Pordenone 1985, p. 7.
69. Il “Setaccio" era lo stanco bollettino della Gioventù del Littorio bolognese che subì un vero e proprio colpo di mano da parte del pittore Italo Cinti, antifascista, il quale, raccolse intorno a sé un gruppo di giovanissimi, tra cui Pasolini, Fabio Mauri e Fabio Luca Cavazza, proiettati alla creazione di una cultura in vista del dopoguerra. Il "Setaccio" divenne un vaglio delle intelligenze. Pasolini vi pubblicò le sue poesie in friulano, cioè in uno di quei linguaggi particolaristici che il fascismo voleva abolire.
70. In PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p. 156.
71. A Luciano Serra, Casarsa, agosto 1943, in PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p. 185.
72. Cfr. La meglio gioventù, GIUSEPPE MARIUZ, Campanotto Editore Udine, Udine 1993, p. 32.
73. Alba, in P. P. PASOLINI, Tutte le poesie, tomo I, cit., p. 209. Trad. "O petto svegliato / dal nuovo sole! / O mio caldo letto / bagnato di lacrime! / Con un'altra luce / mi sveglio a piangere / i giorni che volano / via come ombre".
74. Cfr. il saggio di Cesare Bordotto dal titolo Con Pasolini nel tempo di Casarsa, in AA. VV., Ciasarsa, cit. p. 331.
75. Cfr. PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p. 173.
76. Nel '43 Pier Paolo non vede il padre, prigioniero in Kenya, da due anni mentre dell'amico Ermes Parini (detto Paria), che combatte in Russia, non sa più nulla e «può solo immaginarlo ferito, disperso, prigioniero».
77. La pioggia, in PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p. 164.
78. In PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p. 179.
79. A Franco Farolfi, Casarsa, primavera 1943, in PASOLINI, Lettere 1940-1954, p. 170.
80. A Luciano Serra, Casarsa, 4 giugno 1943, in ibid., p. 174.
81. Cfr. ibid., p. 167.
82. Cfr. il saggio di Lorenzo Capitani dal titolo Poesia in forma di scuola, in AA. vv., Pier Paolo Pasolini. Educazione e democrazia. Atti del Convegno omonimo, 3 marzo 1995, p. 41.
83. BRUNO BRUNI, Il ragazzo e la civetta, Campanotto Editore, Udine 1993, p. 15.
84. “(…) mi parlava dell’Ascoli, della Percoto e di Zorutti (...). Quelle discussioni sulla scoperta della Ladinia, dai provenzali ai catalani fino al nostro Friuli continuarono nei mesi successivi.”
Cfr., il saggio di Cesare Bordotto, Con Pasolini nel tempo di Casarsa, in AA. VV. Ciasarsa, cit., p. 332. La passione di Pasolini per il friulano, non poteva scaturire solo da una semplice suggestione fonetica, ma richiedeva studi scientifici su testi eruditi, che avrebbero permesso di scavare nelle zone remote e sconosciute della tradizione letteraria. Dopo una lettura scrupolosa dei Saggi Ladini dell’Ascoli, l’Antologia della letteratura friulana del Chiurlo e il Vocabolario del Pirona, Pasolini sente la responsabilità di elevare, con la sua poetica, il friulano a dignità di gruppo linguistico autonomo all’interno della cerchia delle lingue romanze.
85. Cfr. ROBERTA CORTELLA, Percorsi romanzi nell’opera di Pier Paolo Pasolini, cit., p. 55.
86. Cfr. la testimonianza di Don Dante Spagnol, in AA. VV., J’sielc’ peravali’ - Scelgo parole, Edizione Biblioteca dell’Immagine, Pordenone 1995, p. 184.
87. Cfr. Dialet, lenga e stil, in «Stroligut di cà da I’aga», Casarsa, aprile 1944, pp. 3-5; ora in P. P. PASOLINI, L’Academiuta friulana e le sue riviste, Neri Pozza Editore, Vicenza 1994. Trad. “Parlare friulano è parlare latino“.
88. OVIDIO COLUSSI, Pieri Pauli Pasolini maestri di puisia, in AA. VV., Ciasarsa, cit. p. 387. Traduzione di Roberta Cortella: Alla fine di ottobre - solo dopo qualche settimana di lezione - Pier Paolo Pasolini cominciò a spiegarci che il friulano era una lingua (...), il friulano derivava, direttamente, dal latino. Che non bisognava vergognarsi di parlare friulano. “Parlare friulano è parlare latino”. Noi studenti, una settimana dopo, cominciammo a chiedere una infinità di cose: come si scrive, per esempio, scjiavassà, scjiala e via discorrendo. “Scrivete come vi capita. L’importante è che scriviate”.
89. Cfr. PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p. 190.
90. Cfr. P. P. PASOLINI, Pasolini su Pasolini, Guanda, Parma 1992, p. 59.

Autore: Chieco, Mariella
Curatore: Leonardi, Enrico




Curatore, Bruno Esposito

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