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lunedì 29 ottobre 2012

Pier Paolo Pasolini e la letteratura: brevi note su letterati suoi contemporanei

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Pier Paolo Pasolini e la letteratura
Brevi note di Pasolini su letterati suoi contemporanei


Nella sua critica letteraria, Pier Paolo Pasolini si pone subito contro la resistenza solo passiva al fascismo da parte dei poeti ermetici; quindi dopo la guerra approderà al marxismo come ideologia che consente un approccio attivo alla realtà, al fine di  trasformarla. Tuttavia egli resta sopra ogni ideologia, anche quella marxista, perché la realtà è così complessa e imprevedibile che è appunto irriducibile a qualsiasi gabbia ideologica. Maestri di riferimento sono Gramsci e Contini. Nella critica militante degli ultimi anni giocherà la sua partita più essenziale: il tentativo, nel tempo della fredda comunicatività propria dell'era consumistica, di promuovere l'uomo espressivo come "oltreuomo" (cioè non più sopravvivenza dell'era umanistica e contadina ma fine evolutivo dell'essere umano che ha l'umiltà e il coraggio di affrontare la crisi a cui, in modi diversi, la realtà stessa lo sollecita). L'evoluzione quindi non la promuove certo la neoavanguardia, solo a parole antiborghese, ma in realtà composta da letterati che hanno comportamenti borghesi: così gli avanguardisti, distruggendo il linguaggio, distruggono se stessi divenendo insignificanti, chiusi nei loro gruppi.

Anche gli estremisti di sinistra vengono visti da Pasolini come apparentemente rivoluzionari, ma in realtà assetati di potere e avversi all'individuo problematico e veramente rivoluzionario: così i diversi sono "scandalo per gli integrati, stoltezza per i dissenzienti".

Quanto al lavoro dei critici letterari integrati che scrivono sui giornali nel tempo dell'industria culturale, dice:

"I libri di cui si parla sono scelti casualmente - come appunto dei prodotti - un po' secondo le regole del lancio industriale, un po' secondo le regole del sottogoverno. Affastellati tutti insieme, e scelti senza il minimo rigore, tutto interessa in essi fuori che il loro valore e la loro autenticità. Interessa ciò che essi socialmente rappresentano, ecco tutto. Di un libro si parla perché la moda, la casa editrice, il direttore del giornale, la comune posizione letteraria o ideologica (ma in un senso puramente pratico e personale) vogliono che se ne parli. Verso un libro non si sente più non solo amore (l'amore disinteressato per la poesia), ma neppure interesse culturale."

In cosa consiste invece una vera critica militante? Descrivere secondo una visuale, insieme oggettiva e soggettiva, razionale e irrazionale, le descrizioni della realtà date dalle opere letterarie (di qui il titolo del suo saggio Descrizioni di descrizioni).

Veniamo ora alla brevissima analisi di ciò che Pasolini pensava di autori a lui (salvo eccezioni) contemporanei, qui di seguito indicati in ordine alfabetico.



Anna BANTI: il suo amore per lo stile, ne fa un prodotto che l'industria culturale non può lanciare al consumo né mistificare: l'unica protesta contro l'industrializzazione dello stile... è lo stile.




Giorgio BASSANI: aveva il rimpianto per l'occasione perduta della Grazia, quindi viveva nell'attesa della ripresentazione (non certa) della Grazia stessa; escluso e perseguitato al tempo del fascismo in quanto ebreo, si limitò in principio a una protesta di tipo ermetico per approdare, dopo la guerra, al realismo.




Dario BELLEZZA: moralista verso se stesso per l'omosessualità vissuta con senso di colpa, quindi autolesionista, e pure poeta (il migliore della generazione successiva a quella di Pasolini) e intellettuale coraggioso.



Attilio BERTOLUCCI: amante dei piccoli piaceri della vita borghese, il suo epicureismo nasce dalla coscienza di qualcosa che è peggiore della morte stessa, come se dopo la morte ci fosse un'altra morte; così Bertolucci si "vendica" gustandosi i momenti di riposo dall'attività di poeta amabile proprio perché condivide un dolore che gli è estraneo, forse (congetturo) il dolore dei non poeti o non ancora poeti: condivisione come dovere e atto di amore.



Italo CALVINO: strano rapporto, di amicizia ma anche di contesa; in Descrizioni di descrizioni Pasolini cita una sua frase che lo ha impressionato e vale la pena riportare integralmente: "L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.  Due modi ci sono per non soffrirne.
Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio."


Giorgio CAPRONI: ha un atteggiamento vitale e patetico di fronte al mondo, nel quale vive, come uno dei letterati più liberi del novecento, sia pure pervaso da una forza illogica.







Giosuè CARDUCCI: fintamente vitale, in realtà coltivava sentimenti inautentici e retorici; la sua cultura era provinciale ed accademica.








Carlo CASSOLA: come conservatore e conformista, difende la normalità; esaltando la gretta provincia (che lo protegge con la sua reticenza), ha mancato nell'opera fondamentale dell'uomo, che è quella della autochiarificazione, che lo avrebbe portato, se l'avesse affrontata, a riconoscere anche in sé le origini della sua nevrosi, e cioè il complesso edipico, con la conseguente tentazione omosessuale, che lui non riconosce finendo per cristallizzare le figure femminili in una eterosessualità convenzionale.



Giovanni COMISSO: nel romanzo I due compagni narra il destino diverso di due giovani artisti amici, che dopo la prima guerra mondiale faranno scelte di vita di segno contrario (uno si imborghesirà, l’altro, più geniale ma anche più fragile, finirà in manicomio): secondo Pasolini, essi rappresentano in realtà due aspetti di un unico personaggio (l’autore stesso), lacerato da un conflitto interiore.




Gabriele D'ANNUNZIO: attratto dai corpi atletici di giovani maschi, fu conquistato dal virilismo fascista (anche per lui si può parlare di omosessualità inconscia).



DANTE: nella Commedia mantiene rigorosamente l'equidistanza tra sé e gli infiniti aspetti particolari del suo mondo; i sentimenti che prova Dante nei confronti dei personaggi dell'opera non sono suoi in quanto uomo ma in quanto personaggio. Il suo plurilinguismo comprende tutto, dall'alto al basso della società del Trecento, attraverso una mimesi linguistica che lo rende l'unico poeta realistico italiano (gli altri si pongono sulla linea petrarchesca dell'unilinguismo selettivo e accademico - ideologicamente reazionario, a difesa della classe dominante. Oppure sulla linea pseudo-dantesca plurilinguistica, affetta da iperstilismo, non avente una visione ideologica ma pratica della realtà, con rischio quindi di evasione estetica; oppure, infine, sulla linea del realismo minore, che riproduce l'esistenza quotidiana e sensuale).


Massimo FERRETTI: odiando la letteratura, perché essa col suo prestigio e l'erudizione onnisciente, manda avanti l'atroce macchina del mondo, afferma la possibilità di una lingua non letteraria, ma - osserva Pasolini - Ferretti, nella sua distruzione del mondo (cioè delle istituzioni), non elimina la parte più arcaica e atrocemente reale del mondo stesso, e quindi la sua stessa (di Ferretti) psicologia piccolo-borghese.



Carlo Emilio GADDA: barocco realistico e dantesco plurilinguismo. La società, oltraggiando il letterato libero (come appunto Gadda) lo martirizza, non perdonandogli il fatto che egli la pone di fronte alla cattiveria che la contraddistingue.






Francesco LEONETTI: scrittore orgoglioso e al tempo stesso pronto al sacrificio per il recupero dell'autenticità, pronto (ma per questo anche criticato dal nostro) ad ogni nuova esperienza letteraria e politica (il marxismo-leninismo). Come fa Leonetti - osserva Pasolini - col suo candore e il linguaggio del letterato colto, a fare esperienza totale, di vita, del pragmatismo proprio dei gruppi estremisti di sinistra, il cui linguaggio si pone agli antipodi di quello colto ed espressivo?



Giacomo LEOPARDI: è repressiva l'opera di alcuni biografi del poeta recanatese, i quali tacciono dei suoi difetti (narcisismo, egocentrismo, megalomania, impotenza, inibizioni linguistiche, manie e allergie). Dare di un poeta l'immagine di perfezione morale equivale a disconoscere la complessità della realtà umana, che ha pure i suoi aspetti demoniaci.



Mario LUZI: poeta autenticamente religioso, anche se Pasolini, essendo ateo, non ne condivide le posizioni.








Alessandro MANZONI: tutti i rapporti tra i personaggi dei Promessi sposi sono contraddistinti da una strana intensità omoerotica di fraternità oppure odio, che del resto ritroviamo in tutti i grandi romanzieri. Anche per lui la diagnosi è di omosessualità latente.






Dacia MARAINI: pur essendo amica, la critica per il suo femminismo che non tiene conto della realtà mutata italiana, la quale non vede più la donna sottomessa all'uomo (se non in casi eccezionali), ma sono proprio le ragazze, secondo Pasolini, a farsi garanti della trasmissione ai maschi dei falsi valori consumistici, mentre in passato, prima della mutazione antropologica, i ragazzi stavano tra loro e si iniziavano ai valori popolari estranei a quelli della classe dominante borghese.



Eugenio MONTALE: nel 1971 ci fu una polemica tra Pasolini e Montale. Secondo il nostro, Montale nega l'idea di "tempo" e quindi di "progresso" e in linea con la scienza contemporanea dice che tutto è fermo o ritorna; per questo è contrario al marxismo in quanto ideologia fondata sull'idea di "progresso".
Pasolini accusa Montale, a causa del suo pessimismo metafisico, di accettare il potere borghese come fatto naturale, e lo è infatti; fatto sta però che anche l'ideologia liberale-borghese si fonda sull'illusione del tempo come progresso. Perciò, in ultima analisi, lo accusa di malafede, perché non usa lo stesso metro per l'illusione marxista e per quella borghese.


Elsa MORANTE: la scrittrice era molto amata da Pasolini, per il suo coraggio, l'umile amore, l'adorabile ingenuità.








Alberto MORAVIA: il primo giudizio, del '47, non è tanto buono: lo vede come scrittore semplice e meccanicamente facile; poi diventerà suo amico e ne apprezzerà l'impegno letterario come irrisione della realtà borghese, che è bizzarra e meschina al tempo stesso; sarà tuttavia sempre una irrisione non crudele ma basata su una compassione canzonatoria; linguisticamente Moravia è per una lotta contro le frasi fatte, che nascono da sentimenti inautentici e costringono gli esseri umani a una vita alienata.



Ottiero OTTIERI: autoironico nel parlare della sua depressione, con proprietà di termini tecnici propri della psicoanalisi, dalla lettura piacevole e chiara, a metà tra l'improvvisazione più folle e lo speciale spirito ludico della conversazione mondana. Se avesse avuto meno timore del giudizio degli altri, si sarebbe adempiuto perfettamente.





Alessandro PANAGULIS: il rivoluzionario greco (contro il regime dei colonnelli) è stato trasformato in poeta autentico dalla esperienza della tortura sopportata con coraggio.







Giovanni PASCOLI: oggetto della sua tesi di laurea, Pasolini ne era colpito per la solitudine interiore a contatto col mistero della realtà, mistero tradotto e rivelato dalla poesia; stilisticamente complesso, perché da una parte ha uno stile "fisso", dall'altra sperimenta le tendenze stilistiche più disparate, grazie alle quali si pone come il diretto antenato dei poeti del novecento italiano.




Sandro PENNA: molto amato da Pasolini perché poeta coraggioso, grato alla vita; solo apparentemente amorale, un autoescluso dalla vita normale, un santo anarchico (la santità del nulla), precursore di ogni contestazione passiva e assoluta (non ha considerato nemmeno esistente l'abietto potere fascista, e quindi non poteva inventare un peggiore insulto contro di esso).




Ezra POUND: aderì al fascismo piuttosto che al comunismo per motivi folli e irrazionali, perché il fascismo faceva dichiarazioni di idealismo e difesa del mondo antico, in cui egli si rifugiava contro l'alienante mondo industriale: di qui l'elogio della società contadina, greco-antica o cinese del confucianesimo, o appunto dell'Italia fascista.





Leonardo SCIASCIA: il suo notevole successo non lo ha portato ad avere una autorità, poiché egli è un uomo solo, che giudica l'ambiente in cui vive (la Sicilia e i siciliani) non sulla base del moralismo cattolico ma sulla base di una morale più arcaica, che è quella dell'onore, per cui se è vero che il "buono" è colui che non accetta l'ingiustizia dei cattivi, il "cattivo" altri però non è che un buono a cui non è saltata in mente l'idea dell'ingiustizia del potere, invece accettato, per cui il mondo è contraddistinto da una gerarchia piramidale in cui ognuno ha il suo posto; chi ne è fuori, il "buono", giudica e a volte lotta contro di essa, ma senza moralismo e probabilmente senza speranza di vittoria, perché la mafia è praticamente imbattibile, oltre che inesprimibile, rappresentando "ab aeterno" il fondo irrazionale della mentalità di ogni siciliano.


Enzo SICILIANO: scrittore profondamente sincero (riconoscendo pulsioni anche imbarazzanti nella sua psiche trasfigurandoli nei suoi personaggi); come critico si pone a metà strada tra anima e storia (la quale ultima richiede impegno e quindi anche integrazione), sempre però in uno status di contraddizione o opposizione.





Mario SOLDATI: rinunciando a qualsiasi autorità paterna verso il lettore, vuole esserne fratello, con l'ironia di chi scherza sulla propria voluta mancanza di autorità.







Johan August STRINDBERG: a causa di una educazione repressiva, omosessuale inconscio, che amava fisicamente le donne per poi fuggirle sistematicamente.



Giuseppe UNGARETTI: poeta profondamente religioso, alla ricerca di Dio come ricerca dell'Essenziale, a motivo del quale Ungaretti domanda a Dio di liberarlo dai desideri illusori, cioè i desideri senza amore.







Paolo VOLPONI: uno degli amici più vicini, sarà amato da Pasolini anche per la sua ricerca di un umanesimo industriale, cioè di una industria a misura d'uomo, che tenesse in considerazione la salvaguardia dell'ambiente, soprattutto contro il rischio di una guerra nucleare.
Nel poeta e scrittore urbinate Pasolini nota due tendenze opposte, specie nel romanzo Corporale: la tendenza al ritiro dal mondo, all'eremo urbinate; la tendenza opposta alla contestazione attiva, politicamente impegnata, contro il sistema del mondo alienato.
Volponi, in quanto uomo buono, ama anche i personaggi cattivi, essendo loro grato di farsi garanti (al pari dei personaggi buoni) della continuità e inesauribile possibilità conoscitiva del mondo.


Andrea ZANZOTTO: psicologicamente isolato, per scelta e destino: poeta che intervalla (ne La beltà) parole comiche a parole sublimi, giungendo così all'abolizione di ogni possibile delimitazione di campo semantico, con l'esito di una ambiguità totale. Egli vede la "normalità" come momento negativo dell'uomo, mentre la "malattia" o "devianza" è positiva in quanto permette di esplorare l'infinito.





@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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