Pagine

Le pagine corsare - Riflessioni su "Processo alla DC"

Pasolini, l'ideologia

Il Friuli di Pier Paolo Pasolini

Guido Alberto Pasolini

Le poesie

La saggistica

La narrativa

Pasolini - docufilm, cortometraggi e collaborazioni varie.

Il teatro di Pasolini

Atti del processo

Omicidio Pasolini - Inchiesta MicroMega

Interrogatorio di Pino Pelosi

Arringa dell'avvocato Guido Calvi

Le Incogruenze

I sei errori della polizia

Omicidio Pasolini, video

martedì 28 dicembre 2021

1964 Il Vangelo secondo Matteo - Scheda (di Pier Paolo Pasolini)

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Il Vangelo secondo Matteo

(regia di Pier Paolo Pasolini)
Scheda informativa curata dal Centro Studi Sampaolofilm, allegato alla videocassetta "Il Vangelo secondo Matteo", Cineteca Mastervideo)




Dati tecnici — Credit e cast

Origine: Italia, 1964 —
Genere: Religioso —
Produzione: Arco Film, Roma; Lux Cie Cinématographique de France, Parigi —
Regìa: Pier Paolo Pasolini —

Interpreti: 

Enrique Irazoqui (Cristo),
Margherita Caruso (Maria fanciulla),
Susanna Pasolini (Maria adulta),

Marcello Morante (Giuseppe),
Mario Socrate (Giovanni Battista),
Settimio di Porto (Pietro),
Otello Sestili (Giuda),
Ferruccio Nuzzo (Matteo),
Giacomo Morante (Giovanni),
Alfonso Gatto (Andrea),
Enzo Siciliano (Simone),
Giorgio Agamben (Filippo),
Guido Cerretani (Bartolomeo),

Luigi Barbini (Giacomo d’Alfeo),
Marcello Galdini (Giacomo di Zebedeo),
Elio Spaziani (Taddeo),
Rosario Migale (Tommaso),
Rodolfo Wilcock (Caifa),
Alessandro Tasca (Filato),
Amerigo Bevilacqua (Erode I),
Francesco Leonetti (Frode Il),
Franca Cupane (Erodiade),
Paola Tedesco (Salomè),

Rossana di Rocco (l’angelo),
Eliseo Boschi (Giuseppe d’Arimatea),
Natalia Ginzburg (Maria di Betania),
Renato Terra (un fariseo) —

Soggetto: dal Vangelo secondo Matteo —
Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini —
Fotografia (panoramico-bianco e nero):
Tonino Delli Colli —
Montaggio: Nino Baragli —
Musica: Bach, Mozart, Prokofiev, Spirituals, Missa Luba, Canti popolari vari —
Durata: 165’.

Premi:

Premio speciale della Giuria alla XXV
Mostra Internazionale d’arte Cinematografica di Venezia, 1964.
Premio OCIC, 1964, alla XXV Mostra Internazionale d’arte Cinematografica di Venezia.
Grifone d’oro città di Imola, 1964.
Premio Cineforum, 1964.
Premio San Giorgio, 1964.
Premio dell’Unione Internazionale della Critica Cinematografica, 1964.
X Gran Premio QCIC, Assisi, 1964.
Caravella d’argento al Festival di Lisbona, 1965.
Premio Nastro d’argento, 1965 a:
Pier Paolo Pasolini, quale miglior regista;
Tonino Delli Colli, per la miglior fotografia;
Danilo Donati, quale miglior costumista.
Premio per il miglior film cattolico dell’anno, Germania, 1965.
Lauro d’argento della fondazione D. O. Selznick, San Francisco, 1966.


Il film Il Vangelo secondo Matteo

L’opera narra gli episodi della vita di Gesù, riportati dal Vangelo di Matteo, inserendo nella narrazione parte degli insegnamenti del Cristo. Mette in luce
infatti gli episodi riguardanti l’infanzia di Gesù, la sua preparazione alla vita pubblica, la chiamata degli apostoli e la sua predicazione. Predicazione rivolta soprattutto ai poveri, costellata di miracoli e insidiata dai farisei. Visualizza ancora la scelta di Pietro a fondamento della sua Chiesa, le profezie della passione e tutti gli episodi riguardanti l’ultima cena, il tradimento di Giuda e il
rinnegamento di Pietro che culminano con il processo a Gesù e la sua passione e morte sul Calvario. Il film si chiude con il Cristo risorto che rassicura i discepoli sulla sua presenza nel mondo e li invita a non avere paura.

Che cosa dice il film

Le scelte operate dal regista relative al
testo evangelico di Matteo, al ceto di persone che gravitano attorno al Cristo e che ne accolgono il messaggio e i luoghi in cui è ambientato il film, costituiscono gli elementi essenziali che concorrono alla significazione tematica del film stesso.
Per quanto riguarda il testo evangelico, a parte gli episodi dell’infanzia di Gesù e della sua passione e morte, funzionali ai
fini dell’ambientazione storico-esistenziale del Cristo, Pasolini insiste soprattutto sui discorsi di Gesù, scegliendo quelli prettamente sociali e in contrapposizione fra di loro per stabilire, da una parte, la beatitudine dei poveri, e dall’altra, l’ipocrisia dei potenti.
In analogo rapporto stanno i due gruppi sociali: ricchi e poveri. Da una parte i poveri, gli oppressi: contadini «armati»
di rastrelli e forche, sempre intenti alla fatica dei campi, pescatori che trasforma in discepoli, malati che guarisce, bambini innocenti che lo osannano. Dall’altra i potenti, sempre pronti a tramare la morte del Cristo perché apre gli occhi ai poveri sui quali temono di perdere l’autorità e i ricchi, incapaci di seguire il Cristo che propone di dividere i loro beni con i poveri.
Operando queste scelte Pasolini sposta l’ottica di interpretazione del Vangelo dì Matteo. L’evangelista scrive per dimostrare la divinità di Gesù e per perpetuare nei secoli il suo messaggio universale di amore, di pace e di giustizia, mettendo i poveri fra i privilegiati recettori del messaggio, ma non gli unici; Pasolini, invece, vuole visualizzare la forza di un messaggio di
giustizia e di riscatto dei deboli, degli oppressi soprattutto materialmente, mettendoli in netta contrapposizione con gli oppressori politici e religiosi.
A Pasolini premeva mostrare l’attualità sociale del Cristo che contesta un sistema e ne propone un altro, che paga con la vita l’ideale che propugna e che, risorto, lo consegna ad altri perché venga perpetuato nei secoli.
E qui la scelta dei luoghi si inserisce per attualizzare il concetto di persistenza storica dell’idea. Il meridione d’Italia, con la sua aridità di luoghi, la povertà della gente, serve a Pasolini per dire che il Cristo di duemila anni fa trova ancora il suo posto oggi. La sua idea-messaggio è attuale e deve essere ancora «urlata» agli uomini del nostro tempo e di fatto lo è perché il Cristo è sì morto, ma è
risorto per garantire la continuità della sua opera.
In ultima analisi Pasolini propone un Cristo-mito, non un Cristo-Dio, un leader che ha operato in un suo contesto storico, ma che può essere preso a esempio da chi vuole condurre oggi una analoga battaglia a favore degli oppressi.

Tema

Il Cristo, nel suo operare storico è visto come "mito" per aver reso vivo tra i poveri e gli oppressi l’idea-messaggio della giustizia e del riscatto. Idee destinate a perpetuarsi nel tempo perché garantite dalla sua "presenza" di "risorto".




*****


IL VANGELO DI MATTEO 
      UNA CARICA DI VITALITÀ


 
     Mi secca molto dover parlare di un libro di duemila anni fa: mi sembra di essere un poeta ermetico, o una poetessa, o un professore che tiene una rubrica alla televisione. Parlare come di un’ultima lettura di un libro di duemila anni fa è sempre qualcosa che rende molto rispettabili, «grandi», o almeno partecipi della grandezza. Ma, per quel che mi riguarda, è stato un puro caso.
Ho riletto, per la quinta o la sesta volta in queste ultime settimane, il Vangelo secondo Matteo, per ragioni di lavoro. Infatti devo cominciare a trasporre il testo – senza la mediazione della sceneggiatura, ma così com’è, come se fosse già una sceneggiatura pronta – in un testo inalterato letteralmente, ma tecnicizzato. Per es.:

       1 - F. I. di Maria, vicina a essere madre.

       2 - P. P. o P. P. P. di Maria che guarda addolorata, umile, vergognosa.

       3 - P. P. o P. P. P. di Giuseppe che ricambia lo sguardo addolorato, ma rigido, severo.

 
     4 - F. I. di Giuseppe che si allontana in pan. dalla stanzetta.

       5 - F. I. di Giuseppe che sempre in pan. cammina lungo l’orto (o un piccolo brolo, o un vigneto) e si distende sotto un albero.

       6 - P. P. di Giuseppe, che stanco, dolente chiude gli occhi, e dorme.

       7 - F. I. dell’angelo che gli appare, dicendo: «Giuseppe, figliol di Davide, non temere di prender teco Maria, tua moglie...».

       È la lettura migliore che si possa fare di un testo. Una analisi che mai stilista poté prevedere, quale studio della funzionalità dei lacerti, del potere
di visualizzazione dei brani anche connettivi, degli elementi «acceleranti», oltre che di quelli «ritardanti», studiati da Spitzer (il san Matteo è pieno di queste accelerazioni stilistiche, l’elissi e la sproporzione sono le sue caratteristiche romantico-barbariche) ecc. ecc.
       Perché io abbia cominciato un simile lavoro, poi, sarebbe un discorso
ben più lungo, è facile immaginarlo. Dirò solo un fatto (sempre tecnico: e chi ha orecchi per intendere, intenda): appena finita la prima lettura del Vangelo secondo Matteo (un giorno di questo ottobre, ad Assisi, con intorno attutita, estranea, e, in fondo, ostile, la festa per l’arrivo del Papa), ho sentito subito il bisogno di «fare qualcosa»: una energia terribile, quasi fisica, quasi manuale. Era
l’«aumento di vitalità» di cui parlava Berenson – e ora nozione tanto cara alla mia «cerchia»: Soldati, Bassani, Bertolucci, Moravia... – l’aumento di vitalità che si concreta generalmente in uno sforzo di comprensione critica dell’opera, in una sua esegesi: in un lavoro, insomma, che la illustri, e trasformi il primo impeto pregrammaticale d’entusiasmo o
commozione in un contributo logico, storico. Cosa potevo fare io per il san Matteo? Eppure qualcosa dovevo fare, non era possibile restare inerti, inefficienti, dopo una simile emozione, che, così esteticamente profonda, poche volte mi aveva investito nella vita. Ho detto «emozione estetica». E sinceramente, perché sotto questo aspetto si è presentato, prepotente,
visionario, l’aumento della vitalità. La mescolanza, nel testo sacro, di violenza mitica (ebraica, in un senso quasi razzistico e provinciale della parola) e di cultura pratica, quella entro cui Matteo, alfabeta, non poteva non operare, proiettava nella mia immaginazione una doppia serie di mondi figurativi, spesso connessi fra loro: quello fisiologico, brutalmente vivente, del tempo biblico
come mi era apparso nei viaggi in India o sulle coste arabiche dell’Africa, e quello ricostruito dalla cultura figurativa del Rinascimento italiano, da Masaccio ai manieristi neri. Pensate alla prima inquadratura, alla «F. I. di Maria, vicina a essere madre»: si può sfuggire alla suggestione della Madonna di Piero della Francesca a San Sepolcro? Quella bambina, di pelo biondo, o forse appena
rossiccio, quasi senza ciglia, le palpebre gonfie, il ventre appuntito il cui profilo ha la stessa castità del profilo di un colle appenninico? E subito dopo, l’orto, o il brolo, in cui Giuseppe si raccoglie a riposare, non è uno di quegli spiazzi polverosi, rosa, con capre rosse, che ho visto nei villaggi egiziani intorno a Assuan, o ai piedi dei vulcani violetti di Aden?
       Ma, ripeto, questo era l’aspetto esterno, stupendamente visuale, dell’aumento di vitalità. Nel fondo c’era qualcosa di più violento ancora, che mi scuoteva.
       Era la figura di Cristo come lo vede Matteo. E qui col mio vocabolario estetico-giornalistico dovrei fermarmi. Vorrei però soltanto aggiungere che nulla mi pare più contrario al mondo
moderno di quella figura: di quel Cristo mite nel cuore, ma «mai» nella ragione, che non desiste un attimo dalla propria terribile libertà come volontà di verifica continua della propria religione, come disprezzo continuo per la contraddizione e per lo scandalo. Seguendo le «accelerazioni stilistiche», di Matteo alla lettera, la funzionalità barbarico-pratica del suo racconto, l’abolizione dei tempi
cronologici, i salti elittici della storia con dentro le «sproporzioni» delle stasi didascaliche (lo stupendo, interminabile discorso della montagna), la figura di Cristo dovrebbe avere, alla fine, la stessa violenza di una resistenza: qualcosa che contraddica radicalmente la vita come si sta configurando all’uomo moderno, la sua grigia orgia di cinismo, ironia, brutalità pratica, compromesso, conformismo, glorificazione della propria identità nei connotati della massa, odio per ogni diversità, rancore teologico senza religione.

       P.P. Pasolini
       (Da «Il Giorno», 6 marzo 1963)



SEI LETTERE


       Lettera di Pier Paolo Pasolini al Dott. Lucio S. Caruso della Pro Civitate Christiana di Assisi.
       febbraio 1963

 
     Caro Caruso,
       vorrei spiegarle meglio per scritto, quello che le ho confusamente confidato a voce.
       La prima volta che sono venuto da voi a Assisi, mi sono trovato accanto al capezzale il Vangelo: vostro delizioso-diabolico calcolo! E infatti tutto è andato come doveva andare: l’ho riletto – dopo circa vent’anni (era il quaranta, il
quarantuno, quando, ragazzo, l’ho letto per la prima volta: e ne è nato «L’Usignolo della Chiesa Cattolica» – poi l’ho letto solo saltuariamente, un passo qua, un passo là, come succede...).
       Da voi, quel giorno, l’ho letto tutto di seguito, come un romanzo. E, nell’esaltazione della lettura – Lei lo sa, è la più esaltante che si possa fare! – mi è venuta, tra l’altro, l’idea di farne un
film. Un’idea che da principio mi è sembrata utopistica e sterile, «esaltata», appunto. E invece no. Col passare dei giorni e poi delle settimane, questa idea si è fatta sempre più prepotente e esclusiva: ha cacciato nell’ombra tutte le altre idee di lavoro che avevo nella testa, le ha debilitate, devitalizzate. Ed è rimasta solo lei, viva e rigogliosa in mezzo a me.
 
     Solo dopo due o tre mesi, quando ormai l’avevo elaborata – e mi era diventata del tutto familiare – l’ho confidata al mio produttore: ed egli ha accettato di fare questo film così difficile e rischioso, per me – e per lui.
       Ora, ho bisogno dell’aiuto vostro: di Don Giovanni, Suo, dei suoi colleghi. Un appoggio tecnico, filologico, ma anche un appoggio ideale. Le chiederei
insomma (e, attraverso lei, con cui ho maggiore confidenza, alla «Pro Civitate Christiana») di aiutarmi nel lavoro di preparazione del film, prima, e poi di assistermi durante la regia.
       La mia idea è questa: seguire punto per punto il «Vangelo secondo San Matteo», senza farne una sceneggiatura o una riduzione. Tradurlo fedelmente in immagini, seguendone senza una
omissione o un’aggiunta il racconto. Anche i dialoghi dovrebbero essere rigorosamente quelli di San Matteo, senza nemmeno una frase di spiegazione o raccordo: perché nessuna immagine o nessuna parola inserita potrà mai essere all’altezza poetica del testo.
       È questa altezza poetica che così ansiosamente mi ispira. Ed è un’opera di
poesia che io voglio fare. Non un’opera religiosa nel senso corrente del termine, né un’opera in qualche modo ideologica.
       In parole molto semplici e povere: io non credo che Cristo sia figlio di Dio, perché non sono credente – almeno nella coscienza. Ma credo che Cristo sia divino: credo cioè che in lui l’umanità sia così alta, rigorosa, ideale da andare al di là dei comuni termini dell’umanità. Per
questo dico «poesia»: strumento irrazionale per esprimere questo mio sentimento irrazionale per Cristo. Vorrei che il mio film potesse essere proiettato nel giorno di Pasqua in tutti i cinema parrocchiali d’Italia e del mondo. Ecco perché ho bisogno della vostra assistenza e del vostro appoggio. Vorrei che le mie esigenze espressive, la mia ispirazione poetica, non
contraddicessero mai la vostra sensibilità di credenti. Perché altrimenti non raggiungerei il mio scopo di riproporre a tutti una vita che è modello – sia pure irraggiungibile – per tutti.
Spero tanto che abbiate fiducia in me.
       Le stringo la mano, affettuosamente, suo

       Pier Paolo Pasolini



       Lettera di P. Grasso S.J. a Pier Paolo Pasolini
       Roma, 5 aprile 1963

 
     Gentilissimo Dottore,
       desidero esprimerle anche per iscritto il piacere provato nel fare la sua conoscenza, della quale ringrazio il dott. Caruso. Avevo letto e sentito parlare di lei, facendomene un concetto non rispondente a verità. È sempre una gioia potersi ricredere e constatare con quanta verità il Vangelo ci dica di non giudicare. È sempre un rischio violare il
mistero che circonda ogni uomo. In lei ho visto un uomo buono, in cerca di valori capaci di dare un senso alla vita. È questo l’unico vero problema che unisce tutti gli uomini e li fa apparire degli «accattoni». Tutti andiamo cercando nel nostro prossimo l’immagine di Dio, tanto difficile a vedersi, ma che pure costituisce l’unica ragione che lo rende degno di rispetto e di amore. Lei, forse,
non condividerà questo punto di vista, ma indubbiamente, glielo dico con franchezza, è presente nei suoi libri e nel film che ieri mi ha fatto vedere, molto più di quanto lei pensa.
       E poi tra noi c’è la figura di Cristo. Io credo che egli sia veramente il Figlio di Dio, perché solo in tale ipotesi è possibile spiegare la sua personalità. Lei non osa ancora dire tanto. Non importa:
la persona di Cristo è tanto grande da meritare il più profondo rispetto anche nei suoi soli aspetti umani. Le auguro che la sua conoscenza di Gesù vada sempre più approfondendosi fino a scoprire interamente il suo mistero. Nel Vangelo troverà la via migliore per conoscere ed amare il nostro prossimo, specialmente il povero e il diseredato, perché nessuno l’ha conosciuto più
profondamente di Gesù Cristo.
       Per il suo film* non posso non ripeterle quanto le dissi a voce. Mi ha fatto una grande impressione e mi ha fatto pensare. La purezza delle sue intenzioni per me non lascia dubbi. Dalla stessa realizzazione credo sinceramente che non si possa tirare la conclusione di vilipendio alla religione. Le sue spiegazioni e, in particolare, il contatto avuto con Lei mi fanno escludere la cosa nella maniera più evidente.
       Spero che questo primo contatto sia soltanto il primo. Per me sarà sempre un piacere discutere con Lei dei problemi che interessano ogni uomo.
       Con i più vivi auguri per il suo lavoro, La prego di gradire la mia stima più sincera. Suo

       D. Grasso S.J.




       Lettera di Pier Paolo Pasolini a Don Giovanni Rossi della Pro Civitate Christiana di Assisi
       maggio 1963

 
     Carissimo Don Giovanni,
       sono tre o quattro giorni che quasi non esco di casa, preso dal fervore e dall’angoscia del lavoro. Ho fatto quel che ho potuto, cioè poco più che degli affrettati appunti: spero che Lei e i Suoi collaboratori possano leggere in questa lingua arida e tecnica, quello che c’è dentro, e di cui ho appena abbozzato il disegno. Intanto andrò avanti, e venerdì,
ad Assisi, porterò con me la fine della sceneggiatura.
       L’abbraccio affettuosamente (La vedo ancora davanti agli occhi, lassù contro la ringhiera del giardino, che mi chiama e mi saluta: immagine che mi ha seguito in tutto il lavoro di questi giorni). E porga i miei affettuosi saluti anche a tutti i Suoi amici della Cittadella. Suo dev.Mo

       Pier Paolo Pasolini




       Lettera del Dott. Lucio S. Caruso della Pro Civitate Christiana al produttore Alfredo Bini
       12 maggio 1963

       Caro Dottor Bini,
       il copione del «Vangelo secondo Matteo» l’ho letto tutto d’un fiato. Bellissimo! La mia prima impressione è di stupore: possibile che l’autore sia quel Pasolini del quale alcuni giornali dicono tanto male? Non solo siamo nella più stretta aderenza al Sacro Testo, non solo ci troviamo nella più completa ortodossia etica e dogmatica, ma abbiamo un lavoro d’un acume esegetico fuor del comune.
       Nei prossimi giorni conoscerò il giudizio di Don Giovanni Rossi e quello di illustri teologi quali Padre Favaro, il Prof. Grasso, il Prof. Angelo Penna.
       Mi consenta ora di anticipare una considerazione a quanto potrò più
estesamente dirLe a voce: mi sembra che sia un film da farsi, o almeno da tentarsi. Tutto dipende ora da Pasolini, dalla sua fede. Sarà capace Pasolini di alimentare dentro di sé una grande fiammata di Fede? Per fare un film su Gesù occorre innanzitutto credere in Gesù, altrimenti ne viene un’opera fredda e accademica. Stando ai fatti, finora abbiamo ricevuto dal dott. Pasolini delle notevoli assicurazioni e un ottimo copione: tutto questo mi sembra di buon auspicio.
       In attesa di rivederLa, gradisca, caro dottor Bini, i più cordiali miei saluti. Suo

       Lucio S. Caruso




       Lettera di Don Giovanni Rossi della Pro Civitate Christiana al produttore Alfredo Bini
       15 maggio 1963

 
     Illustre Dottor Bini!
       ho esaminato con i miei volontari e con persone competenti di Roma e di Milano il copione «Il Vangelo secondo Matteo» e l’ho trovato buono, privo di errori di Fede e di Morale.
       Occorre apportare soltanto qualche ritocco, cosa che credo il regista abbia già fatto.
       Di buon grado accolgo la richiesta Sua e del dott. Pasolini di far guidare il sopraluogo in Terra Santa da un sacerdote della Pro Civitate Christiana. Anzi mi sembra molto utile. Probabilmente potrà venire Don Andrea Carraro.
       Certo non posso giudicare un film prima ancora che venga girato, però è con viva fiducia che prendo atto della serietà con cui tutti i preparativi si sono svolti finora e penso che, sulle assicurazioni date, tutto potrà concludersi nel migliore dei modi.

       Gradisca cordiali saluti
       Don Giovanni Rossi




       Lettera di Pier Paolo Pasolini al produttore Alfredo Bini
       giugno 1963

 
     Caro Alfredo,
       mi chiedi di riassumerti per scritto, e per tua comodità, i criteri che presiederanno alla mia realizzazione del «Vangelo secondo San Matteo».
Dal punto di vista religioso, per me, che ho sempre tentato di recuperare al mio laicismo i caratteri della religiosità, valgono due dati ingenuamente ontologici: l’umanità di Cristo è spinta da una tale forza interiore, da una tale irriducibile sete di sapere e di verificare il sapere, senza timore per nessuno scandalo e nessuna contraddizione, che per essa la metafora «divina» è ai limiti della metaforicità, fino a essere idealmente una realtà. Inoltre: per me la bellezza è sempre una «bellezza morale»: ma questa bellezza giunge sempre a noi mediata: attraverso la poesia, o la filosofia, o la pratica: il solo caso di «bellezza morale» non mediata, ma immediata, allo stato puro, io l’ho sperimentata nel Vangelo.
     Quanto al mio rapporto «artistico» col Vangelo, esso è abbastanza curioso: tu forse sai che, come scrittore nato idealmente dalla Resistenza, come marxista ecc., per tutti gli anni Cinquanta il mio lavoro ideologico è stato verso la razionalità, in polemica coll’irrazionalismo della letteratura decadente (su cui mi ero fermato e che tanto amavo). L’idea di fare un film sul Vangelo, e la sua intuizione tecnica, è invece, devo confessarlo, frutto di una furiosa ondata irrazionalistica. Voglio fare pura opera di poesia, rischiando magari i pericoli dell’esteticità (Bach e in parte Mozart, come commento musicale: Piero della Francesca e in parte Duccio per l’ispirazione figurativa; la realtà, in fondo preistorica ed esotica del mondo arabo, come fondo e ambiente). Tutto questo rimette pericolosamente in ballo tutta la mia carriera di scrittore, lo so. Ma sarebbe bella che, amando così svisceratamente il Cristo di Matteo, temessi poi di rimettere in ballo qualcosa. Tuo

       Pier Paolo Pasolini

@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

Grazie per aver visitato il mio blog

Nessun commento:

Posta un commento