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mercoledì 10 aprile 2013

Delitto Pasolini - inchiesta MicroMega - I fatti: il processo di primo grado

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




di Gianni Borgna e Carlo Lucarelli, da MicroMega 6/2005

Una ricostruzione minuziosa, attraverso fatti e testimonianze, di quel 2 novembre 1975 in cui fu ucciso Pasolini, e delle incongruenze delle ricostruzioni ufficiali e ufficiose che vorrebbero spiegare l’omicidio. Fino a questa clamorosa e documentata ipotesi, l’unica che fa andare al suo posto tutti i pezzi del terribile puzzle: un omicidio politico premeditato.


I fatti: il processo di primo grado

Il processo a Pino Pelosi, imputato di «omicidio nella persona di Pasolini Pier Paolo» si apre il 2 febbraio 1976 presso il Tribunale per i minorenni di Roma, perché Pino Pelosi non ha ancora diciot­t’anni. La famiglia di Pasolini, con gli avvocati Guido Calvi e Nino Marazzita, si costituisce parte civile, per poter seguire le indagini e il processo.
Pino Pelosi siede sul banco degli imputati come autore dell’omicidio, da solo e in quel modo, secondo quanto ha ammesso lui stesso e secondo quanto è emerso dalle indagini della polizia. La confessione e le indagini. Ma c’è qualcosa che non va. Il processo, un processo così semplice, l’omicidio di un omosessuale che voleva rimorchiare un ragazzino, si rivela molto più complesso. E pieno di colpi di scena.
A presiedere il Tribunale per i minorenni di Roma c’è un magistrato che si chiama Alfredo Carlo Moro, ed è il fratello del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro. È un magistrato zelante, il presidente Moro, esamina tutti gli atti assieme ai magistrati che compongono la giuria, respinge la richiesta di considerare Pino Pelosi incapace di intendere e di volere avanzata dalla difesa sulla base della perizia del professor Aldo Semerari, un criminologo dal­la biografia molto particolare, che spesso incrocia fatti relativi alla strategia della tensione e che poi verrà ucciso dalla camorra.
Il 26 aprile 1976 il presidente Moro pronuncia la sentenza. Pino Pelosi viene condannato a nove anni, sette mesi e dieci giorni e a 30 mila lire di multa per atti osceni, furto aggravato e omicidio volontario nella persona di Pasolini Pier Paolo.
Ma attenzione, non è tutto qui. «Ritiene il collegio», dice il presidente Moro, «che dagli atti emerga in modo imponente la prova che quella notte all’Idroscalo il Pelosi non era solo». Quel maglione e quel plantare ritrovati nella macchina che non appartengono né a Pasolini né a Pelosi. Impronte di scarpe rinvenute sul luogo del delitto, lontano dalla zona calpestata dai curiosi, che non appartengono né a Pelosi né a Pasolini. Il sangue sul tetto della macchina dalla parte del passeggero, la dinamica del delitto ricostruita dal professor Durante. A massacrare Pier Paolo Pasolini in quel modo, secondo il Tribunale, non c’era soltanto Pino la Rana. C’erano anche altre persone. Rimaste ignote.
I fatti: i processi di secondo e terzo grado

L’imputato e il procuratore generale si appellano alla sentenza. Il 4 dicembre 1976 la sezione per i minorenni della Corte d’Appello di Roma assolve Pino Pelosi dall’imputazione di atti osceni e furto, ma conferma la condanna per omicidio. Attenzione, però. Riesaminati tutti gli elementi che avevano convinto il presidente Moro, la nuova Corte ritiene «estremamente improbabile, per tutte le cose dette, che Pelosi possa avere avuto uno o più complici». A massacrare e uccidere Pier Paolo Pasolini, quella notte all’Idroscalo, c’era soltanto lui, Pino la Rana.
Il 26 aprile del 1979 la Corte di cassazione conferma la sentenza. Caso chiuso. Pier Paolo Pasolini è stato ammazzato da Pino Pelosi. Da lui e basta.
Una brutta storia, una storia di prostituzione e di violenza. Un delitto tra omosessuali. Una cosa da dimenticare in fretta.


Fonte:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/cosi-mori-pasolini/


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Curatore, Bruno Esposito

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