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mercoledì 10 aprile 2013

Delitto Pasolini - Inchiesta MicroMega - I fatti: quello che non torna

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




di Gianni Borgna e Carlo Lucarelli, da MicroMega 6/2005

Una ricostruzione minuziosa, attraverso fatti e testimonianze, di quel 2 novembre 1975 in cui fu ucciso Pasolini, e delle incongruenze delle ricostruzioni ufficiali e ufficiose che vorrebbero spiegare l’omicidio. Fino a questa clamorosa e documentata ipotesi, l’unica che fa andare al suo posto tutti i pezzi del terribile puzzle: un omicidio politico premeditato.


I fatti: quello che non torna

Ma sono in tanti a dubitare della verità proposta dalla polizia, anche perché, appunto, troppo verosimile per essere vera, troppo «pasoliniana»: i familiari di Pasolini, Graziella Chiarcossi, sua cugina, che con Pasolini divide l’appartamento; gli amici Laura Betti e Sergio Citti; gli avvocati di parte civile Nino Marazzita e Guido Calvi; e persino gli avvocati di Pelosi, Tommaso e Vincenzo Spaltro, che affermano: «Noi concordiamo con le notizie date dall’Europeo che sul posto del delitto c’erano delle altre persone. La storia raccontata dalla Fallaci ci persuade in questo senso: noi siamo convinti che Giuseppe Pelosi non è l’assassino, per la semplice ragione che non ha la capacità fisica né psichica di commettere un omicidio». Pino la Rana, a questo punto, li estromette inopinatamente dall’incarico, dopo un insolito colloquio in carcere con i suoi genitori.
Insomma, ci sono un sacco di cose che non convincono. A partire dalle indagini compiute in fase istruttoria.
Sono in tanti a dubitare di quelle indagini. Già lo avevano fatto, appunto, i giornalisti, fin dal primo momento. Oriana Fallaci ed altri giornalisti del settimanale L’Europeo conducono anche una controinchiesta.
Salta fuori un testimone che dice che Pasolini era entrato in una baracca con Pino Pelosi e due motociclisti, che poi lo avevano inseguito fino al campetto, colpendolo con una catena.
Arriva un altro testimone, un omosessuale che frequenta il giro della prostituzione, e che dice che Pasolini è stato ucciso perché faceva troppe domande sul racket dei ragazzi di vita. Ne arriva un altro ancora, «il ragazzo che sa» lo chiama la Fallaci, che dice che Pasolini è caduto in un agguato organizzato per rapinarlo e che è stato ucciso per avere reagito. «Gli volevano solà er portafoglio» dice il testimone ai giornalisti, prima di scappare via.
Sono dichiarazioni strane. Non reggono molto neppure quelle. I testimoni individuati dalla polizia ritrattano, uno fa risalire le sue informazioni a fonti «parapsicologiche», di altri la Fallaci e i giornalisti non vogliono rivelare l’identità.
Ma i punti in discussione riguardano soprattutto la conduzione delle indagini.
Quando la polizia arriva sulla spiaggia dell’Idroscalo, alle sei e quarantacinque di quella domenica mattina, trova accanto al corpo di Pasolini una piccola folla di curiosi. 
Nessuno li allontana, e gli agenti lasciano perfino che alle nove un gruppo di ragazzi in maglietta e calzoncini giochi una partita sul campetto vicino. Non è una zona interessata dai rilievi, dice la polizia. No, dicono i giornalisti, il campetto era a pochi metri, tanto che a volte la palla arriva sul luogo del delitto e sono gli stessi agenti a rilanciarla ai ragazzi con un calcio. E dietro la porta del campetto, dicono i giornalisti, ci sono pezzi di legno macchiati del sangue di Pasolini e la sua camicia intrisa di sangue, che sta in un posto strano, a 70 metri da dove è stato ritrovato il corpo.
Comunque sia, tutta quella gente che cammina sul luogo del delitto rende impossibile rilevare eventuali tracce di passi o di pneumatici. È una scena del delitto veramente confusa, quella, con molti reperti raccolti senza che ne venga segnata correttamente la posizione precisa.
E poi c’è la macchina.
La macchina resta nella rimessa dei carabinieri per parecchi giorni e viene consegnata alla scientifica soltanto il giovedì. 
È rimasta lì per quattro giorni, aperta e sotto la pioggia, finché non viene messa sotto una tettoia e nel farlo l’autista che la sposta va anche a sbattere contro un palo. C’è qualcosa di interessante in quell’auto, ci sono un maglione e un plantare per scarpa che non appartengono a Pasolini, il maglione è di taglia diversa e la famiglia non lo riconosce, e di plantari Pasolini non ne ha mai portati. Non appartengono neanche a Pelosi e nella macchina ci sono finiti il giorno dell’omicidio, perché prima l’auto era stata lavata e ripulita accuratamente.
E c’è un’altra cosa. C’è una macchia di sangue sul tetto dell’Alfa 2000, come se qualcuno ci si fosse appoggiato con la mano sporca di sangue per aprire la portiera. 
La portiera è quella di destra, quella del passeggero, non quella da cui si entra per guidare.
E poi c’è la perizia del medico legale di parte civile.
Inizialmente la morte di Pasolini era stata attribuita a dissanguamento. La parte civile, la famiglia di Pasolini, affida la perizia al professor Faustino Durante, medico chirurgo, docente dell’Istituto di medicina legale dell’Università di Roma.
Pier Paolo Pasolini è morto perché la sua auto gli è passata sopra, fratturandogli dieci costole e lo sterno, lacerandogli il fegato e facendogli scoppiare il cuore. Nelle fotografie ci sono le tracce dei pneumatici che arrivano fino al suo corpo e gli passano sopra.
Prima, però, è stato massacrato.
In quel campetto all’Idroscalo ci sono alcuni oggetti sporchi del sangue e dei capelli di Pasolini, due paletti e due tavolette di legno, e infatti quattro o cinque ferite sono state provocate da quelli. Ma le altre? Tutto quel massacro? I colpi alla testa? Per il professor Durante Pasolini è stato colpito con qualcosa di molto più resistente e pesante di qualche pezzo di legno fradicio e friabile.
Il professor Durante fa notare un’altra cosa. Pasolini è coperto di sangue, «un grumo di sangue», l’hanno definito. Ma Pino Pelosi no. Ha soltanto una macchia di sangue su un polsino, un’altra sui calzoni e un’altra sotto una suola. Non si spiega. Va bene, si è lavato le mani alla fontanella in fondo alla strada, ma non basta. Non si spiega.
Come non si spiega che Pasolini non abbia reagito all’aggressione, perché Pelosi, a parte una piccola escoriazione sulla fronte che si è fatto sbattendo con la testa sul volante quando lo hanno fermato i carabinieri, non ha lividi o ferite. Eppure Pasolini è un uomo forte e dinamico, uno che pratica sport, che gioca a calcio, uno che avrebbe reagito, in una colluttazione. E Pino Pelosi non è un gigante, è un ragazzo di 17 anni, alto 1 metro e 71, e di 60 chili di peso. 

Fonte:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/cosi-mori-pasolini/


@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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