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lunedì 29 ottobre 2012

Pasolini sulla questione linguistica.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Pier Paolo Pasolini,
sulla questione linguistica


Sulle questioni linguistiche Pier Paolo Pasolini scrive soprattutto in Empirismo eretico (1964-72), ma anche in saggi sparsi. La sua tesi è che sino all'avvento del neocapitalismo, cioè sino ai primi anni '60, in Italia non esisteva una lingua nazionale, unica per tutte le classi sociali, ma un "italiano medio" come lingua della sola classe dominante borghese, che si ispirava evidentemente alla lingua letteraria. Il popolo, da parte sua, aveva tanti linguaggi particolari, quante erano le realtà locali in cui si esprimeva. Dagli anni '60 in poi, come elemento unificatore di tutte le classi sociali, attraverso i mass-media, soprattutto la televisione, si fa strada una vera e propria lingua nazionale basata sul frasario tecnologico, anti-espressivo e quindi solo comunicativo cioè strumentale. Si tratta di una "comunicazione segnaletica" che trasforma antropologicamente gli uomini in automi, a causa di desideri inautentici inculcati loro dal potere consumistico ai fini della produzione.

Le realtà dialettali sono divenute delle "sopravvivenze" da tutelare come le opere d'arte in un museo. Non sono più il linguaggio vivo e colorito del popolo. La cultura tecnica ha inoltre soppiantato quella umanistica, non consona alla logica del consumo di beni superflui. Mentre in passato alla guida della lingua era la letteratura (sia pure fatta da borghesi), adesso sono le aziende. Tutto questo egli lo vede sul nascere, mentre noi ci siamo già dentro.

Cosa possono fare i letterati? Pasolini li invita a non rimuovere la questione, ad appropriarsi del nuovo linguaggio tecnologico per far valere, magari  attraverso un uso ironico-distorcente di esso, il fine dell'espressività cioè della libertà contro la meccanizzazione dell'uomo. Infatti il nuovo sistema sociale e linguistico è comunicativo sì, ma non razionale, quindi è pericolosamente irrazionale. Riporta gli individui a condizioni preistoriche, improntate a licenza e caos, in cui i rapporti umani diventano mercificati (ad esempio, si cambia partner come se fosse un'automobile).

E' il fallimento del sogno degli intellettuali marxisti che con e dopo la Resistenza hanno combattuto perché in Italia si potesse creare una lingua nazionale "attraverso un democratico arricchimento linguistico, ottenuto con contributi paritetici da tutti i livelli culturali, regionali e classisti."

Verrà criticato sia da sinistra che da destra. Da sinistra gli verrà detto (soprattutto da Moravia) che ha contrabbandato per analisi oggettive le sue nuove esigenze di poetica; la neoavanguardia rivendicherà di essere stata lei stessa la scopritrice della lingua nazionale tecnocratica; i linguisti lo accuseranno, al solito, di superficialità. I conservatori, dal canto loro, di aver trascurato la letteratura in nome della propria "infatuazione tecnocratica", cioè l'esatto contrario della verità: Pasolini non "amava" la lingua tecnocratica, si limitava a vederla nascere e anzi prevedeva che essa, attraverso l'industria culturale, avrebbe reso marginali la cultura umanistica e le tradizioni, che lui in realtà amava.


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Pier Paolo Pasolini e la letteratura: brevi note su letterati suoi contemporanei

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Pier Paolo Pasolini e la letteratura
Brevi note di Pasolini su letterati suoi contemporanei


Nella sua critica letteraria, Pier Paolo Pasolini si pone subito contro la resistenza solo passiva al fascismo da parte dei poeti ermetici; quindi dopo la guerra approderà al marxismo come ideologia che consente un approccio attivo alla realtà, al fine di  trasformarla. Tuttavia egli resta sopra ogni ideologia, anche quella marxista, perché la realtà è così complessa e imprevedibile che è appunto irriducibile a qualsiasi gabbia ideologica. Maestri di riferimento sono Gramsci e Contini. Nella critica militante degli ultimi anni giocherà la sua partita più essenziale: il tentativo, nel tempo della fredda comunicatività propria dell'era consumistica, di promuovere l'uomo espressivo come "oltreuomo" (cioè non più sopravvivenza dell'era umanistica e contadina ma fine evolutivo dell'essere umano che ha l'umiltà e il coraggio di affrontare la crisi a cui, in modi diversi, la realtà stessa lo sollecita). L'evoluzione quindi non la promuove certo la neoavanguardia, solo a parole antiborghese, ma in realtà composta da letterati che hanno comportamenti borghesi: così gli avanguardisti, distruggendo il linguaggio, distruggono se stessi divenendo insignificanti, chiusi nei loro gruppi.

Anche gli estremisti di sinistra vengono visti da Pasolini come apparentemente rivoluzionari, ma in realtà assetati di potere e avversi all'individuo problematico e veramente rivoluzionario: così i diversi sono "scandalo per gli integrati, stoltezza per i dissenzienti".

Quanto al lavoro dei critici letterari integrati che scrivono sui giornali nel tempo dell'industria culturale, dice:

"I libri di cui si parla sono scelti casualmente - come appunto dei prodotti - un po' secondo le regole del lancio industriale, un po' secondo le regole del sottogoverno. Affastellati tutti insieme, e scelti senza il minimo rigore, tutto interessa in essi fuori che il loro valore e la loro autenticità. Interessa ciò che essi socialmente rappresentano, ecco tutto. Di un libro si parla perché la moda, la casa editrice, il direttore del giornale, la comune posizione letteraria o ideologica (ma in un senso puramente pratico e personale) vogliono che se ne parli. Verso un libro non si sente più non solo amore (l'amore disinteressato per la poesia), ma neppure interesse culturale."

In cosa consiste invece una vera critica militante? Descrivere secondo una visuale, insieme oggettiva e soggettiva, razionale e irrazionale, le descrizioni della realtà date dalle opere letterarie (di qui il titolo del suo saggio Descrizioni di descrizioni).

Veniamo ora alla brevissima analisi di ciò che Pasolini pensava di autori a lui (salvo eccezioni) contemporanei, qui di seguito indicati in ordine alfabetico.



Anna BANTI: il suo amore per lo stile, ne fa un prodotto che l'industria culturale non può lanciare al consumo né mistificare: l'unica protesta contro l'industrializzazione dello stile... è lo stile.




Giorgio BASSANI: aveva il rimpianto per l'occasione perduta della Grazia, quindi viveva nell'attesa della ripresentazione (non certa) della Grazia stessa; escluso e perseguitato al tempo del fascismo in quanto ebreo, si limitò in principio a una protesta di tipo ermetico per approdare, dopo la guerra, al realismo.




Dario BELLEZZA: moralista verso se stesso per l'omosessualità vissuta con senso di colpa, quindi autolesionista, e pure poeta (il migliore della generazione successiva a quella di Pasolini) e intellettuale coraggioso.



Attilio BERTOLUCCI: amante dei piccoli piaceri della vita borghese, il suo epicureismo nasce dalla coscienza di qualcosa che è peggiore della morte stessa, come se dopo la morte ci fosse un'altra morte; così Bertolucci si "vendica" gustandosi i momenti di riposo dall'attività di poeta amabile proprio perché condivide un dolore che gli è estraneo, forse (congetturo) il dolore dei non poeti o non ancora poeti: condivisione come dovere e atto di amore.



Italo CALVINO: strano rapporto, di amicizia ma anche di contesa; in Descrizioni di descrizioni Pasolini cita una sua frase che lo ha impressionato e vale la pena riportare integralmente: "L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.  Due modi ci sono per non soffrirne.
Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio."


Giorgio CAPRONI: ha un atteggiamento vitale e patetico di fronte al mondo, nel quale vive, come uno dei letterati più liberi del novecento, sia pure pervaso da una forza illogica.







Giosuè CARDUCCI: fintamente vitale, in realtà coltivava sentimenti inautentici e retorici; la sua cultura era provinciale ed accademica.








Carlo CASSOLA: come conservatore e conformista, difende la normalità; esaltando la gretta provincia (che lo protegge con la sua reticenza), ha mancato nell'opera fondamentale dell'uomo, che è quella della autochiarificazione, che lo avrebbe portato, se l'avesse affrontata, a riconoscere anche in sé le origini della sua nevrosi, e cioè il complesso edipico, con la conseguente tentazione omosessuale, che lui non riconosce finendo per cristallizzare le figure femminili in una eterosessualità convenzionale.



Giovanni COMISSO: nel romanzo I due compagni narra il destino diverso di due giovani artisti amici, che dopo la prima guerra mondiale faranno scelte di vita di segno contrario (uno si imborghesirà, l’altro, più geniale ma anche più fragile, finirà in manicomio): secondo Pasolini, essi rappresentano in realtà due aspetti di un unico personaggio (l’autore stesso), lacerato da un conflitto interiore.




Gabriele D'ANNUNZIO: attratto dai corpi atletici di giovani maschi, fu conquistato dal virilismo fascista (anche per lui si può parlare di omosessualità inconscia).



DANTE: nella Commedia mantiene rigorosamente l'equidistanza tra sé e gli infiniti aspetti particolari del suo mondo; i sentimenti che prova Dante nei confronti dei personaggi dell'opera non sono suoi in quanto uomo ma in quanto personaggio. Il suo plurilinguismo comprende tutto, dall'alto al basso della società del Trecento, attraverso una mimesi linguistica che lo rende l'unico poeta realistico italiano (gli altri si pongono sulla linea petrarchesca dell'unilinguismo selettivo e accademico - ideologicamente reazionario, a difesa della classe dominante. Oppure sulla linea pseudo-dantesca plurilinguistica, affetta da iperstilismo, non avente una visione ideologica ma pratica della realtà, con rischio quindi di evasione estetica; oppure, infine, sulla linea del realismo minore, che riproduce l'esistenza quotidiana e sensuale).


Massimo FERRETTI: odiando la letteratura, perché essa col suo prestigio e l'erudizione onnisciente, manda avanti l'atroce macchina del mondo, afferma la possibilità di una lingua non letteraria, ma - osserva Pasolini - Ferretti, nella sua distruzione del mondo (cioè delle istituzioni), non elimina la parte più arcaica e atrocemente reale del mondo stesso, e quindi la sua stessa (di Ferretti) psicologia piccolo-borghese.



Carlo Emilio GADDA: barocco realistico e dantesco plurilinguismo. La società, oltraggiando il letterato libero (come appunto Gadda) lo martirizza, non perdonandogli il fatto che egli la pone di fronte alla cattiveria che la contraddistingue.






Francesco LEONETTI: scrittore orgoglioso e al tempo stesso pronto al sacrificio per il recupero dell'autenticità, pronto (ma per questo anche criticato dal nostro) ad ogni nuova esperienza letteraria e politica (il marxismo-leninismo). Come fa Leonetti - osserva Pasolini - col suo candore e il linguaggio del letterato colto, a fare esperienza totale, di vita, del pragmatismo proprio dei gruppi estremisti di sinistra, il cui linguaggio si pone agli antipodi di quello colto ed espressivo?



Giacomo LEOPARDI: è repressiva l'opera di alcuni biografi del poeta recanatese, i quali tacciono dei suoi difetti (narcisismo, egocentrismo, megalomania, impotenza, inibizioni linguistiche, manie e allergie). Dare di un poeta l'immagine di perfezione morale equivale a disconoscere la complessità della realtà umana, che ha pure i suoi aspetti demoniaci.



Mario LUZI: poeta autenticamente religioso, anche se Pasolini, essendo ateo, non ne condivide le posizioni.








Alessandro MANZONI: tutti i rapporti tra i personaggi dei Promessi sposi sono contraddistinti da una strana intensità omoerotica di fraternità oppure odio, che del resto ritroviamo in tutti i grandi romanzieri. Anche per lui la diagnosi è di omosessualità latente.






Dacia MARAINI: pur essendo amica, la critica per il suo femminismo che non tiene conto della realtà mutata italiana, la quale non vede più la donna sottomessa all'uomo (se non in casi eccezionali), ma sono proprio le ragazze, secondo Pasolini, a farsi garanti della trasmissione ai maschi dei falsi valori consumistici, mentre in passato, prima della mutazione antropologica, i ragazzi stavano tra loro e si iniziavano ai valori popolari estranei a quelli della classe dominante borghese.



Eugenio MONTALE: nel 1971 ci fu una polemica tra Pasolini e Montale. Secondo il nostro, Montale nega l'idea di "tempo" e quindi di "progresso" e in linea con la scienza contemporanea dice che tutto è fermo o ritorna; per questo è contrario al marxismo in quanto ideologia fondata sull'idea di "progresso".
Pasolini accusa Montale, a causa del suo pessimismo metafisico, di accettare il potere borghese come fatto naturale, e lo è infatti; fatto sta però che anche l'ideologia liberale-borghese si fonda sull'illusione del tempo come progresso. Perciò, in ultima analisi, lo accusa di malafede, perché non usa lo stesso metro per l'illusione marxista e per quella borghese.


Elsa MORANTE: la scrittrice era molto amata da Pasolini, per il suo coraggio, l'umile amore, l'adorabile ingenuità.








Alberto MORAVIA: il primo giudizio, del '47, non è tanto buono: lo vede come scrittore semplice e meccanicamente facile; poi diventerà suo amico e ne apprezzerà l'impegno letterario come irrisione della realtà borghese, che è bizzarra e meschina al tempo stesso; sarà tuttavia sempre una irrisione non crudele ma basata su una compassione canzonatoria; linguisticamente Moravia è per una lotta contro le frasi fatte, che nascono da sentimenti inautentici e costringono gli esseri umani a una vita alienata.



Ottiero OTTIERI: autoironico nel parlare della sua depressione, con proprietà di termini tecnici propri della psicoanalisi, dalla lettura piacevole e chiara, a metà tra l'improvvisazione più folle e lo speciale spirito ludico della conversazione mondana. Se avesse avuto meno timore del giudizio degli altri, si sarebbe adempiuto perfettamente.





Alessandro PANAGULIS: il rivoluzionario greco (contro il regime dei colonnelli) è stato trasformato in poeta autentico dalla esperienza della tortura sopportata con coraggio.







Giovanni PASCOLI: oggetto della sua tesi di laurea, Pasolini ne era colpito per la solitudine interiore a contatto col mistero della realtà, mistero tradotto e rivelato dalla poesia; stilisticamente complesso, perché da una parte ha uno stile "fisso", dall'altra sperimenta le tendenze stilistiche più disparate, grazie alle quali si pone come il diretto antenato dei poeti del novecento italiano.




Sandro PENNA: molto amato da Pasolini perché poeta coraggioso, grato alla vita; solo apparentemente amorale, un autoescluso dalla vita normale, un santo anarchico (la santità del nulla), precursore di ogni contestazione passiva e assoluta (non ha considerato nemmeno esistente l'abietto potere fascista, e quindi non poteva inventare un peggiore insulto contro di esso).




Ezra POUND: aderì al fascismo piuttosto che al comunismo per motivi folli e irrazionali, perché il fascismo faceva dichiarazioni di idealismo e difesa del mondo antico, in cui egli si rifugiava contro l'alienante mondo industriale: di qui l'elogio della società contadina, greco-antica o cinese del confucianesimo, o appunto dell'Italia fascista.





Leonardo SCIASCIA: il suo notevole successo non lo ha portato ad avere una autorità, poiché egli è un uomo solo, che giudica l'ambiente in cui vive (la Sicilia e i siciliani) non sulla base del moralismo cattolico ma sulla base di una morale più arcaica, che è quella dell'onore, per cui se è vero che il "buono" è colui che non accetta l'ingiustizia dei cattivi, il "cattivo" altri però non è che un buono a cui non è saltata in mente l'idea dell'ingiustizia del potere, invece accettato, per cui il mondo è contraddistinto da una gerarchia piramidale in cui ognuno ha il suo posto; chi ne è fuori, il "buono", giudica e a volte lotta contro di essa, ma senza moralismo e probabilmente senza speranza di vittoria, perché la mafia è praticamente imbattibile, oltre che inesprimibile, rappresentando "ab aeterno" il fondo irrazionale della mentalità di ogni siciliano.


Enzo SICILIANO: scrittore profondamente sincero (riconoscendo pulsioni anche imbarazzanti nella sua psiche trasfigurandoli nei suoi personaggi); come critico si pone a metà strada tra anima e storia (la quale ultima richiede impegno e quindi anche integrazione), sempre però in uno status di contraddizione o opposizione.





Mario SOLDATI: rinunciando a qualsiasi autorità paterna verso il lettore, vuole esserne fratello, con l'ironia di chi scherza sulla propria voluta mancanza di autorità.







Johan August STRINDBERG: a causa di una educazione repressiva, omosessuale inconscio, che amava fisicamente le donne per poi fuggirle sistematicamente.



Giuseppe UNGARETTI: poeta profondamente religioso, alla ricerca di Dio come ricerca dell'Essenziale, a motivo del quale Ungaretti domanda a Dio di liberarlo dai desideri illusori, cioè i desideri senza amore.







Paolo VOLPONI: uno degli amici più vicini, sarà amato da Pasolini anche per la sua ricerca di un umanesimo industriale, cioè di una industria a misura d'uomo, che tenesse in considerazione la salvaguardia dell'ambiente, soprattutto contro il rischio di una guerra nucleare.
Nel poeta e scrittore urbinate Pasolini nota due tendenze opposte, specie nel romanzo Corporale: la tendenza al ritiro dal mondo, all'eremo urbinate; la tendenza opposta alla contestazione attiva, politicamente impegnata, contro il sistema del mondo alienato.
Volponi, in quanto uomo buono, ama anche i personaggi cattivi, essendo loro grato di farsi garanti (al pari dei personaggi buoni) della continuità e inesauribile possibilità conoscitiva del mondo.


Andrea ZANZOTTO: psicologicamente isolato, per scelta e destino: poeta che intervalla (ne La beltà) parole comiche a parole sublimi, giungendo così all'abolizione di ogni possibile delimitazione di campo semantico, con l'esito di una ambiguità totale. Egli vede la "normalità" come momento negativo dell'uomo, mentre la "malattia" o "devianza" è positiva in quanto permette di esplorare l'infinito.





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Pier Paolo Pasolini: Salò o le 120 giornate di Sodoma

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Pier Paolo Pasolini:
Salò o le 120 giornate di Sodoma
Tre recensioni di:
ZERO COOL,  Roberto Donati, MG l'inesperto cinematografico, (Central do Cinema)


Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini
1. Recensione di ZERO COOL

E' il film  che rappresenta metaforicamente il potere nella società capitalistica. Salò spiega usando allegorie e metafore, il rapporto che ha il potere con le persone che gli sono sottoposte, un rapporto metaforicamente sadista, De Sade è solo un pretesto per esternare tutta la sofferenza di Pasolini per una società irrimediabilmente votata al consumismo piu sfrenato, anche i 3 gironi danteschi sono solo un pretesto, e lo si capisce bene dai nomi dei gironi, quello delle manie, della merda e del sangue, guardando il film sembra di vedere un tg dei nostri giorni, il teatrino del sesso e della morte, una democrazia che sotto la sua maschera nasconde il fascismo dell'era globale, un fascismo non più di stampo politico, dato che la politica è morta, ma di stampo economico, per dirla con Pasolini, nella società capitalistica globalizzata in cui viviamo tutto diventa mercificazione, anche il sesso e la morte, protagonisti numeri uno della televisione che ci rende tutti complici, vittime e carnefici compiaciuti.

Per Pasolini il sesso di questi anni è obbligatorio, brutto e indigeribile, per cui abbiamo il sesso inteso come merda e scatofagia, è la rappresentazione metaforica del rapporto del potere con coloro che gli sono sottoposti, di quella che Marx chiama la mercificazione dell'uomo, la riduzione del corpo a oggetto attraverso lo sfruttamento.

Il sesso estremo inteso come violenza, tortura e morte, il gesto sodomitico è il più assoluto per quanto contiene di mortale per la specie umana, il più ambiguo, per questo accetta allo scopo di trasgredirle le norme sociali, e infine il piu scandaloso, perché pur essendo il simulacro dell'atto generativo, ne è la totale derisione. E il sadomasochismo e la sodomia illustrano bene il rapporto del dominante col suo sottomesso, proprio del sistema capitalistico, Pasolini odia i corpi e gli organi sessuali divenuti da gioia e libertà per gli umili in epoche reppressive ad atroce espressione di violenza in epoche permissive.

Nel girone della merda il significato [indicato soprattutto proprio da Pasolini, ndr] e questo: l'ansia del consumo è un'ansia di obbedienza a un ordine non pronunciato. Ognuno sente l'ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell'essere felice, nell'essere libero: perché questo è l'ordine che egli inconsciamente ha ricevuto, e a cui deve obbedire, a patto di sentirsi 'diverso'. Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza. L'uguaglianza non è stata infatti conquistata, ma è una falsa uguaglianza ricevuta in regalo, mitica e incisiva la metafora della merda servita su vassoi d'argento, tutto ciò che ci propinano non è altro che merda afrodisiaca, merda fatta uscire con un marchio prestigioso a caratteri d'oro. A distanza di 25 anni Pasolini come un veggente aveva capito lo sfacelo a cui stavamo andando incontro, ha pagato il suo sforzo con la vita.

Lo sconsiglio vivamente a coloro che non considerano il cinema come arte, e non potrebbero capire. Lo sconsiglio inoltre ai deboli di stomaco e lo reputo vietato ai minori di 18 anni a piena regola, in quanto si tratta di un film estremo, dai contenuti che superano l'oscenità seppur senza sfociare nel volgare.

Il sesso diventa un mezzo per attuare il potere, arma con cui controllare il popolo, e con cui annientarlo. Non più arma di seduzione o strumento sensuale con cui attrarre, ma solo una consueta forma di violenza; i corpi nudi diventano figure 'normali', oggetti, figure rosa ammassate sui pavimenti; seni, natiche e falli diventano incolori, perdono ogni significato simbolico, si trasformano in insignificanti dettagli privi di pudore abbandonando i loro contenuti erotici o sensuali.

La violenza è estrema, ma non è il fattore che forse colpisce di più, la violenza o il sesso in Salò non sono gli elementi più sconvolgenti, in quanto siamo abituati dai  media a vederli all'ora di pranzo,  ma colpiscono soprattutto le sequenze escrementizie: questo perché oggi siamo abituati al sesso e alla violenza da un sistema capitalistico", e dai mezzi di comunicazione. E in Salò questo concetto è enfatizzato per sottolineare la violenza che ci circonda, che diventa sempre più "normale". Oggi come allora. C'è chi vede nel suicidio della pianista la coscienza di Pasolini, sconcertata di fronte alla volgarità estrema del periodo, e dai sensi di colpa per il suo maggior delitto, cioé quello di essere omosessuale, mai perdonato dalla società di allora.





Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini
2. Recensione di Roberto Donati

Nel 1944/45 quattro gerarchi fascisti imprigionano in una villa alcuni ragazzi e ragazze per soddisfare le loro perversioni psicopatologiche, eccitati dalle fantasie erotiche di tre narratrici. Rielaborando (insieme a Sergio Citti e Pupi Avati non accreditato) i fatti della Storia con i racconti del marchese De Sade e con una struttura a gironi come una sorta di Inferno dantesco, Pasolini non arretra di fronte a nulla e ci consegna una tremenda denuncia del potere e della dittatura come fonti di ogni iniquità e nefandezza dalla quale niente, nemmeno la Chiesa, si salva (uno dei torturatori è un monsignore).


L’uomo, sia vittima che carnefice, ridotto a bestia o peggio, senza possibilità di riscatto. Le scene di coprofagia sono tra le più sconvolgenti mai viste; e pensare che molte altre scene pensate non sono neanche state girate. L’unico episodio della “trilogia della morte” che Pasolini aveva ideato di realizzare, simmetricamente e specularmente alla precedente “trilogia della vita”, è, però, fin troppo estremo ed è sicuramente penalizzato da una visione non piacevole, se non proprio insostenibile – anche se questo era l’intento del sempre provocatorio autore.

Con un soave sottofondo musicale (musica sacra di Carl Orff) che aumenta l’angoscia e l’oppressione. Può piacere o disgustare, ma non può non far discutere e questo gli rende merito. Pasolini fu assassinato da uno dei suoi “ragazzi di vita” poco dopo la lavorazione del film e il produttore Grimaldi, all’uscita nelle sale, fu processato e assolto “per corruzione di minori e atti osceni in luogo pubblico”. Aldo Valletti è doppiato per l’occasione dal regista Marco Bellocchio. In confronto, Full Metal Jacket è un film per bambini.

*  *  *



Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini
3. Recensione di MG, l'inesperto cinematografico


Il film mi pare essere una grande e terribile "allegoria", di che cosa però non so, forse della Morte? della Storia? della vita del regista? Sotto il profilo narrativo ho assistito a un fluire di idee, un succedersi di situazioni senza soluzione di continuità, e un ripetersi del male quasi "a oltranza".

Perché tutto questo insistere sulla merda? Merda nei discorsi, merda da mangiare, immersioni nella merda, merda nei vasi da notte, merda sui pavimenti, merda in bocca ...

Perché si vedono solo rapporti anali? Anali uomo-donna, anali uomo-uomo. Sembra che l'unico tipo di rapporto sessuale ammissibile nella "casa" fosse di quel genere. Perché allora il fascista sbeffeggerebbe le due lesbiche? Perché i fascisti ucciderebbero come cani il ragazzo bianco e la ragazza nera sorpresi ad avere un rapporto normale?


La storia di fondo con i 4 fascisti - se poi c'è veramente - mi sembra il mezzo per scatenare all'interno di questa casa "chiusa" le più nefaste energie. Sconvolgente, non ho di che dire, nei contenuti. Straordinario, sotto il profilo cinematografico, almeno sotto l'ottica dell'Inesperto. Ricercatissimo nei particolari (la sedia di Machintosh, gli affreschi murali [Leger?], i quadri alle pareti [il ciclista di Sironi], gli arredi, la disposizione degli attori sulla scena quasi essi stessi facessero parte del mobilio della casa, a volte composti a trittico pittorico, le ragazze nude sulla scala illuminata dall'alto, la sala con in fondo tre porte di cui solo quella centrale aperta su una scala, il ragazzo nudo addossato alla parete in posa manieristico-michelangiolesca, la scena dell'esplorazione dei culi rassomigliante a una performance di arte moderna, moderna accumulazione di corpi senz'anima e senza volto, e sono solo alcune delle cose che mi vengono in mente).

Quasi apocalittico quando le ragazze immerse nella merda (ispirata dalla pena riservata agli adulatori della II bolgia di Malebolge?) gridano una frase del tipo "Dio mio perché ci hai abbandonato?". Spaventoso il finale del film con le sevizie cui vengono sottoposti i ragazzi e le ragazze nel cortile del palazzo, mentre i fascisti a turno osservano la scena dalla finestra con un binocolo. Le scene sono viste da lontano attraverso lo strumento ottico, il campo visivo a volte è ristretto a quello del binocolo. Si alternano inquadrature da lontano e zoom su singoli martiri. Assistiamo alle sevizie ma non udiamo neppure un lamento, perché il regista ha voluto che la scena fosse totalmente muta, affinché noi vedessimo soltanto senza udire (forse perché la finestra è chiusa e i rumori non si possono sentire dall'interno della casa?). I corpi sono nudi come nelle rappresentazione dell'Inferno.

Corpi nudi, sevizie e torture non si vedevano anche nel tableau vivant del Giudizio Universale di Giotto nel "Decameron"? Sono quelli una loro anticipazione e questi uno sviluppo in azione di ciò che sembra assomigliare all'inferno sulla terra, o all'inferno dantesco? Perchè durante le sevizie che si sviluppano in cortile, il gerarca fascista di turno tocca gli organi sessuali del partigiano? Perché durante l'osservazione dalla finestra di questa specie di spettacolo infernale, in sottofondo risuonano le note di Carl Orff? E cosa centra Bach (mi pare) come accompagnamento ai morbosi e schifosi soliloqui della bionda megera di mezza età? Funzionano in questo film i giochi di rimando con precedenti film? Oltre alle torture del Giudizio Universale di Giotto, gli uomini e le donne legate mani e piedi a terra non richiamano quelli destinati a essere sbranati dai cani in "Porcile"? Il banchetto matrimoniale in cui uno dei fascisti sposa un ragazzotto e in cui viene servita la "prelibata delizia" (per usare un eufemismo) non è la caricatura cattiva e perversa del banchetto nuziale di "Mamma Roma", anche come impostazione scenografica e inquadratura?

Fermo qui la mia "immaginazione". E' difficile restare indifferenti di fronte a tanta nefasta genialità...

*  *  *





Salò o le centoventi giornate di Sodoma (1975)
SCHEDA DEL FILM



Dal romanzo di De Sade Le centoventi giornate di Sodoma 
Scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini
Collaborazione alla sceneggiatura Sergio Citti e Pupi Avati
Fotografia Tonino Delli Colli; 
scenografia Dante Ferretti; 
costumi Danilo Donati; 
consulente musicale Ennio Morricone; 
montaggio Nino Baragli, Tatiana Casini Morigi; 
musiche a cura di Pier Paolo Pasolini; 
aiuto alla regia Umberto Angelucci; 
assistente alla regia Fiorella Infascelli.
Interpreti e personaggi Paolo Bonacelli (Il Duca Blangis); Uberto Paolo Quintavalle (il Presidente della Corte d'Appello); Giorgio Cataldi (il Vescovo, doppiato da Giorgio Caproni); Aldo Valletti (l Presidente Durcet, doppiato da Marco Bellocchio); Caterina Boratto (signora Castelli); Hélène Surgère (signora Vaccari, doppiata da Laura Betti); Elsa de' Giorgi (signora Maggi); Sonia Saviange (virtuosa dì pianoforte). E inoltre: Sergio Fascetti, Antonio Orlando, Claudio Cicchetti, Franco Merli, Bruno Musso, Umberto Chessari, Lamberto Book, Gaspare di Jenno, Giuliana Melis, Faridah Malik, Graziella Aniceto, Renata Moar, Dorit Henke, Antinisca Nemour, Benedetta Gaetani, Olga Andreis, Tatiana Mogilanskij, Susanna Radaelli, Giuliana Orlandi, Liana Acquaviva, Rinaldo Missaglia, Giuseppe Patruno, Guido Galletti, Efisio Erzi, Claudio Troccoli, Fabrizio Menichini, Maurizio Valaguzza, Ezio Manni, Anna Maria Dossena, Anna Recchimuzzi, Paola Pieracci, Carla Terlizzi, Ines Pellegrini. 
Produzione PEA (Roma) / Les Productions Artistes Associés (Parigi); 
produttore Alberto Grimaldi; 
pellicola Kodak Eastmancolor; 
formato 35 mm, colore; 
macchina da ripresa Arriflex; 
sviluppo e stampa Technicolor; 
sincronizzazione International Recording, Roma; 
missaggio Fausto Ancillai; 
distribuzione United Artists Europa.
Riprese marzo-maggio 1975, 
teatri di posa Cinecittà, 
esterni Salò, Mantova, Gardelletta (Emilia), Bologna; 
durata 116 minuti.
Prima proiezione I Festival di Parigi, 22 novembre 1975. 





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