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sabato 16 novembre 2013

L’ombra dell’Altro: un itinerario nel cinema di Pier Paolo Pasolini di Alessandro Barbato, 2005 (1/5)

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




L’ombra dell’Altro: un itinerario
nel cinema di Pier Paolo Pasolini
di Alessandro Barbato, 2005 (1/5)



Sono trascorsi quasi trent’anni dalla morte, tragica ed assurda, che colse Pier Paolo Pasolini ad Ostia la notte tra il primo ed il due di novembre del 1975. Trent’anni che hanno visto crescere la già ricca bibliografia pasoliniana in maniera vertiginosa, con un fiorire di titoli che hanno di volta in volta privilegiato i diversi aspetti dell’opera di uno degli autori più affascinanti e discussi della nostra storia recente. Molto è stato scritto e detto intorno a Pasolini, personaggio che del resto, anche in vita, suscitò numerosi dibattiti e roventi polemiche; tanto che ancora oggi la sua figura è tra le più presenti nel panorama editoriale, italiano e non solo, a testimonianza di un interesse che non accenna a venir meno sia tra gli studiosi delle varie discipline accademiche, sia tra i lettori comuni; questi ultimi quasi costretti, in mancanza di una tangibile presenza che dia voce al disagio che la cultura occidentale sta indubbiamente attraversando, a ricercare negli artisti di un passato, forse anche troppo recente, testimonianze palpabili di spirito critico e di lucidità intellettuale.

 Non v’è dubbio che molto sia stato detto anche a proposito dell’interesse che Pasolini nutriva per la dimensione del sacro: un interesse che ben lungi dall’essere una emplice attrazione, comune a molti autori contemporanei, rispondeva piuttosto ad una curiosità intellettuale per certi versi insolita negli artisti della nostra tradizione. Non mi risulta però che questa sua attenzione per il ‘fenomeno religione’ sia stata sottoposta ad uno studio specifico condotto da chi si occupa dell’argomento dall’interno di una disciplina – la Storia delle religioni – che stimolò profondamente il nostro autore. Questo mio contributo intende colmare, seppur parzialmente, questa lacuna, cercando di fare chiarezza sulle modalità con cui uno dei talenti più fecondi della letteratura e del cinema italiano si accostò ad una disciplina che merita, forse, una più attenta considerazione.


Nel corso della sua vicenda umana ed intellettuale Pier Paolo Pasolini scoprì in vari storici delle religioni, pur diversamente orientati, altrettanti punti di riferimento per la propria ricerca artistica. Certo egli privilegiò soprattutto quegli studiosi, come Kerényi, Lévy-Bruhl o Eliade, che ponevano l’accento sul côté irrazionale dell’esperienza religiosa; ma al contempo, con la sua peculiare volontà di giungere a delle sintesi concettuali capaci di conciliare posizioni anche spiccatamente antitetiche, non trascurò coloro (come Angelo Brelich ed Ernesto de Martino) che si ponevano sull’altro versante, quello storicista. Nel mio itinerario mi concentrerò in particolare sui quattro film che per i contenuti e per le tecniche utilizzate possono essere considerati una sorta di ‘corpo nel corpo’ del cinema pasoliniano: partirò da Teorema, per proseguire con Porcile, fino ad arrivare, passando per gli Appunti per un’Orestiade africana, a Medea. Le suddette opere furono realizzate in poco più di un anno, tra il marzo del 1968 e l’agosto del 1969, ed appartengono alla seconda stagione creativa del nostro regista (fu lui stesso a dividere la propria produzione cinematografica in due filoni, certamente più omogenei di quanto si creda, quello ‘nazional-popolare’ e quello ‘d’élite’). In queste pellicole Pasolini giunge forse al suo culmine espressivo, toccando problematiche di cui possono essere rinvenuti antecedenti sia nell’opera scritta che in quella filmata; con quest’ultima che rappresenta, a mio avviso, il vero e proprio approdo creativo di un autore, senza dubbio poliedrico, ma che trovò proprio nell’arte del cinematografo il mezzo più idoneo a fare sbocciare la ricchezza simbolica del proprio linguaggio artistico. Del resto Pasolini fu, prima di tutto, e senza alcun dubbio, un poeta: e nulla più del cinema gli consentì di realizzare questa sua vocazione, con la forza e la sensibilità che da sempre contraddistingue la vita di coloro che sono incaricati a narrare i miti della propria civiltà. Una civiltà di cui egli fornì un quadro talvolta angosciante, ma che certo seppe interpretare con chiarezza e lungimiranza. 


Mi soffermerò soprattutto sul cinema di Pasolini e, in particolare, sul periodo che può essere ritenuto quello della sua maturità artistica, comprensivo degli anni che lo vedono maggiormente impegnato e presente sulla scena nazionale ed internazionale. Quello in questione è un periodo particolare della nostra storia: sono gli anni del decollo economico dopo la difficile ricostruzione post-bellica; anni che vedono gli antichi valori di una civiltà ormai al tramonto – una civiltà fino ad allora prevalentemente agricola1 – coesistere con quelli scaturiti dalla logica del profitto e del consumo che si andava invece imponendo come aurora di una nuova epoca dell’umanità occidentale. Il contrasto tra un sistema di valori intriso di sacralità ed uno dissacrante non poteva essere più aspro; tale contrasto ha dietro di sé un processo che, tra il finire degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta del secolo scorso, subì un’accelerazione paurosa, tale da farlo apparire spesso in un alone di tragedia. 


Per Pasolini la nuova epoca presentava più rischi che vantaggi: del resto, nella sua analisi angosciata della modernità, egli si ricollegava2 alle teorie dei discepoli della scuola di Francoforte, diffuse in larghi strati della comunità intellettuale europea. Teorie che consideravano ormai esaurite le possibilità rivoluzionarie delle classi subalterne soprattutto a causa dell’irreversibile saldatura venutasi a creare tra il ceto dominante e quello dominato, con una continuità di aspirazioni che rendeva impossibile la speranza in un reale cambiamento sociale; ed appare chiaro come dietro a tutto ciò si agitasse l’inquietante spettro dell’omologazione. 




Ecco dunque il pericolo contro il quale il Nostro, con la tensione etica che lo ha sempre caratterizzato, sentiva di dover levare un monito ed un appello; compito che svolse con tenacia affidando il proprio messaggio alla sfera che più gli apparteneva: quella dell’arte. Arte che ‘strizza l’occhio’ però alla ricerca scientifica, di cui Pasolini cercò di prendere i contributi ritenuti più adeguati alla comprensione dell’epoca che lui stesso non poteva certo esimersi dal raccontare e descrivere. Accanto alla vocazione poetica, emerge così una ferrea disposizione al ragionamento, una volontà di capire e di discutere criticamente, che rende le quattro pellicole che sto per analizzare una sorta di ‘saggio in forma di film’. Esse tematizzano la forza del sacro per quella che è la sua caratteristica più emblematica: quella cioè di porsi, rispetto al piano umano, come la più radicale delle alterità; proprio l’alterità che, polverizzata dalla modernità globalizzante, rischiava di vedere esaurito il suo ruolo di polo attraverso il quale l’uomo può procedere per antitesi nel modellare il proprio mondo ed il sé. 

Il senso del sacro sarà in esse proposto come l’unica forza in grado di scardinare l’immobilità dogmatica del pensiero borghese, della forma mentis che rende l’uomo incapace di riconoscere la legittimità di ogni altra esperienza esistenziale che non sia la propria, e che, perpetuandosi, rischia di consegnare l’umanità tutta ad un deserto spirituale che precede la disumanizzazione e la caduta nel non senso. È per questo che del sacro emergerà soprattutto la parte più terribile, quella che Rudolf Otto, nel saggio intitolato appunto Il sacro3, definì il ‘tremendum’ per la capacità che ha di atterrire e respingere l’uomo, oltrepassando gli argini che la ragione, ciecamente illuminista e tecnocratica, crede eretti una volta per sempre. Il ‘saggio di celluloide’ che Pasolini consegna alla propria epoca è una lunga sfilata di accuse contro un ordine inumano che, celebrando se stesso, dimentica che il confine tra natura e cultura è estremamente labile, e che la dinamica che consente all’uomo di emergere dalla propria naturalità passa proprio per il confronto con l’alterità; un’alterità che non si può credere di cancellare o eludere per sempre dalle proprie prospettive, senza rischiare, per questo, di perdere colpevolmente anche se stessi.


Fonte: Biblink Editori

Pubblicato anche in:

"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini
http://pasolinipuntonet.blogspot.it/


Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi

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