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lunedì 24 giugno 2013

UN MONDO MIGLIORE E' POSSIBILE?

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




UN MONDO MIGLIORE E' POSSIBILE?

di Silvia Quadraccia

Ridono perché siete deboli./Come potete difendervi?/Agite perché si uniscano/tutti i deboli, e avanzino insieme./Allora sarete una grande forza/di cui nessuno più riderà

(B.Brecht, La Madre)

Premessa:
<< È chiaro che un governo del terrore funziona nel complesso molto meno bene del governo che, con mezzi non-violenti, manipola l’ambiente e i pensieri e i sentimenti dei singoli.[…]In una democrazia capitalistica, come gli Stati Uniti, la Grande Impresa cade sotto il controllo di quella che il professor C. Wright Mills definisce “élite al potere”. Questa élite impiega direttamente la forza lavorativa di milioni di cittadini nelle sue fabbriche[…],altri milioni controlla, e anche meglio, prestando loro i soldi perché comprino i suoi prodotti; ed essendo proprietaria dei mezzi della comunicazione di massa, influenza pensieri, sentimenti e azioni di tutti>>
( A. Huxley da: “superorganizzazione” in Ritorno al nuovo mondo).


Introduzione:
In un momento in cui tanti nuovi strumenti sono messi a disposizione di pochi uomini e le vecchie categorie con le quali, ancora, i nostri padri, analizzavano il mondo sono decadute ingloriosamente. Nuove figure umane emergono dalle macerie post-industriali. Da S. Agostino in poi, tanti, forse troppi, filosofi si sono occupati del libero arbitrio.
Partendo da un punto di vista religioso è probabilmente un discorso molto interessante, perché il rapporto analizzato è quello fra Dio e uomo, inteso strettamente come sua creazione. Ma chi voglia affrontarlo in un ottica laica si trova davanti a un abisso di frasi già dette e già pensate, insomma non credo che sia più molto facile/utile dibattere su ‘caso’, ‘fatalità’, ‘libertà’ e ‘predestinazione’ se non, forse, da un punto di vista politico.
‘Rivoluzione’ è un termine che assume troppo spesso un sapore romantico e - sentimentale, il Positivismo è una corrente di pensiero superata, e persino il ‘buon vecchio’ Marx appare fin troppo ingenuo anche al più ottimista degli ultimi comunisti!
Una persona che nasce l’anno in cui le B.R. portano a segno il loro colpo ‘migliore’, cresce all’ombra delle rovine del muro di Berlino, e diventa adulta nell’era della globalizzazione economica, come legge un film come Accattone? E perché parlare di questo film a quarant’anni esatti dalla sua uscita? Pasolini era marxista, sebbene avesse un rapporto conflittuale con il P.C.I. ancora in Uccellacci e uccellini (1966), faceva dire al corvo-Pasolini-Marx: “non piango sulla fine delle mie idee, che certamente verrà qualcun altro a prendere la mia bandiera e a portarla avanti! Piango su di me…”, ma il suo primo film mi sembra essere impregnato di quel pessimismo che oggi è purtroppo molto attuale. Molte opere di Pasolini sono storie di una coscienza in formazione. L’acquisto della consapevolezza è una delle tematiche più ricorrenti. Il destino è considerato da un duplice punto di vista, sociale e individuale. Prendiamo Accattone ed Edipo re. Nel primo, è vietato qualsiasi tentativo di miglioramento, perché la realtà storica, sociale, culturale, economica, in cui vive Vittorio –il protagonista- non ammette alcuna evoluzione. Nel secondo il destino sembrerebbe aver deciso tutto già prima della nascita di Edipo eppure nella interpretazione pasoliniana del mito, decisamente memore dell’insegnamento freudiano, le cose non sembrano poi tanto lineari.


Al di la del bene e del male

In Accattone il destino di ciascuno è quello di morire di fame, in un ciclo sopravvivenza/morte, che sta al di sopra delle esistenze individuali coinvolgendo una intera classe sociale. I volti tutti uguali, il tentativo esasperato di Accattone di affermare la propria specificità di uomo, sono indice della omologazione che a partire dal secondo dopoguerra cominciò a cambiare i connotati della società italiana e che troverà la sua critica più feroce, benché diversamente contestualizzata, nel testamento cinematografico di Pasolini, Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975).
Vittorio trascorre le sue giornate nell’ozio della periferia romana negli anni del boom economico, all’orizzonte dietro le baracche di lamiera dove ogni giorno si consuma il dramma della fame e dell’isolamento, si possono scorgere i simboli della modernità, alti palazzi di cemento che, come alveari, racchiudono un’umanità laboriosa e nevrotica. Accattone e i suoi amici sono figure liminari, quasi dei mostri, dei vampiri, sono morti traboccanti di vita e si nutrono del sangue altrui.
Accattone è una figura mitica, extra individuale, al di la del tempo e dello spazio, simbolo vivente di un’umanità dimenticata, perché non produttiva,(“noi valemo solo se c’avemo mille lire in tasca”) per la quale non valgono le leggi etiche, morali e giuridiche della società borghese o, addirittura, proletaria. Simbolo di chi, di quella società, non può farne parte, nemmeno al gradino inferiore, come gli operai appunto, pena la perdita di ‘purezza’ e quindi della vita stessa.
Accattone è un ingenuo, convito che se potesse tornare indietro saprebbe costruirsi un destino diverso, sicuro di poter compiere quel salto che lo farà diventare ‘migliore’, ignorando “quanto sia repellente un piccolo-borghese”, è l’angelo ‘caduto’, indimenticabile la sequenza del tuffo nel Tevere, che ritrova la ‘santità’ grazie all’amore per Stella, un angelo vero, puro e candido.
Il primo lungometraggio di Pasolini è abbagliante, al livello visivo prima ancora che contenutistico. La scarsa conoscenza del mezzo tecnico spinge il regista a creare immagini di una indecente, semplicissima purezza, che si sposano meglio di qualunque trovata artificiosa con il carattere di Vittorio, vittima sacrificale del sistema capitalistico. Il sole che impietoso cuoce i volti e solleva la polvere per le strade di quest’altrove mitico che è la periferia romana, sottolinea l’ineluttabilità del destino di chi vive “al di la del bene e del male” e la necessità della morte, che Pasolini in Empirismo eretico paragona al montaggio, ovvero a ciò che dà significato alla vita/piano - sequenza.
La macchina da presa assedia Accattone, lo perseguita, gli sale addosso, come la sua drammatica presa di coscienza, che lo porta a liberarsi dalla maschera di sabbia, che simboleggia la sua vita da sfruttatore non più solo di donne, ma anche di sante, laddove, come dicevamo, Stella rappresenta un angelo, e forse addirittura la Vergine, intesa come mediatrice fra due universi distanti, inconciliabili.
La consapevolezza lo trasporta dalla natura alla storia.
Nel suo primo film Pasolini, si mette in gioco e pretende che lo stesso faccia la sua ‘selvaggia’ creatura, costringendolo a guardarsi, a provare repulsione per se stesso. Mette in evidenza come anche l’amore sia spesso concepito in modo ‘culturale’ più che naturale, in nome di questo equivoco Vittorio aderisce per la prima volta ad un ‘modello’ umano, cosa che comporta inevitabilmente la sua fine, intesa come morte fisica o ideologica. Accattone non può sopravvivere alla perdita di individualità, perché in lui sono ancora troppo presenti quelle che E. Fromm definisce “forze vitali [che] lottano per l’integrazione e per la felicità”, non gli resta che morire per non soccombere ad una logica che non gli appartiene perché disumana.


Umani troppo umani

Tutto questo accadeva nel 1961, quando mentre la ripresa economica ancora eccitava gli italiani, una nuova sensibilità cominciava a farsi largo tra studenti, lavoratori e donne, (stanche di essere costrette ai margini dal potere maschile e maschilista, di essere considerate o sante o puttane).
Dopo un trentennio di lotte la vita di chi vive ai margini della società ‘bene’, purtroppo non è cambiata moltissimo.
1994, mentre in Sudafrica vengono svolte le prime elezioni multirazziali e in Messico esplode la rivolta zapatista (in Italia, grazie alla sapiente manipolazione dei mass media, il ‘cavalier’ Berlusconi ‘sale al trono’), Ken Loach, porta sullo schermo una storia di assoluta mancanza di libertà, parlo di LadybirdLadybird, di vita negata, per chi è diverso, per chi non rientra nei canoni ufficiali, dei ‘benpensanti’.
Il cinema di Loach (come quello di Pasolini), è cinema di corpi, di storie scritte su e attraverso essi. La plasticità delle immagini che riempiono lo schermo è data soprattutto dal contrasto tra la rotondità/tridimensionalità delle masse corporee e la piattezza del paesaggio. I luoghi diventano estensioni dei personaggi, sono permeati dall’individualità, insieme contesto e proiezione delle storie vissute dai protagonisti. La periferia urbana diventa un ambiente al tempo stesso naturale e culturale, i palazzi di mattoni rossi non hanno una valenza estetico-simbolica ma sono i posti reali, visitabili, materiali, nei quali Maggie trascorre le giornate. Non c’è nessun compiacimento formalistico, e nessun gusto del pittoresco, non c’è retorica nel mostrare la povertà. E’ vita, è realtà. La morte e la maternità sono, per contrasto, i momenti in cui si concretizza la natura umana ecco perché i corpi (in entrambi i film) diventano il luogo in cui si svolge l’azione, in cui si consuma il dramma.. LadybirdLadybird, ha una struttura che sviluppa in modo esponenziale la tragicità delle situazioni.
Per Maggie è quasi impossibile sperare di sfuggire dal esilio in cui è costretta a causa della sua ‘alterità’, E’ estremo, drammatico e viscerale il suo tentativo di affermare se stessa, di diventare regista della propria esistenza, ogni gesto viene puntualmente vanificato. Ladybird è incatenata alla propria squallida vita, e le catene più strette gliele stringono addosso proprio coloro che dovrebbero aiutarla (gli assistenti sociali).
Maggie è l’ennesima vittima che la società dei benpensanti ha deciso di sacrificare in nome di un ‘ordine’ inumano, disumano, mostruoso, superiore e sacro. LadybirdLadybird, è un film che non inibisce la razionalità (per dirla brechtianamente) e allo stesso tempo colpisce come un pugno nello stomaco. E’ irritante, a tratti insostenibile, eppure pulsante di vitalismo e bello come la verità. E’ un grido, una disperata richiesta d’aiuto. E’ la quintessenza della vita, è una delle migliori dimostrazioni che il libero arbitrio è solo una bellissima favola, non più reale di Babbo Natale.
Maggie è (come) Accattone, i (sotto)proletari di tutto il mondo e di tutti i tempi hanno una comunanza di sogni e delusioni, di frustrazioni e speranze, di lotte e condanne, sono loro che immergono le mani (o la faccia) nel fango e dipingono il quadro dell’umanità più vera, più dolorosa, inconoscibile e disperata.
Per loro spesso non ci sono scelte da fare, sembra che non resti altro che subire la prepotenza di chi, dall’alto della sua presunzione si arroga il diritto di giudicare, dirigere, decidere la vita di milioni di persone ridotte al silenzio, all’annullamento, alla morte. Eppure in molti hanno ancora la forza di sognare, di combattere, di scendere nelle piazze, di farsi ammazzare, per gridare in faccia ai potenti che …“un mondo migliore è possibile”.
Forse…

Fonte: http://www.sentieriselvaggi.it/50/884/UN_MONDO_MIGLIORE_E-_POSSIBILE_di_Silvia_Quadraccia.htm

@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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