"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
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Passione e ideologia
la lezione scomoda di Pasolini
Garzanti
1960
Il volume “Passione e ideologia” di Pier Paolo Pasolini, pubblicato nel 1960 da Garzanti, rappresenta la summa e il punto di svolta della critica letteraria pasoliniana, mostrando la vastità dei suoi interessi, l’impegno polemico e il peculiare modo di intendere il ruolo dell’intellettuale e la funzione della letteratura nella società italiana del dopoguerra. L’opera, ampiamente autobiografica e teorica insieme, raccoglie una serie di saggi, interventi e recensioni che coprono un arco cronologico di circa un decennio e che riflettono le tensioni ideali e stilistiche che caratterizzano il pensiero di Pasolini nelle sue fasi più fertili e discusse. La peculiarità del libro risiede nella sua struttura complessa e nella capacità di mettere in dialogo l’elaborazione critica con la produzione artistica autobiografica dell’autore. Le due anime, passione e ideologia, diventano poli dialettici e, al contempo, complementari di tutta la sua opera: la passione come energia, vitalità e ricerca delle radici; l’ideologia come scelta, presa di posizione storica e rigore critico. Analizzare i contenuti, i temi e il contesto di “Passione e ideologia” significa restituire il percorso di un intellettuale irriducibile alla mera cronaca letteraria, anticipatore dei grandi conflitti della modernità avanzata e attualissimo nel suo pensiero sulla crisi delle culture subalterne, sulla funzione della parola e sulla libertà della creazione.
Per comprendere il significato profondo di “Passione e ideologia”, occorre collocare Pasolini e la sua raccolta nel quadro storico e sociale dell’Italia del dopoguerra, un periodo segnato da rapidi mutamenti, conflitti ideologici e radicali trasformazioni antropologiche. Gli anni Cinquanta e Sessanta furono caratterizzati dal “miracolo economico” italiano, ovvero dal passaggio accelerato da un paese prevalentemente rurale e agricolo a una moderna nazione industriale e urbana. Questa svolta, pur accompagnata da un netto miglioramento delle condizioni di vita e da un ottimismo diffuso, accentuò però le fratture storiche del paese, come la famosa “questione meridionale”, l’emigrazione interna e il forte squilibrio tra Nord e Sud. L’urbanizzazione galoppante, la diffusione della televisione e dei mass media e una nuova koinè linguistica unificante decretarono inoltre la rapida erosione delle culture popolari locali e, soprattutto, dei dialetti e delle tradizioni orali; un processo che Pasolini interpreterà come una vera e propria “apocalissi culturale” e un “genocidio delle culture popolari”. Nello stesso tempo, la stagione letteraria e culturale è dominata dall’intenso confronto fra le tendenze del neorealismo, l’eredità ermetica e le prime avvisaglie della neoavanguardia. Il ruolo dell’intellettuale cambia profondamente: da portavoce del popolo e mediatore fra ceti e culture, egli deve misurarsi ora con la trasformazione della società di massa, la crisi del rapporto fra parola e realtà, la nascente egemonia dell’industria culturale e la progressiva irrilevanza della letteratura nella nuova società consumista. In questo crocevia Pasolini si pone come testimone partecipe e critico, militante e polemico, sempre in cerca di una via etica e conoscitiva alternativa alle grandi narrazioni della tradizione borghese, del marxismo ortodosso e della cultura ufficiale. “Passione e ideologia” nasce dunque come diario e laboratorio di una crisi, sia personale che collettiva.
Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna nel 1922 e cresce tra l’Emilia, il Veneto e il Friuli, dove si forma a contatto con la realtà contadina e friulana, destinata a rivestire un ruolo fondamentale nella sua formazione umana e artistica. Dopo la laurea a Bologna con una tesi su Pascoli, si trasferisce a Casarsa della Delizia e scopre l’importanza della poesia dialettale come strumento di ricerca espressiva e di resistenza culturale. L’esperienza della Seconda Guerra Mondiale, la tragedia della morte del fratello partigiano e la perdita delle sicurezze familiari segnano fortemente la sua sensibilità e la sua visione del mondo. La svolta cruciale arriva con il trasferimento a Roma, dove, immerso nei quartieri popolari e a contatto col sottoproletariato urbano, Pasolini inizia la sua attività di romanziere, regista e polemista, sempre più impegnato nella denuncia dei processi di omologazione e della fine delle culture subalterne. Il suo percorso attraversa in modo inquieto la poesia, la saggistica, il romanzo e il cinema; si pone come alternativa non all’alta cultura, ma a una cultura borghese incapace di cogliere la realtà vivente e le sue contraddizioni. Sulla scorta di Gramsci, di Dante e dei “contropoteri” storici (Cristo, Freud, Rimbaud, Pascoli), Pasolini arriva a concepire l’arte come essenzialmente “opposizione” e “destino di esclusione”. Il popolo, da lui osservato, rappresenta l’unica alternativa alla borghesia dominante, purché resti ai margini e non venga omologato. La figura dell’artista e dell’intellettuale è allora inseparabile da una posizione di insubordinazione, di parresia (cioè di verità “detta a rischio di tutto”), un “grande rifiuto” della normalizzazione, secondo il modello di Foucault e di Sartre.
“Passione e ideologia” nasce da una lunga gestazione che attraversa dapprima l’esperienza delle antologie sulla poesia dialettale e popolare dei primi anni Cinquanta, e si arricchisce poi della partecipazione alla rivista Officina, fondata nel 1955 insieme a Roversi e Leonetti come luogo di reinvenzione del ruolo dell’intellettuale e di esplorazione delle nuove possibilità della lingua e della poesia italiana. La genesi principale del volume è testimoniata dai progetti editoriali precedenti: il saggio “Dal Pascoli ai neosperimentali” era stato pensato come titolo autonomo nel 1957, mentre le due lunghe introduzioni scritte per le antologie “Poesia dialettale del Novecento” (1952) e “Canzoniere italiano” (1955) confluiscono, con significative varianti, nella prima parte del libro. Il volume è infine dedicato ad Alberto Moravia, simbolo di un’ideale alleanza di rigorismo letterario e impegno esistenziale. Il libro viene pubblicato da Garzanti nel 1960, inaugurando una lunga serie di edizioni, riproposizioni e prefazioni, tra cui quelle di Cesare Segre per Einaudi (1985) e Alberto Asor Rosa per Garzanti (1994). È considerato l’espressione più organica e ambiziosa della critica letteraria pasoliniana, rappresentando un vero manifesto della sua poetica e del suo pensiero civile e ideologico.
L’opera si compone di due parti principali, cui si affiancano una sezione centrale di recensioni e saggi “sui testi” e due fondamentali saggi conclusivi. Questa struttura risponde alla volontà di dare una visione d’insieme della letteratura italiana moderna e contemporanea, collegando la riflessione teorica generale (poesia popolare, dialettale, cultura delle classi subalterne) con l’analisi ravvicinata di poetiche individuali. Le recensioni “sui testi” sono inoltre significative per la loro attenzione ai dettagli, alla sperimentazione e al linguaggio dei singoli autori, offrendo un’ampia rassegna della poesia italiana del Novecento riflessa nella griglia pasoliniana.
La forza di “Passione e ideologia” è nella capacità di tenere insieme teoria, militanza, autobiografia e analisi storico-letteraria. Essa affronta questioni fondamentali che possono essere sintetizzate come segue:
1. Il ruolo dell’intellettuale
Pasolini concepisce l’intellettuale come figura critica, scomoda, “parresiasta”, capace di prendere parola sulla realtà anche a costo dell’isolamento. La sintesi del suo pensiero si ritrova nel rifiuto della funzione “ornamentale” dell’intellettuale e nell’affermazione di una posizione di verità e responsabilità etica, a prescindere dal consenso. Questa esigenza lo avvicina a Sartre, Foucault e Marcuse, con i quali condivide l’idea del “grande rifiuto” contro l’omologazione e la mercificazione della parola pubblica. La visione pasoliniana contrasta sia con la figura dell’intellettuale “organico” al potere che con quella dell’intellettuale “tecnico” o “mediale” impiegato dall’industria culturale contemporanea. L’intellettuale, secondo Pasolini, è portatore di una verità scomoda, che si misura sul piano della presa di parola pubblica e sull’assunzione di rischio personale e civile.
2. Funzione e critica della letteratura
La letteratura per Pasolini non è solo celebrazione della parola, né puro esercizio estetico. Essa è strumento di conoscenza esistenziale, sociale e storica, con una funzione irriducibile di verità e di trasformazione. In polemica con la scuola dell'ermetismo (accusata di rinchiudersi nell'estetismo e nella separatezza), ma anche con la superficialità del neorealismo (troppo affidato a una lingua ancora astrattamente borghese), Pasolini invoca una letteratura impegnata, narrativa o poetica, che abbia radici nella realtà popolare e subalterna, pur senza rinunciare alla ricerca formale e sperimentale. La critica militante di Pasolini si distingue per la volontà di descrivere le opere letterarie secondo una visione che è insieme oggettiva e soggettiva, “razionale e irrazionale”, come lui stesso avrebbe detto. Il sogno di una critica e di una letteratura “nazional-popolare” viene tuttavia messo in crisi dall’osservazione (già negli anni Sessanta) che la società di massa e industriale sta erodendo tutte le autentiche differenze e specificità culturali delle periferie e delle classi subalterne.
3. Relazione tra società e letteratura popolare
La poesia dialettale e la poesia popolare italiana occupano la parte centrale della riflessione di Pasolini. Egli ne esalta la funzione storica di opposizione al monolinguismo borghese e alla standardizzazione del potere centrale. Dietro la poesia popolare e dialettale Pasolini coglie la resistenza di interi mondi arcaici, preindustriali e contadini, che nella nuova società italiana stanno rapidamente scomparendo. La sua analisi della poesia popolare è complessa: se da un lato essa appare frutto della vitalità creativa delle classi subalterne, dall’altro viene già messa in crisi dall’irrompere dei mezzi di comunicazione di massa e dall’alfabetizzazione forzata. Questa sezione del volume analizza dettagliatamente l’opera di raccolta antologica della cultura orale, il “bilinguismo sociologico” e il problema della “semi-popolarità”, la commistione tra produzione poetica letterata e cultura popolare. Pasolini ne denuncia tuttavia la crisi irreversibile causata dalla società dei consumi: la “seconda lingua” italiana, unificata dalla televisione e svuotata di ogni identità, segna la fine di ogni vero realismo popolare. È qui che Pasolini introduce la sua idea del genocidio culturale e della scomparsa delle differenze.
4. Critica degli stili e pluralità linguistica
Uno dei saggi centrali del volume, “La confusione degli stili”, affronta il problema del plurilinguismo e della confusione delle lingue e degli stili nella letteratura italiana contemporanea, avendo come riferimento l’opera di Carlo Emilio Gadda. Pasolini, sulla scorta delle riflessioni di Gianfranco Contini, riporta all’attenzione la diatriba tra monolinguismo petrarchesco e plurilinguismo dantesco, leggendo nella tensione fra queste due linee la chiave della modernità letteraria nazionale.
L’esame delle “Novelle dal Ducato in fiamme” e del “Pasticciaccio” di Gadda si sofferma sulla mescolanza barocca e quasi anarchica di registri, idiomi e livelli espressivi che riflettono lo spaesamento dell’io e la crisi delle certezze metafisiche della società moderna. Per Pasolini, la pluralità degli stili non va considerata come semplice “contaminazione”, ma come linguaggio che misura la propria forza sulla molteplicità e sulle contraddizioni della realtà stessa.
5. Neorealismo e libertà stilistica
Nell’ultima parte dell’opera, Pasolini esamina la parabola del neorealismo, sia letterario che cinematografico, mettendo in luce tanto le sue ambivalenze quanto le possibilità. Pur riconoscendone i meriti nel rinnovamento della rappresentazione, Pasolini critica la sua incapacità di parlare davvero a nome del popolo e di rinnovare la lingua. In polemica sia con l’ermetismo che con la facile retorica del realismo “oggettivo”, Pasolini individua nella libertà stilistica (tema dell’ultimo saggio del volume) la possibilità di uno sperimentalismo vivo, non come sterile innovazione ma come apertura morale, esistenziale e critica sul reale.
La libertà stilistica si manifesta come tensione tra tradizione e sperimentazione, tra ricerca di autenticità popolare e consapevolezza delle nuove funzioni dell’intellettuale, in un’epoca priva di certezze ideologiche forti e di stabili riferimenti linguistici.
Le Principali Sezioni e Saggi di “Passione e ideologia”
Prima parte: “Due studi panoramici”
Questa sezione, divisa a sua volta in due dense introduzioni, rappresenta il manifesto della poetica pasoliniana nella sua fase filologica e dialettale.
La poesia dialettale del Novecento
Pasolini inizia il percorso da Sud di Salvatore Di Giacomo, attraversando la Sicilia (Alessio Di Giovanni), la Calabria, la Puglia e la Sardegna, fino a Roma (Pascarella, Trilussa), Milano, Piemonte, Liguria (Firpo), Emilia, Romagna e Veneto, per concludere in Friuli con la propria esperienza. La poesia dialettale viene letta come campo di resistenza e creazione autonoma, e anche come luogo di continue fratture e revisioni, fra modelli arcaici, condizionamenti politici (l’assenza di una poesia dialettale antifascista) e nuove forme di oralità. Il viaggio nella penisola acquista anche un valore di narrazione etnografica: Pasolini cerca la vitalità delle parlate locali come manifestazione autonoma di una cultura non ancora omologata.
La poesia popolare italiana
Riprendendo e ampliando l’introduzione al “Canzoniere italiano” (1955), Pasolini affronta i principali problemi della poesia popolare, mettendo a confronto le diverse scuole critiche (Tommaseo, D’Ancona, Nigra, Croce, Gramsci). Il cuore del discorso è la definizione della poesia popolare come prodotto dialettico del rapporto tra cultura alta e cultura arcaica, tra classe dominante e classe dominata. Viene proposta la nozione di “bilinguismo sociologico” come tratto costitutivo della letteratura popolare e si discutono i casi di “semi-popolarità”, la natura collettiva del poeta popolare, il realismo e la funzioni della poesia anonima.
Pasolini si sofferma su testi simbolici come “La baronessa di Carini” (siciliana) e “Fenesta ch’a lucive” (napoletana), per poi passare in rassegna le principali antologie, con uno sguardo incisivo sulle tendenze contemporanee: la diffusione dell’alfabetizzazione, l’arrivo della radio e della televisione, la formazione di una nuova lingua comune che segna la scomparsa del dialetto come strumento di creazione culturale. La denuncia del “genocidio culturale” si fa qui particolarmente profetica.
Seconda parte: “Dal Pascoli ai neo-sperimentali”
Siamo nella parte centrale della riflessione pasoliniana sulla tradizione e sulle possibilità dell’innovazione nella poesia italiana contemporanea.
Saggio su Giovanni Pascoli
Pasolini aveva già scritto la sua tesi di laurea su Pascoli nel 1945, scegliendolo come oggetto di studio per il suo “plurilinguismo” e la sua ambivalenza irreducibile tra immobilità ossessiva e desiderio sperimentale. In questo saggio, pubblicato originariamente su “Officina” e poi incluso nel volume, Pasolini individua nel poeta di Castelvecchio il punto di svolta per tutta la poesia a venire, un esempio di bipolarismo tra pathos arcaico ed esperimento linguistico, tra nostalgia e apertura alla modernità.
Pascoli, secondo Pasolini, anticipa con la sua continua ibridazione stilistica la condizione stessa della poesia novecentesca, sospesa tra desiderio di radice e dispersione, tra oscillazione e “crisi delle certezze metafisiche” tipica del secolo. Il saggio si distingue per uno sguardo privo di dogmatismi, meticoloso e filologico, che troverà conferma nella tradizione critica successiva.
Saggi su Montale, Firpo, Clemente, Cirese
La sezione successiva offre altrettante analisi degli stili e dei linguaggi individuali di Montale (attenzione a “La bufera e altro” del 1956), Edoardo Firpo (poeta dialettale ligure), Vittorio Clemente (abruzzese), Eugenio Cirese (molisano e studioso della cultura subalterna). Pasolini di ciascuno sottolinea la tensione tra progetto formale e radicamento linguistico, la necessità di confrontarsi col dialetto, con la crisi della lingua nazionale, con la difficoltà di dare voce agli esclusi.
Le riflessioni su Montale sono particolarmente lucide: Montale viene visto come poeta della crisi, della dispersione e della frammentazione, vicino dunque a Pasolini nei motivi della perdita delle radici comunitarie. La critica a Ungaretti, Saba e Carducci nella sezione “Sui testi” è improntata alla stessa idea: la ricerca della verità nelle possibilità (e nei limiti) del linguaggio poetico.
I saggi su Gadda e sulla “confusione degli stili”
I due saggi su Carlo Emilio Gadda (uno sulle “Novelle dal Ducato in fiamme” e l’altro sul “Pasticciaccio”) rappresentano il punto massimo della riflessione pasoliniana sulla pluralità linguistica, sulla contaminatio e sulla crisi della narrazione come forma ordinatrice del reale.
Pasolini individua in Gadda la realizzazione compiuta del “barocco realistico italiano”, l’erede della corrente dantesca e pluralista opposta alla purezza petrarchesca. In “La confusione degli stili”, saggio chiave del volume, Pasolini riflette sulle conseguenze della società multilingue, sulle difficoltà di trovare una lingua unificante e sulle contraddizioni inevitabili della società moderna.
Queste analisi fanno da ponte fra critica letteraria, sociologia e filosofia della storia, mostrando Pasolini come intellettuale interdisciplinare profondamente partecipe delle tensioni della sua epoca.
Sezione “Sui testi”: recensioni poetiche
Questa sezione centrale raccoglie una trentina di recensioni e brevi saggi dedicati a poeti come Carducci, Ungaretti, Rebora, Sbarbaro, Saba, Barile, Penna, Bertolucci, Bassani, Fortini, Zanzotto, Anceschi, Solmi, Luzi, Leonetti, Parronchi, Matacotta, Volponi.
Lungi dall’essere semplici note di lettura, questi interventi sono veri momenti di scavo critico: Pasolini riflette sulle possibilità di tenere insieme sperimentazione e radicamento esistenziale, sulla crisi della poesia come funzione nazionale e sull’irrinunciabile ruolo dello stile come opposizione etica e conoscitiva.
Saggi conclusivi: neorealismo e libertà stilistica
Il volume si chiude con due interventi fondamentali: “Il neo-realismo” (1956) e “La libertà stilistica” (1957).
Nel primo, Pasolini coglie le potenzialità ma anche le ambiguità del neorealismo, ovvero la capacità di restituire in modo non mitizzato le vite e le esperienze dei subalterni, ma anche la sua difficoltà a trovare una lingua non ancora egemonizzata e impoverita dal modello borghese. Nel secondo, Pasolini si interroga sulla possibilità di mantenere una libertà formale reale in un contesto sociale che non offre più distinzioni autentiche tra le classi: la “libertà stilistica” rischia di diventare un simulacro, uno spazio illusorio se non viene connessa a una scelta morale e a una pratica di rischiosa insubordinazione.
L’importanza di “Passione e ideologia” travalica i confini della semplice critica letteraria. Il volume rappresenta il laboratorio di molte delle tensioni, delle idee e degli snodi che poi saranno sviluppati nella produzione poetica, romanzesca e cinematografica di Pasolini.
1. La critica della società dei consumi e la denuncia dell’omologazione
Pasolini legge già nei primi anni Sessanta la tendenza irresistibile della società industriale e mediatica a cancellare le differenze e a produrre una massa indistinta di soggetti “senza memoria” e senza “sacralità”. Le sue riflessioni sulla scomparsa del dialetto, sulla crisi della poesia popolare e sulla “tecnica comunicativa” anticipano i grandi temi degli Scritti corsari e Lettere luterane: la televisione come strumento di omologazione, la crisi dell’individuo, la perdita di qualsiasi vero spazio di insubordinazione e libertà.
2. Letteratura e cinema come strumenti di verità
L’approccio di Pasolini è sempre transmediale: i problemi della lingua e della rappresentazione, le lacerazioni fra realtà popolare e lingua ufficiale, la lotta tra autenticità e spettacolarizzazione diventano i temi centrali della poesia (“Le ceneri di Gramsci”, “La religione del mio tempo”), del romanzo (“Ragazzi di vita”, “Una vita violenta”) e specialmente del cinema, dove la scelta degli attori non professionisti, il realismo filmico e il recupero del mito come alternativa alla storia “ufficiale” costituiscono la vera posta in gioco della modernità avanzata.
3. Il rapporto con la tradizione e la continua reinvenzione della modernità
La lettura di Pascoli, Gadda, Montale e degli altri autori presi in esame riflette la capacità di Pasolini di reinventare la tradizione, di superare la logica binaria tra modernità e arcaicità, e di reinterpretare l’eredità della cultura italiana senza dogmatismi. Tutta la produzione successiva, sia poetica che saggistica e cinematografica, mette in scena questa dialettica: nostalgia di un passato arcaico e impulso al rinnovamento, critica alle ideologie e tensione verso una verità sempre problematica, mai pacificata.
La raccolta è stata oggetto di accesi dibattiti e riconsiderazioni sia subito dopo la pubblicazione che nei decenni successivi. Cesare Segre, nella prefazione all’edizione Einaudi, ha sottolineato come il titolo stesso sia diventato quasi uno slogan, destinato però a essere frainteso se lo si riduce a pura dicotomia o a semplice manifesto. Alberto Asor Rosa ne rimarca la funzione di “triplice fondamento” (poetico, filologico, sociale), invitando a leggere Pasolini nella sua totalità, come un “autore da opere complete”. Le polemiche e le discussioni non sono mai mancate: da un lato, Pasolini è stato accusato di incoerenza, di eccessiva ibridazione tra rigore politico e abbandono passionale; dall’altro, la sua critica è stata vista come preveggente nel leggere il destino delle culture subalterne e la crisi dell’individualità nell’epoca della società di massa. Tra i critici più attenti vanno ricordati Mengaldo, Fortini, Calvino e, più di recente, studiosi come Paolo Desogus che hanno rilanciato una lettura storica e dialettica del rapporto tra passione e ideologia. Si segnala anche il costante interesse mediatico, con mostre, convegni e nuove pubblicazioni in occasione del centenario pasoliniano e nell’anniversario della sua tragica morte nel 1975.
“Passione e ideologia” rimane, a distanza di sessant’anni, un testo fondamentale per capire non solo la parabola intellettuale di Pasolini, ma i destini della letteratura, della critica e della società italiana del Novecento e oltre. Il volume incarna la tensione fra ricerca personale e urgenza politica, fra nostalgia per un mondo che scompare e volontà di conoscere e rinnovare.
Nel libro di Pasolini si trova un modello forte di intellettuale che rifiuta la sottomissione alla cultura dominante, capace di tenere insieme la filologia più rigorosa e la militanza etico-civile. La sua opera ricorda, specie oggi, l’irrinunciabile necessità di una critica che sappia essere parresiasta, cioè capace di dire la verità, anche a rischio del proprio isolamento o fraintendimento.
In un’epoca che tende a monumentizzare o svuotare ogni pensiero scomodo, rileggere “Passione e ideologia” consente di tornare al nucleo vivo della crisi culturale e antropologica europea: la consapevolezza che la libertà vera (nello stile, nel pensiero, nella parola) non può esistere senza la coscienza della propria drammatica insubordinazione, e senza la volontà di mantenere aperta la contraddizione che è propria dell’umano.
Bruno Esposito
Curatore, Bruno Esposito
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