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Le pagine corsare - Riflessioni su "Processo alla DC"

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mercoledì 19 marzo 2014

UN PADRE VIENE PICCHIATO

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




2. UN PADRE VIENE PICCHIATO
UN RADUNO DI ALTRI
Alma Mater Studiorum - Università di Bologna
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DIPARTIMENTO DI ITALIANISTICA
Dottorato di Ricerca in Italianistica
XIX Ciclo
Settore scientifico disciplinare L-FIL-LET/11
ALTRI CORPI:
Temi e figure della corporalità
nella poesia degli anni Sessanta.

Il Coordinatore:  
Chiar.mo Prof. 
VITTORIO RODA 

Il Relatore:
Chiar.mo Prof.
NIVA LORENZINI

Il Dottorando:
Dott.GIAN MARIA ANNOVI
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Esame finale anno 2007



«L’uomo che amava gli appariva come un delizioso carnefice»
(M. Proust, Il tempo ritrovato)


In una lettera a Silvana Mauri, moglie di Ottiero Ottieri, Pasolini si riferiva con queste parole al sorgere infantile del suo desiderio omosessuale, definito a tre anni con l’espressione «teta veleta»:

«te lo scrivo tremando tanto mi fa paura questo terribile nome inventato da un bambino
di tre anni innamorato di un ragazzo di tredici, questo nome feticcio, primordiale,
disgustoso e carezzevole»(70)

Pare dunque che sin dall’inizio il desiderio emerga sotto forma di significante feticizzato che ha il potere di intimorire e far tremare, significante che corrisponde già a un oggetto parziale: la «parte convessa interna al ginocchio»(71) delle gambe di alcuni ragazzi che giocavano al pallone. Non è certo possibile risalire alla verità, al senso di quella prima espressione del desiderio, ma colpisce l’automatica associazione all’espressione “testa velata”, quella della madre, che già abbiamo rintracciato in un altro ricordo di infanzia attraverso la mediazione di Gide e Lacan(72). Il feticcio, infatti, è già nell’interpretazione di Freud, «l’immagine o il sostituto di un fallo femminile, vale a dire un mezzo mediante il quale noi neghiamo che la donna manchi del pene».(73) Le gambe intraviste da Pasolini bambino, dalla chiara valenza fallica, si feticizzano laddove si produce un’interruzione, una barra, nel nostro caso l’incavo, che permette «l’erettilità d’un frammento di corpo».74 Il desiderio può così emergere e appagarsi, scongiurando nello stesso tempo il timore della castrazione e la pulsione di morte, già provate proprio di fronte al regolare eclissarsi del volto materno, al suo velarsi. Più tardi, in Empirismo eretico, Pasolini riporterà la spiegazione data da Contini a quella espressione, ricondotta dalla figura paterna del critico al fenomeno linguistico del “reminder” di «una parola dell’antico greco, “Tetis” (sesso, sia maschile che femminile, come tutti sanno).»(75) Attraverso la mediazione di Contini “teta veleta” viene dunque a significare l’indistinzione sessuale presente nella pulsione.
Nel romanzo postumo Petrolio, Tetis diventerà infatti il nome del demone capace di scindere in due il protagonista, una divinità a cui bisogna abbandonarsi proprio come nel masochismo amoroso: «ogni persona che ci fa soffrire può essere da noi messa in relazione con una divinità, di cui essa non è che un riflesso frammentario.»(76) Sono parole di Proust, non meno estraeneo alle gioie del masochismo sessuale del suo Monsieur Charlus(77), ed esplicitamente citato da Pasolini in Progetto di opere future come uno dei propri fratelli. Nel masochismo è infatti presente la ricerca di un trascendente e l’inconscia garanzia di poter accedere al sublime e all’idealizzato: «dal corpo all’opera d’arte, dall’opera d’arte alle Idee, si tratta di un’ascesa che deve essere fatta a colpi di frusta»(78), sottolinea Deleuze lettore di Sacher-Masoch. Dal corpo alla poesia. È ciò che avviene anche nell’esperienza dell’amor cortese, caratterizzata dal «desiderio di annientamento» e dalla «voluttà di umiliazione»(79) del poeta servo e schiavo della propria Domina. Anche in Pasolini «la “passione”, il “sesso” sono vissuti come schiavitù colpevole ma fatale e “predestinata”»(80, schiavitù che attraverso il fantasma della donna-madre («sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù», Supplica) si riverbera nell’esperienza erotica omosessuale di «schiavo malato» succube di ogni «carnefice biondo, o killer colore / del fango» (La realtà):

Rimase l’inclinazione allo scisma:
un naturale bisogno di farmi male alla ferita
sempre aperta. Un configurare
ogni rapporto col mondo che a sé m’invita,
al rapporto del mio figliale
sadismo, masochismo: per cui non sono nato,
e sono qui solo come un animale
senza nome: da nulla consacrato,
non appartenente a nessuno,
libero d’una libertà che mi ha massacrato.
[La realtà]

Il bisogno di scandalo e punizione – per citare il titolo di un intervento di Angelo Romanò – per Pasolini non fu mai qualcosa da tenere celato e con Poesia in forma di rosa emerge in maniera esplicita in numerosi testi. La necessità di farsi male che in questi versi è ricondotto a un sadismomasochismo definito come figliale, viene altrove associato ai propri «amori di pura sensualità, / replicati nelle valli sacre della libidine. / Sadica, masochistica» dove «i calzoni / con la loro sacca tiepida» segnano quello che è «il destino di un uomo» (Le belle bandiere), ossia divenire padre.
Proprio nello snodo edipico tra figlio e padre andrebbe ricondotta secondo Deleuze la dinamica masochistica:

Il masochista si pone al posto del padre, e vuole impadronirsi della potenza virile (stadio sadico). Poi, un primo sentimento di colpa, una prima paura della castrazione come punizione, lo indurrebbe a rinunciare a questo scopo attivo per prendere il posto della madre e offrirsi egli stesso al padre. Ma così cadrebbe in una seconda colpa, in una diversa paura della castrazione, in questo caso implicata dall’impresa passiva; al desiderio di un impresa amorosa con il padre si sostituirebbe allora «il desiderio di essere picchiato», che non
soltanto rappresenta una relazione più lieve, ma equivale alla stessa relazione amorosa.(81)

Pasolini non ha mai fatto mistero del tragico rapporto avuto con il padre, che lo spinse a edificare quella diade protettiva con la madre sfociata poi nella tragica fuga da Casarsa, ma è proprio negli anni Sessanta che egli arriva a comprendere, forse anche attraverso l’elaborazione poetica di Poesia in forma di rosa, che dietro alla rivalità e all’odio per il genitore si celava invece «un amore parziale, che riguardava unicamente il sesso»(82). Forse accelerata dalla sua morte recente, questa consapevolezza si riverbera in tutta la raccolta, vera e propria «fantasia di figlio che non sarà mai padre» (La realtà) e che non saprà mai «”effettivamente”, essere padre, padrone» (L’alba meridionale). Egli non può dunque assumere il ruolo di dominatore ma solo solo quello di figlio che si fa masochisticamente picchiare, e nel farlo – scrive Deleuze – «quel che fa colpire, umiliare, ridicolizzare, è l’immagine del padre, la somiglianza del padre, la possibilità del ritorno offensivo del padre. Non è “un bambino”, è un padre ad essere picchiato.»(83) Non è un caso che l’immagine della vittima sia associata sin da Le ceneri di Gramsci – figura di padre, ha detto Zanzotto, «che però è di cenere»(84) – a quella del diverso, perseguitato e violentato dal Potere e dalla morale borghese, dal loro ordine violentemente fallico, ma con esso masochisticamente coinvolto. È un livello di analisi che è stato ampiamente affrontato dalla critica e su cui non voglio soffermarmi perché quello che mi interessa è piuttosto comprendere come Pasolini voglia sentirsi vittima anche al cospetto del proprio oggetto d’amore, non rinunciando mai alle proprie «abitudini / di bestia ferita, che guarda negli occhi, / godendo nel morire, i suoi feritori…» (L’alba meridionale, II).
In una recensione-stroncatura del volume Donne mie di Dacia Maraini, Pasolini traccia in negativo, nell’ironia della parentetica e nell’allusione finale, il profilo del partner maschile ideale:

Certo che un “cattivo” così, se esistesse, sarebbe ricercatissimo: un cattivo che arriva, preso in un raptus di erotismo quasi ascetico, tutto “fissato” sul pene e la vagina, sulla violenza cieca del coito, sul sadismo come pretesa schiavistica, come riduzione della persona a corpo, per tradizione popolare e ingenuità adolescenziale, ecc. ecc. ecc., potrebbe essere per certe donne (e uomini) un “ideale” erotico sublime. Conosco certe donne e certi uomini che per un “partner” maschile simile sarebbero disposti a sacrificare una fortuna…(85)

Ecco presentarsi con dovizia di particolari la scena sadomasochistica pasoliniana e non è un caso che lo scrittore fosse appunto disposto a sacrificare una fortuna per essere «contento di una giovane / faccia
crudele», fino forse alla morte.(86) Il masochismo deve infatti essere fatto a misura della sua vittima, che è colui che stabilisce il contratto con il Master autorizzando l’umiliazione («e un amore / tutto di umilianti trattative di compensi», L’alba meridionale).
Il controverso filosofo sloveno Slavoj Zizek, radicalizzando la lettura lacaniana, ha tentato di comprendere l’amore cortese attraverso la dinamica della coppia masochistica, sostenendo la natura eminentemente teatrale del masochismo in cui «è il servo che scrive la sceneggiatura […] mette in scena la sua stessa servitù»(87). Il masochista è come un regista obbligato a mantenere una certa distanza riflessiva per non distruggere l’illusione che sospende ogni realtà sociale. Anche l’amore cortese – ricorda Lacan – «non è immune dalle barriere sociali»(88) ed anzi trova proprio in esse il fondamento del vassallaggio amoroso e poetico: nel caso di Pasolini, borghese confesso, la reinvenzione di quel modello lirico è evidente: infatti i giovani oggetto del desiderio sono perlopiù sottoproletari, appartenenti a una classe inferiore. Non va dunque lontano dalla verità Franco Fortini quando sostiene che la norma che Pasolini desiderava violare non era tanto quella dell’eterosessualità ma dell’uguaglianza con l’altro, e che il suo fosse pertanto un senso di colpa di classe(89). Il contratto masochistico funge infatti da livellatore delle disparità sociali ed anzi inverte i ruoli di potere attraverso la messinscena, «la simulazione di un ‘come se’ che sospende la realtà.»(90)A riprova dell’efficacia teatrale del masochismo, anche i giovani sottoproletari possono assumere per Pasolini, come la donna della lirica cortese, il ruolo di angeli(91), spiriti, simbolicamente superiori alla carne che rappresenta il poeta («carne tra questi spiriti»), tanto che – come ricorda Siti – «il ruolo di Angelo, costantemente nei film attribuito a Ninetto, ne è il sintomo rivelatore, il sigillo»(92). Pasolini, che ha incarnato realmente la figura di regista nella sua vita, assolverebbe dunque la stessa funzione anche nella dinamica del proprio desiderio. Lo scenario è fisso: la periferia romana, squallida e spettrale, i campi assolati tra ruderi di case o bagnati dalla luce lunare, spesso associati alla presenza di un corso d’acqua. Ciò spiegherebbe anche la continua osmosi che avviene tra Italia e paesi del Terzo mondo. Il soggetto, pressato dal sentore che la sua realtà sta cambiando, sente il bisogno di ricreare altrove il teatro del proprio desiderio: Africa, India, Israele si delineano come «unica alternativa» possibile. Acquista nuova luce anche la feticizzazione del corpo simbolico, del volto e dei suoi tratti, che non rappresenta altro che la neutralizzazione fantasmatica dell’oggetto d’amore, nella forma di un diniego percettivo che apre all’ordine della fictio.
Il masochismo, infatti, «ci pone di fronte all’ordine del simbolico in quanto ordine della “finzione”»(93) dove ciò che conta maggiormente è la maschera e non ciò che c’è sotto. Si spiega nello stesso modo il non realismo del grand chant courtois, dove «l’amante non descrive l’oggetto d’amore, non lo percepisce nella sua individuazione, nel suo corpo, non riesce a vederlo, ma ne parla».(94) L’ordine della finzione esige sì che i corpi siano solo una «sommazione d’oggetti parziali»(95), ma anche che la violenza sia sospesa, che sia solo l’infinita ripetizione di un gesto interrotto:

e mille volte questo atto è da ripetere:
perché non ripeterlo, significa provare
la morte come un dolore frenetico
[La realtà]

Piano piano le migliaia di gesti sacri,
la mano sul gonfiore tiepido,
i baci, ogni volta a una bocca diversa,
sempre più vergine,
sempre più vicina all’incanto della specie,
alla norma che fa dei figli teneri padri,
piano piano
sono divenuti monumenti di pietra
che a migliaia affollano la mia solitudine.
[Le belle bandiere]

Il godimento masochista è fatto di atti ripetitivi che allontanano la pulsione di morte da cui il desiderio è mosso in quanto azzeramento della stessa pulsione, tanto che sovente il passaggio all’atto dei comportamenti masochistici avviene in uno stato di restringimento corpuscolare della coscienza, in quella che viene indicata come “foschia erotica” (erotic haze)(96): 

«Io, cupo d’amore, e intorno, il coro / 
dei lieti, cui la realtà è amica. / 
Sono migliaia. Non posso amarne uno» 
(La realtà). 

Questi versi assumono maggior chiarezza se si ricorda con Lacan che l’oggetto «si introduce attraverso la porta assai singolare della privazione, dell’inaccessibilità»(97). Il soggetto non può intrattenere nessun rapporto reale con l’oggetto d’amore, nessuna empatia è possibile tanto che «le scene masochistiche hanno bisogno di fissarsi come sculture o dipinti»(98). Alla donna di pietra dei romanzi di Sacher-Masoch fanno allora specchio la Petra dantesca, la «viva petra» di Petrarca ma anche gli adolescenti immortali e pietrificati di Pasolini, «monumenti di pietra», «figure masaccesche», «forme dell’esistere crudelmente mute». All’ordine della ripetizione va ricondotto anche il carattere moltitudinale dei giovani pasoliniani che Gadda, non allontanatosi troppo dalla verità, definiva come «un petrarchismo generico, ma anche numerico»(99). Non solo i giovani si presentano come nebulose di oggetti parziali ma vengono a sciami, a schiere, a migliaia: «sudate comitive di maschi adolescenti», «squadre ordinate di fiori nel caos dell’esistenza», «in squadre / meravigliose», «ignari giovincelli, in schiera», «gruppi di giovinottelli», «mandrie di belve», «quattro o cinque ragazzetti», «dolci scimmie in branco coperte di magliette»(100). Il punto qui non è stabilire una «proporzione tra una nuova massa / predestinata e un vecchio io»; esiste una profonda differenza tra «i milioni di scheletri viventi» dei borghesi e i nugoli di fanciulli. Nè si tratta di dare forma al desiderio del soggetto, di individuare nell’orgia un ordine pulsionale, quanto di rimarcare la funzione simbolica dell’oggetto, del corpo: «ognuno ha la sua nuova la sua antica / bellezza che è di tutti». È come se il soggetto,  avvicinandosi troppo all’oggetto del desiderio, determinasse una visione diplopica o prismatica che rende ragione del vedere fantasmatico e non percettivo di cui già si è accennato: «non conta né il segno né la cosa esistente». Non è possibile il darsi di un corpo reale all’interno dell’ordine della scrittura che è solo un insieme di infiniti universi discorsivi, ma il darsi di un corpo simbolico che tende a infinito, all’alterità radicale:

onde non io, ma colui che comunico,
trae la disperata conclusione,
di essere il reietto di un raduno
di altri

Non è il soggetto ad esprimersi nell’ordine del discorso ma il personaggio, l’io; il simbolico è infatti fuori del soggetto e ne rappresenta la legge che lo circoscrive, così come il reale, escluso da ogni simbolizzazione, si ripresenta sempre come un resto che sfugge alla ragione e che il corpo patisce. «Di fronte a chi pretende di esaurirla completamente in sé, la realtà ribadisce la propria esistenza ed espelle l’individuo»101, come si trattasse di un corpo estraneo, inassimilabile al proprio organismo: «espulsione da sé del mondo, di me, suo corpo estraneo» (Nuova poesia in forma di rosa).

70 P. P. PASOLINI, Lettere 1940-1954, Einaudi, Torino, 1986
71 ID., Quaderni rossi, in Romanzi e racconti, vol. I, Mondadori, Milano, 1998
72 L’altra inevitabile associazione è con l’espressione “tetta velata”, richiamo allo scoprirsi e velarsi del seno materno. La psicoanalisi individua nel seno l’oggetto totale, «cosmico», che il bambino associa al corpo integrale della madre. Proprio per questo, però, il seno è omologo allo sguardo e, dunque al volto materno. Faccio notare inoltre che anche il romanzo di Laura Betti, che prende il titolo proprio dall’espressione di Pasolini, si apre con il ricordo delle suore velate («non si sono mai lavate la testa da sempre perché è proibito togliersi la cuffia») e che la copertina mostra, tautologicamente, una Betti con veletta. Cfr. L. BETTI, Teta veleta, Garzanti, Milano, 1979.
73 G. DELEUZE, Il freddo e il crudele, Se, Milano, 1996, p. 34
74 J. BAUDRILLARD, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, Milano, 1979, p. 114
75 P. P. PASOLINI, Dal laboratorio, in Empirismo eretico, Garzanti, Milano, 1991, pp. 68-69
76 M. PROUST, Il tempo ritrovato, Einaudi, Torino, 1974, p. 237
77 Mi riferisco in particolare all’episodio della casa d’appuntamento per soli uomini in cui il protagonista spia dall’oblò della porta la scena sadomasochistica tra Maurice e M. Charlus (cfr. M. PROUST, cit., p. 143)
78 G. DELEUZE, cit., p. 25
79 M. MANCINI, cit., p. 25
80 M. DAVID, cit. p.
81 G. DELEUZE, cit., p. 65
82 P. P. PASOLINI, Il sogno del centauro, in Saggi sulla politica e sulla società, cit., p. 1408
83 G. DELEUZE, cit., p. 73
84 A. ZANZOTTO, cit., p. 227
85 P. P. PASOLINI, Dacia Maraini, «Donne mie», in Saggi sulla letteratura e sull’arte, cit., pp. 2067-68 (mio corsivo)
86 Rimando a D. BELLEZZA, Morte di Pasolini, Oscar Mondadori, Milano,1995.
87 S. ŽIŽEK, cit., p. 92
88 J. LACAN, L’amor cortese a mo’ di anamorfosi, in op. cit., p.
89 F. FORTINI, Attraverso Pasolini, Einaudi, Torino, 1993
90 S. ZIZEK, cit., p. 92
91 «Gli angeli pasoliniani ricordano le donne angelicate, le messaggere d’amore […] Un tema che fu inaugurato proprio da quei provenzali a cui Pasolini si richiamava nel fondare la sua Provenza poetica sulla riva destra de Tagliamento», vedi S. PARUSSA, op. cit., p. 27.
92 W. SITI, Tracce scritte di un’opera vivente, in Romanzi e racconti, cit., p. LVIII
93 ibidem
94 M. MANCINI, cit., p. 29
95 J. BAUDRILLARD, Lo scambio simbolico e la morte, cit., p.
96 S. BACH, On sadomasochistic object relations, in G. I. FOGEL – W. A. MYERS, Perversions & near-perversions in clinical practise, Yale Univ. Press, Yale, 1991.
97 J. LACAN, L’amor cortese a mo’ di anamorfosi, cit., p. 190
98 G. DELEUZE, cit., p. 79
99 Lo riporta E. SICILIANO nel suo Vita di Pasolini, Giunti, Firenze, 1995
100 La moltitudinalità dell’oggetto sessuale – ma con diverso significato – raggiungerà il suo culmine barocco nell’Appunto 55 di Petrolio, in cui Carlo, il protagonista, si sottomette a un rapporto sessuale con decine di giovani.
101 W. SITI, cit., p.


@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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