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sabato 16 novembre 2013

"Teorema": l’irrimediabilità della Borghesia di Alessandro Barbato, 2005 (2/5)

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



"Teorema": l’irrimediabilità della Borghesia
Il mio itinerario prende le mosse da Teorema: pellicola che alla sua uscita nelle sale, nel 1968, sollevò il solito pretestuoso codazzo di rabbiose polemiche che accompagnava ogni iniziativa pasoliniana, e che subì addirittura il veto censorio della magistratura che la pose sotto sequestro per oscenità. Quello che più disturbava l’opinione pubblica era, probabilmente, la connessione espressa dal regista tra la dimensione del sacro e la sfera della sessualità, con un modo di procedere per analogia che oggi è di gran lunga accettato e condiviso. Il film voleva essere una dimostrazione matematica per absurdum che partiva dalla seguente domanda: «Se una famiglia borghese venisse visitata da un giovane dio, fosse Dioniso o Jehova, che cosa succederebbe?».

La tesi pasoliniana è che l’irruzione del sacro, inteso come potenza superindividuale – proprio per questo occultata dalla prassi borghese ontologicamente individualista – in un contesto rigido ed autoreferenziale come quello rappresentato da una famiglia borghese, metterebbe in crisi il corso irreale e pacato dell’esistenza che i suoi componenti conducevano adagiandosi su una falsa idea del mondo e di se stessi. L’incontro con il divino paleserebbe l’inautenticità di tali esistenze, consegnandole ad un vuoto perpetuo che nasce proprio dall’incapacità dell’uomo borghese di stabilire un rapporto dialogico con tutto quello che non può essere ricondotto alla sua ‘Ragione Dominante’; vale a dire quella ragione di matrice illuminista che guida l’ordine falsamente razionale del mondo moderno, e che viene appunto ‘smascherata’ una volta posta di fronte al mistero del sacro.
In effetti, il giovane ospite che arriva a disturbare la quiete della ricca famiglia appartenente alla borghesia industriale milanese, colui che rappresenta il divino e che viene non a caso annunciato da un etereo postino di nome Angelo, sovverte l’ordine immutabile del profano mondo borghese, fatto di divieti e tabù, con la trasgressione totalmente fisica dell’atto sessuale che consuma con tutti i componenti del nucleo familiare, in modo che i protagonisti prendano improvvisamente coscienza della scarsa consistenza delle loro esistenze.
Analizzando la mentalità borghese, il regista alludeva a quella che venne da lui definita ‘sostituzione’ dell’idea di anima con quella di coscienza: un avvicendamento che comporta la riduzione dell’ampiezza dell’anima ed un irrigidimento dell’io in una forma di coscienza dogmatica portata ad escludere tutto ciò da cui, in un certo senso, essa è emersa. Il riferimento, chiaro, è alla teoria dell’archetipo così come essa venne formulata in testi come Prolegomeni ad uno studio scientifico della mitologia, saggio che nacque dalla collaborazione tra C.G. Jung e lo storico delle religioni K. Kerényi, e che, con tutta probabilità, Pasolini conosceva, essendo stato pubblicato per la prima volta in Italia nel 1948 da Einaudi nell’ambito della Collana viola, diretta da Pavese e de Martino, di cui il Nostro era appunto un appassionato lettore. Non v’è dubbio inoltre che anche Pasolini credeva nell’esistenza di una zona oscura dell’essere umano, eterna e intemporale, a cui era possibile accedere soltanto grazie alla mediazione della mitopoiesi;  un’attività che però «non va confusa con la logica piatta o con la razionalità di tipo borghese».
Partendo da queste premesse Pasolini nel suo film, assumendo come modello di riferimento Horkheimer, contrappone la ‘Ragione Oggettiva’, una sorta di attività conoscitiva capace di sondare l’inconscio mediante l’esercizio della poesia, alla ‘Ragione Dominante’ di matrice borghese. Quest’ultima, per perpetuarsi, deve procedere all’omologazione di ogni diversità, trovando però, nella radicale alterità rappresentata dall’esperienza del sacro, la miccia che fa esplodere i muri delle sue convenzioni. Va comunque sottolineato come l’ospite che piomba nella villa di Pietro, il ricco industriale, e della sua famiglia, non abbia alcun carattere soprannaturale: egli si limita a rimanere in disparte leggendo continuamente l’opera omnia di Rimbaud, attirando con il suo atteggiamento la curiosa attenzione dei padroni di casa, desiderosi di inglobare ciò che gli si sottrae, e della serva Emilia che, proprio perché estranea alla classe borghese, sarà l’unica alla fine a proiettarsi miracolosamente nella sacralità e a sollevarsi al di sopra della coscienza individuale. 
Dopo aver incontrato l’Ospite, Emilia si ritira nel borgo rurale da cui proveniva, rimanendo immobile su una panchina e cibandosi solo di ortiche: l’ascesi la solleverà sui tetti delle case e la condurrà poi a farsi sotterrare viva nel grembo della terra, con un gesto che allude alla morte proprio laddove sorge la vita, concretizzando così la tanto agognata coincidenza degli opposti teorizzata da Jung e Kerényi. Le sue lacrime saranno una fonte dai poteri taumaturgici che guarirà la ferita di un operaio giunto nel frattempo nel cantiere in cui avviene la materializzazione del miracolo; evento così estraneo alla mentalità borghese da essere per questo rappresentato dal regista in maniera volutamente grottesca, ed in antitesi con la vicenda della ricca famiglia

Pietro, il padre, rimane alla fine solo e nudo come un  animale, così come bestiale è l’urlo disperato che lancia nel suo triste peregrinare, urlo che «è destinato a durare oltre ogni possibile fine»; per gli altri membri della famiglia si realizza invece un vero e proprio ‘tradimento’ dell’esperienza avuta: essi sono del tutto incapaci di cercare una via che non sia quella della realizzazione individuale: così la moglie di Pietro si perde in un atteggiamento erotomane, che riproduce nella forma ma non nella sostanza l’incontro avuto con l’Ospite, prima di ritornare al suo vuoto ritualismo cattolico; la figlia Odetta, perduto il culto della famiglia per il quale aveva sempre vissuto, cade in uno stato catatonico ed è rinchiusa in una clinica; Paolo invece, l’altro figlio, cerca di sublimare l’esperienza avuta, esperienza che gli ha rivelato la sua diversità, nell’arte: ma dopo un delirio in cui emerge tutta l’inefficacia del discorso artistico contemporaneo, perdutosi nello sterile tecnicismo delle neoavanguardie, scoppia in un lamento infantile ed autodistruttivo. 


Nonostante la propensione di Pasolini per il misticismo, la sua opera è tutt’altro che un elogio dell’irrazionalità: essa si propone piuttosto di dimostrare la pochezza della ragione individuale borghese di fronte alla forza universale del sacro: forza che diviene lo strumento per unire in un’unica condanna tanto il dominio della classe egemone, quanto le forze ad esso antagoniste, le quali riproducono essenzialmente, in campo artistico così come in quello politico, le stesse strutture mentali che si illudono invece di combattere. Il sacro è quindi proposto come metafora di qualcosa che sia realmente avulso dalla logica di dominio e di possesso tipica del pensiero borghese, come una potenza capace di scuotere quei rigidi pregiudizi ‘illuministi’ che conducono alla rimozione totale dell’alterità, e dunque a quell’omologazione tanto temuta. 


Il teorema poetico e politico di Pasolini è pertanto la dimostrazione dell’impossibilità del borghese ad essere in un altro modo che non sia il suo, ma allo stesso tempo segnala anche quello che è l’ormai irreversibile tramonto di ogni possibilità di rinnovamento sociale ed artistico, rinnovamento che per l’autore doveva saper far coesistere modernità e tradizione, e che non aveva più nelle classi subalterne – destinate tutt’al più ad autoseppellirsi come la serva Emilia – il fulcro sul quale poggiarsi per ripartire. L’utopia negativa che indubbiamente traspare nell’opera esaminata non impedirà al regista di proseguire la sua attività di denuncia dell’«universo orrendo», simile ad una «nuova preistoria», in cui egli vede piombata l’umanità occidentale; dopo Teorema egli proseguirà il suo cammino artistico con un film che ripropone, ampliandole, le stesse tematiche: si tratta di Porcile, film che il regista considerava uno dei suoi prodotti migliori, e su cui ora conviene concentrare l’attenzione.
Fonte: Biblink Editori

Pubblicato anche in:
"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini
http://pasolinipuntonet.blogspot.it/



Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi

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