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sabato 5 luglio 2025

Pasolini - PRESENTAZIONE DELL’ULTIMO «STROLIGÙT» - Libertà, domenica 26 maggio 1946, pag. 3

"Le pagine corsare " 

dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Pasolini
PRESENTAZIONE DELL’ULTIMO «STROLIGÙT»

Libertà, domenica 26 maggio 1946

pag. 3

( © Questa trascrizione da cartaceo, è stata curata da Bruno Esposito )


 Se c’è qualcuno che non avrebbe da presentare, sia pure a una ristretta cerchia di lettori, la candida pubblicazione dell’Academiuta, questo sono proprio io. E per chiare ragioni. Ma ripenso a Boine, che in Plausi e botte, ha presentato un libro suo; e ora al Russo che ha fatto recentemente la medesima cosa in Belfagor. Ma poi non basterebbe a confortarmi l’ineffabile ombra del Baretti-Aristarco? Se io dunque mi autorizzo a presentare un’operetta di cui sono il curatore e che reca tre volte la mia firma (una poesia, uno scritto filologico, una traduzione) lo faccio evidentemente come giustificazione. E come giustificare davanti a un lettore sprovveduto o non informato, il secondo numero regolare di un’antologia poetica che si è assunta il preciso programma di innestare un friulano esautorato dai vernacoli nel tronco di una tradizione in lingua? Evidentemente bisognerebbe incominciare con una polemica anti-zoruttiana, ma sarebbe un discorso che ci condurrebbe troppo lontano. E poi le polemiche ci dispiacciono. Se tuttavia fosse possibile, in poche parole, ridurre alle sue giuste proporzioni la figura dell’eterno Zorutti, e, senza alcuna malignità, distruggere la facile, stucchevole poetica degli zoruttiani noi non rinvieremmo la discussione ad un altro momento. Ma è difficile, così, d’un tratto, oscurare un idolo che commuove da cento anni il cuore dei Friulani; e certamente dopo una mia pagina anti-zoruttiana, anche se mantenuta entro i puri limiti di una battaglia estetica, le azioni dello Zorutti non si abbasserebbero di un punto nell’immoto mercato udinese. Del resto basti dire che per noi zoruttiano equivale a dialettale; e per dialettale non intendiamo unicamente la poesia scritta in un qualsiasi dialetto, ma in genere una poesia ritardataria e sentimentale (ricordo certo Pascoli inferiore, che, dopo lo Zorutti, pare essere il poeta più amato dai verseggiatori della Piccola Patria).

Una simile poesia dialettale ha i suoi diritti; e non saremo certo noi a voler andare contro certe tendenze squisitamente umane degli uomini.

Finché ci saranno, in un paese o in una piccola città di provincia, delle macchiette, delle gare sportive, delle nozze, delle maldicenze ecc. ecc., ci sarà contemporaneamente una poesia dialettale che per natura non potrà oltrepassare un confine impostole dal dialetto.

Ora, stabilito filologicamente (cioè con un volontario ritorno alle teorie ascoliane) che il nostro friulano non può essere equamente considerato un dialetto; e soprattutto stabiliti i canoni, gratuiti fin che si vuole, secondo cui, se innestato in una tradizione in lingua, e divenuto quasi metafora di questa lingua, il friulano può riscattarsi non teoricamente ma praticamente dalla sua inferiore condizione di dialetto; noi ci siamo messi risolutamente per questa strada, ed ora il secondo numero del nostro florilegio può testimoniare, io credo, quanto sia attuabile la disponibilità letteraria del nostro vecchio friulano. E cominciamo col presentare, qui, proprio quelle cose dello Stroligùt che possono essere l’indice più evidente di un friulano-lingua, cioè le traduzioni, che sono poi traduzioni di alcuni dei poeti più difficili delle moderne lingue romanze. Essi rappresentano quella tradizione, che partendo da Baudelaire e da Mallarmé, trova la propria caratteristica essenziale nella coscienza della poesia, o, in termini più netti, nella poesia pura; e dove è quindi esasperata la ricerca linguistica. Dall’italiano di Ungaretti io ho cercato di portare in friulano Luna, poesia musicale quant’altre mai, tutta sospesa sul filo di un discorso lontano e imperturbato come il sonno, il silenzio. E l’ho fatto in un momento, per dirlo con una vecchia parola, di abbandono, ossia cercando attraverso il meccanismo delle analogie, una ineffabile corrispondenza tra parola e parola. Così, per esempio, quel velina mi si è tramutato in rampia; e l’equivalenza delle parole, se isolate, non appare; ma appare invece, o almeno lo spero, ad una lettura completa della poesia. Del resto la fedeltà letterale era naturalmente ciò che mi importava di meno; ma non tanto perché ne fossi costretto dall’inconciliabilità, appunto nella lettera, delle due lingue, quanto per un bisogno di ricostruirle, e non di tradurre, in friulano. Nessuna ragione logica potrà giustificare il mutamento di <<E alla pallida>> in <<E a qè insumiada>>, come è invece giustificabilissimo il <<à la si pâle>> della traduzione del Chuzeville (v. G. Contini, Esercizi di lettura).

 Cesare Bortotto muta in un friulano candido e leggermente rude la discorsività francese di La mer me parle di Valéry Larbaud, trasponendo la dolorosa ironia del testo nella naturale sprezzatura di un friulano udito nella bocca dei semplici. Da Juan Ramón Jiménez, Domenico Naldini ha dato una traduzione a nostro avviso bellissima, trattenendo nel friulano la febbrile lucidità dello spagnolo, e usando il motivo ossessivo <<i usiej a çàntin>> in modo che ogni volta avesse un suono e un senso diversi.

 Dei versi miei proprio non mi sento di parlarne; ma posso indicare al lettore quelli dei miei amici. Se ne trovano certo di buoni (buoni forse più per un lettore italiano che per un lettore friulano, nel cui orecchio mulina il ritmo, troppo diverso, dei dialettali); a cominciare dalla strofetta del Bortotto:

  

 ... e ni pareva

 na nova vita

 un sun di secuj

 chel gran serèn,

  

 in cui il metro metastasiano si fissa in una immobilità di inno, a Freida e calma l’aga dal fossàl di B. Bruni, alle due liriche di D. Naldini, che sembrano ancora due traduzioni, più interiori, dallo spagnolo, appunto, dello Jiménez, con quei particolari traslucidi del giovane che oziando piega un filo di ferro, e del foglio di carta bianca illuminato dalla luna. Un accenno a parte dovrebbe esser dedicato al De Gironcoli (ma si veda una mia recensione sulla Libertà del 14-4-’46); qui è ripubblicata la sua più impegnativa poesia E l’è restade un’olme, in cui l’umore triste del poeta, sfiorando lo sfogo, si purifica in caste immagini.

 Centro ideale del quaderno sono le esemplari pagine del Contini; pubblicate nel ’43 sul Corriere Ticinese per le mie Poesie a Casarsa, esse rappresentano tuttora, a più di tre anni di distanza, l’ideale prefazione – e una sorgente inesauribile di idee – per il nostro lavoro poetico in friulano. Con estremo nitore vi è indicato il limite tra dialetto e non dialetto; e a questo serrato discorso fanno quasi da sfondo gli spietati scorci dello squallido paesaggio della letteratura friulana. Un accenno dedicherò ancora a Volontà poetica ed evoluzione della lingua, in cui il lettore potrà vedere sviluppate alcune nozioni che qui sono soltanto alluse; a Per un frammento della Seccaggine di D. Naldini, che rappresenta il primo, breve saggio di una revisione critica (e non più informativa) sui nostri testi classici. Vorrei indicare poi, come particolarmente interessante, il passo di una lettera del Nievo: stupendo frammento, in cui il Friuli e la Carnia compaiono visti quasi a volo d’uccello, in uno di quei complessi e tranquilli paesaggi del romanticismo nievano. E L.A. Serra, giovane poeta e critico emiliano, dedica al Varmo recentemente e due volte ristampato, una nota dove il Friuli minore del N. è reinterpretato in una atmosfera modernissima, calma, incline al suggestivo, e qua e là inasprita da qualche punto filologico.

 Tre cose di tono assai meno teso, e piuttosto proclivi alla comune scrittura dialettale, concludono lo Stroligùt. R. Castellani con un lessico densissimo di folklore e una sintassi veramente e non artatamente vernacola, descrive la Banda paesana, uscita a Capodanno a suonare per le vie di Casarsa, e ne intesse un’amena apologia; un ragazzo quindicenne, Tonuti Spagnol, narra una sua vicenda ridicola (di alcuni uomini che lo ubriacarono), ma la narra, e questo è il convincente, proprio dal suo punto di vista, dal punto di vista del ragazzo. Il suo lessico esemplare, le sue espressioni naturalmente vive, sono fuse in un’innocente (e invidiabile) disposizione al narrare. Infine ricorderò Il puls rafàt dedicata da Pieri Fùmul ai nostri vicini d’Oriente, in un momento anfibio di estro ed ira.

PIER PAOLO PASOLINI 
 

@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare


Curatore, Bruno Esposito

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