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lunedì 11 gennaio 2021

Loriente di Pasolini - 'UN RAPPORTO FISICO CON LE IMMAGINI - Intervista a Beatrice Banfi

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


Le immagini sono di Roberto Villa 
Roberto Villa ha donato il suo archivio alla Cinteca di Bologna.


UN RAPPORTO FISICO CON LE IMMAGINI
Intervista a Beatrice Banfi 


Beatrice Banfi ha collaborato con Pier Paolo Pasolini come segretaria di edizione per oltre sette anni, dal 1968 al 1975, dalla lavorazione di Porcile a quella del suo ultimo film, Salò o le 120 giornate di Sodoma, passando attraverso titoli quali Medea (1969), Il Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972) e Il fiore delle Mille e una notte (1974). Dopo la morte di Pasolini, ha lavorato, sempre come segretaria di edizione, con altri prestigiosi cineasti italiani come Marco Ferreri (Storie di ordinaria follia, 1981, e Storia di Piera, 1983) e Franco Brusati (Il buon soldato, 1982). Intorno alla metà degli anni Ottanta diviene aiuto regista e collabora ancora con Ferreri per Il futuro è donna (1984), quindi con Margarethe Von Trotta (Paura e amore, 1988; L‟africana, 1990; Il lungo silenzio, 1993) e con Michelangelo Antonioni e Wim Wenders per Al di là delle nuvole (1995).

Lei ha lavorato per molti anni accanto a Pasolini. Come ricorda la sua personalità e la collaborazione con lui?

L‟incontro con Pasolini è stato uno degli eventi più importanti della mia vita. Lo ammiravo come intellettuale e come artista e ritengo una fortuna aver potuto conoscere l‟uomo. Era una personalità unica, di una creatività e un‟energia inesauribili, ma era anche un uomo che aveva un rispetto profondo per gli altri, per le loro esigenze, per la loro realtà. Un rispetto che si esprimeva in tutte le sue parole e gesti, sempre accompagnato da una profonda sicurezza e determinazione. Immagino che dentro di sé avesse molti dubbi, ma come regista aveva trovato un suo stile, un suo metodo, anche per quanto riguarda la sfera pratica, che gli creava intorno un‟aura di rispetto spontaneo e immediato. Non dava mai il tu ma sempre il lei, a chiunque, me compresa. Era un piccolo espediente efficace e semplice per mantenere quelle distanze che il suo ruolo imponeva. In generale, mi ha sempre colpito la sua enorme pazienza, la tolleranza che aveva con la gente, che però non era mai debolezza o arrendevolezza. Anche perché era una pazienza motivata. Per esempio nel Fiore delle Mille e una notte aveva scelto come attori dei pescatori siciliani che ovviamente non sapevano nemmeno l‟abc della recitazione e li seguiva con una pazienza infinita. Non perché facessero dei gesti da attori ma perché si comportassero davanti alla macchina da presa con la stessa spontaneità che avevano nella vita.

Lei ha lavorato accanto a Pasolini fin dal 1968 e da

Porcile. Durante la lavorazione del Fiore delle Mille e una notte ha notato dei cambiamenti nel suo modo di dirigere la troupe? No, direi di no, aveva acquisito però una maggiore padronanza della tecnica rispetto ai tempi di Porcile. Cambiava sempre obiettivo dal 25 al 75, anche il 18 e preferiva fare l‟operatore di se stesso. Col 100 o 75 doveva usare il cavalletto. Eravamo diventati velocissimi a cambiare obiettivo e mi cimentai anch‟io per velocizzare i tempi. Pasolini aveva la necessità di un rapporto diretto, anche fisico, con le immagini che voleva riprendere e questo accadeva già da anni, ma durante le riprese del Fiore ancora di più. Era quasi sempre lui stesso alla mdp. Due anni dopo, quando girammo Salò, Pasolini fece sempre da solo le riprese. L‟esigenza che aveva Pasolini, sempre, era di non perdere tempo. Non voleva assolutamente sprecarlo e trasmetteva, con i suoi stessi movimenti, con l‟azione stessa direi, più che con le parole o gli ordini, questa esigenza prioritaria. Ricordo un aspetto di Pasolini che mi colpì durante le riprese del Fiore rispetto ai film precedenti: era felice in quei luoghi, felice come non l‟ho mai visto né prima né dopo (sul set di Salò, al contrario, dominava un clima di estrema tensione). Credo che provasse un piacere totale a vivere le giornate in quegli spazi, in quelle città, circondato da popolazioni che amava. Ricordo anche che rideva più spesso del solito. Era come pacificato, disteso, nel suo elemento, cioè immerso in un mondo popolare e antico che corrispondeva a quello che amava di più.

Immagino che sarà stato un film molto faticoso, per la lunghezza delle riprese, i viaggi, i disagi...

Sì, Il fiore è stato senz‟altro l‟impresa più epica che io abbia affrontato in vita mia. Il direttore di produzione, Mario Di Biase, ci aveva avvertiti che sarebbe stata una lavorazione difficile, che avremmo dovuto affrontare molti disagi. C‟erano anche Ferretti, il grande Ferretti, Umberto Angelucci, Shepherd, ovviamente il direttore della fotografia Ruzzolini. Danilo Donati invece era rimasto a Roma. Non credo che avrebbe potuto sopportare quell‟avventura. Partimmo da Roma che nevicava e la prima tappa fu l‟Eritrea, dove era caldissimo. Non avemmo neanche il tempo di abituarci al clima e riprenderci dal viaggio che iniziarono le riprese a Burji, un altopiano scomodissimo da raggiungere. Era uno dei tipici luoghi che Pasolini sceglieva, luoghi straordinari, ma impossibili. Quando ci arrivammo eravamo distrutti dalla fatica e dal caldo. Lì girammo la sequenza in cui Franco Citti, il demone, trasforma in scimmia Alberto Argentino, alias Shazhanmàn. Provammo sulle prime a truccare Argentino da scimmia ma non funzionava. Allora ricorremmo a una scimmia vera che però morì, poverina, e dovemmo sostituirla con un‟altra. Se si fa attenzione, nel film appaiono scimmie di dimensioni diverse e tutte interpretano Shazhanmàn trasformato... Ricordo che a Keren, in Eritrea, le piccole oasi nel deserto erano meravigliose. Improvvisamente ti trovavi in mezzo a una vegetazione favolosa e credo che Pasolini avesse scelto quei luoghi proprio per questo e il contrasto con il deserto.

Nelle fotografie di scena scattate in Eritrea, compare anche Sergio Citti, che però non è accreditato...

Sergio aveva già girato il suo primo film come regista e stava preparando il secondo, Storie scellerate. Venne per alcuni giorni in Eritrea ad aiutare per il casting. Inizialmente Pasolini avrebbe voluto girare anche in Nigeria tutto un blocco di storie. Ma aveva deciso di rinunciarvi, perché il film sarebbe venuto lunghissimo. Non era un pazzo che s‟impuntava, era molto saggio e attento ai problemi pratici. Dopo l‟Eritrea andammo nello Yemen e i disagi aumentarono. I viaggi per spostarci da una località all‟altra, prima l‟aereo (aerei non proprio tali da rassicurare...) poi la jeep, anche un giorno o due di viaggio. I viaggi erano pericolosi perché le linee aeree erano traballanti, e bisognava trasportare i costumi, le scenografie, quindi era davvero difficile. C‟erano molti disagi, era difficile mangiare e ovviamente alcuni della troupe protestavano, si lamentavano. Non erano abituati a quel genere di problemi, a quelle scomodità. Io ero giovane e talmente innamorata del progetto, che potevo soffrire qualsiasi difficoltà. La PEA aveva messo a disposizione una notevole larghezza di mezzi ma nello Yemen era appena finita la guerra e non c‟era niente. Devo dire che da parte di Grimaldi esisteva una fiducia incondizionata verso Pasolini e Mario Di Biase. Nemmeno sapeva dov‟eravamo, non interveniva mai, non chiedeva nulla. La produzione era forse la più discreta che io abbia mai visto. Non hanno mai fatto pressioni su nulla e ogni decisione è stata presa da Pier Paolo in totale autonomia.

Pasolini come affrontava i disagi?

Devo dire che ero sempre impressionata e ammirata dalla sua energia fisica. Non si lamentava mai. Ho visto gente disidratata e distrutta. Lui non l‟ho mai visto stanco, era indistruttibile. Non si fermava mai. Durante le pause, l‟avrò visto una volta o due rimanere assorto e non fare nulla, perché di solito leggeva o scriveva. Infatti viaggiava con una borsa stracolma di libri e la Olivetti piccola. Fisicamente, sembrava fatto solo di muscoli e ossa. Era però silenziosissimo, forse quello era il suo modo di riposarsi. Era concentratissimo sulle riprese, che lo assorbivano totalmente. Non perdeva mai le staffe. Non l‟ho mai sentito offendere qualcuno o alzare la voce. Al massimo diceva: "Che salame" e batteva i piedi per insofferenza. Ma non andava oltre. Insomma aveva un controllo assoluto di se stesso.

Come erano organizzate le giornate di ripresa?

Tolte quelle girate a Roma, le sequenze erano tutte con la luce naturale. Si giravano prima i primi piani poi le sequenze importanti all‟alba o al crepuscolo. Nello Yemen giravamo all‟alba. Verso mezzogiorno la luce non è più buona, troppo cruda. Alle tre del mattino si vestivano gli attori e le comparse e alle quattro e trenta, con le prime luci, si iniziava, per finire nel primo pomeriggio. Pasolini era velocissimo e sicuro, quindi non si perdeva mai tempo, si approfittava di qualsiasi momento. 

Che cosa ricorda delle riprese a Sana’a?  

Il contrasto fra la bellezza magica, incredibile della città, degli edifici, degli spazi e il fetore. L‟aria era irrespirabile perché i gabinetti erano fuori dalle case, poi c‟erano i cammelli ovunque con quello che lasciavano per strada e la gente non è che si lavasse molto, diciamo. Per andare avanti, tenevamo i fazzoletti davanti alla bocca. C‟era da svenire. Sorgevano sempre molte complicazioni e problemi continui, ma Di Biase era molto abile a facilitare il più possibile le cose, a scegliere le persone che potessero facilitarle. Ricordo che alcuni abitanti erano delle apparizioni magiche, per esempio le donne con gli abiti neri e sotto intravedevi l‟oro. A Hal Hudaydah, dove risiedevamo, mi accadde una brutta avventura. Avevo la febbre ed ero rimasta indietro rispetto agli altri della troupe. Sono passata dietro a una casupola. Fuori da ogni casa era appesa un‟anfora e anche lì ce n‟era una, quindi mi fermai per prendere un po‟ d‟acqua. All‟improvviso si è aperta la porta e sono apparse tre streghe che mi hanno trascinato dentro. Sono stati dieci minuti da incubo. Volevano trattenermi, mi ghermivano da tutte le parti. Scalciando e divincolandomi e picchiando con tutte le forze e anche col copione in mano, sono riuscita a fuggire. Ma ho avuto veramente paura. Evidentemente era un harem. Avranno visto questa creatura, per loro esotica, che girava da sola, a portata di mano, e avranno pensato di aggiungerla al serraglio umano. In Persia fu molto più comodo e ricordo le riprese realizzate nella moschea di Esfahan. C‟era il sostegno dello Scià e di sua sorella. Eravamo dei privilegiati. Dopo la Persia, Pasolini, Ferretti e Di Biase fecero un sopralluogo in Afghanistan e gli altri, me compresa, ritornarono a Roma. Ma pare che l‟Afghanistan non fosse piaciuto a Pasolini e vi rinunciò. Dopo avere fatto qualche ripresa a Roma, siamo ripartiti per il Nepal, dove si verificò anche un episodio molto spiacevole con una maestranza. In Nepal c‟era un‟atmosfera straordinaria ed è rimasta nel film, nella parte finale dell‟episodio di Shazhanmàn e in quella iniziale di Yunàn. In un primo tempo Pasolini avrebbe voluto girare anche in India, ma rinunciò. Dopo il Nepal girammo ancora a Roma agli stabilimenti della Dear alcune sequenze di interni della storia di Azíz e Aziza.

Intervista realizzata da Roberto Chiesi il 18 marzo e il 15 maggio 2011





Tratto dal volume pubblicato in occasione della mostra L’oriente di Pasolini. Il fiore delle Mille e una notte nelle fotografie di Roberto Villa 26 maggio - 7 ottobre 2011, Sala Espositiva Cineteca di Bologna a cura di Roberto Chiesi
© 2011 Edizioni Cineteca di Bologna via Riva di Reno 72 40122 Bologna

Le immagini, per gentile concessione di Roberto Villa.

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Curatore, Bruno Esposito

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