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domenica 6 luglio 2025

Alberto Asor Rosa: Le scelte di Pasolini - Le ceneri di Gramsci - Mondo operaio, n. 12, dicembre 1957, pag. 55-56-57

"Le pagine corsare " 

dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Alberto Asor Rosa: Le scelte di Pasolini
Le ceneri di Gramsci

Mondo operaio

n. 12

dicembre 1957 

pag. 55-56-57

( © Questa trascrizione da cartaceo, è stata curata da Bruno Esposito )


Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di

Gramsci, Poemetti Milano, Garzanti

1957, pp. 144.

Pasolini raccoglie in questo volume undici poemetti composti fra il 1951 e il '56, e Io intitola da quello  fra essi che, poeticamente e idealmente, è il più complesso e compiuto. La disposizione dei poemetti è cronologica (salvo una posposizione delle Ceneri Gramsci, che sono del '54, ai Quadri friulani, del '55); ma questo non esclude che il libro non abbia una sua interna struttura, un filo logico e quindi di sviluppo, che è Io stesso delle esperienze dell'autore in questi anni, e della sua maturazione, del suo progressivo farsi cosciente. La cerniera del libro, che divide due diversi periodi — due atteggiamenti poetici — e nello stesso tempo li collega e li spiega, è appunto il poemetto Le ceneri di Gramsci; e i Quadri friulani lo precedono, a nostro avviso, proprio perchè, pur venendo dopo nel tempo, non partecipano pienamente di quella problematica ideologico-politica che esso ha instaurato; e sono perciò più vicini al populismo istintivo e panico dell'Appennino, Il canto popolare, ecc. 

Ma prima di trattare di ciò che distingue queste due fasi, è bene precisare ciò che le accomuna, le fa opera fondamentalmente di una stessa sensibilità, di uno stesso gusto, di una stessa impostazione umana. Diremo subito allora che denominatore comune dei poemetti, matrice prima della loro nascita, e ragione, appunto, fondamentale, delle loro caratteristiche, è, per quanto possa sembrar strano in uno scrittore profondamente nutrito di cultura o, ancora meglio, per usare la parola a lui cara, di ideologia, la psicologia istintiva, la natura primitiva dell'uomo, che sta sotto il poeta e ne disegna la fisionomia. Ad essa, sempre presente dietro Io schermo delle ragioni e delle polemiche, delle affermazioni ideali e delle considerazioni morali, sempre, forse, dovremo far ricorso per spiegare i suoi risultati come i suoi limiti. Una natura prepotente, difficile, dominata dal sesso in maniera quasi ossessiva, viscerale: difficilmente componibile in una serenità classica o in un gesto di pietà e di dolcezza, perchè esasperata per destino  nella propria frenesia, nel proprio dramma. C'è, al fondo di Pasolini, al fondo della sua storia e della sua personalità, un'incredibile chiusura, un'amarezza senza fine: la violenza di questo oscuro richiamo, a cui non vale opporre la barriera della sua cultura e finanche della sua morale, lo riporta continuamente a conflitto con se stesso, con la propria volontà illuministica — certo, ogni volta, di essere sconfitto, da sè tradito. Prima che dal mondo, dalla società dei suoi simili, Pasolini è alienato da se stesso, spezzato in due dalla miseranda consapevolezza di << essere diverso >> e perciò segnato a dito, fatto oggetto di sprezzo, respinto con il suo male: il male primigenio, che gli sta dentro da quando, << confuso adolescente >>, senti di odiare la prima volta quel mondo borghese che lui borghese feriva. Ma - come alla propria natura difficilmente ci si può sottrarre, quando è così scabra e segnata - legato al suo male, in ogni momento della vita e della poesia; privo di speranze e dolente, sa peraltro di non potersi rifiutare in nessuna parte e perciò, intero, senza autodifendersi, si espone al giudizio; e della propria infelicità fa uno strumento d'implacabile polemica, scagliandola contro quel mondo che senza pietà lo ha colpito; e quando, infine, cerca al di fuori di sè quel conforto e respiro che egli non può darsi, si ritrova e si riconosce solo là dove gli sembra che la sua alienazione, 1a sua infelicità, la sua frattura abbiano un esatto corrispettivo oggettivo: cerca nel mondo l'immagine del suo dramma interiore. 

Si sa che Pasolini ha avuto un felice inizio come poeta dialettale in friulano (Poesie a Casarsa, 1942). Questa attività si è intrecciata a un certo punto con quella in lingua letteraria (alcune delle poesie raccolte ne La meglio gioventù arrivano al 1953). Ma quello era il momento dell'idillio, del raccoglimento malinconico e pacato: in un certo senso Pasolini non si era potuto ancora confrontare. La scaturigine di questa poesia maggiore si ha quando egli esce dal bozzolo felice (e illusorio) della provincia friulana, e si trova a contatto con una dura e avvilente realtà nazionale. Come bene ha scritto Seroni, determinano il passaggio a questa forma superiore d'impegno, da una parte << la violenza della guerra... dall'altra, l'entusiasmo della Resistenza, l'aspirazione a un mondo nuovo, nel quale l'elemento originano paesano e popolare di Pasolini giuoca un suo ruolo fondamentale >> (1). Ma a Pasolini guerra e Resistenza servono solo per prendere nudo contatto con la realtà, per spezzare il suo guscio lirico e melodico: non certo per assumere una << posizione >> definitiva e trarre le conseguenze ideali da quei suoi entusiasmi. Non comunista, non cattolico, non liberale, egli ha scelto << un atteggiamento indeciso, problematico e drammatico, coincidente con (una) indipendenza ideologica... che richiede il continuo doloroso sforzo del mantenersi all'altezza di una attualità non posseduta ideologicamente >> è << una lotta continua contro la latente tendenziosità… >> (2); è Io sforzo di adattare il periscopio all'orizzonte, e non viceversa. Questo Io sperimentalismo di Pasolini: un tentativo di ricondurre la ricerca poetica in un ambito di rigorosa e attenta verifica filologica e ideologica (nel senso indicato), che Iasci da una parte allo scrittore la massima libertà d'interpretare e giudicare volta per volta — di assumere delle posizioni, invece che una posizione; e, dall'altra, lo costringa a tenere gli occhi aperti su questa realtà che muta, e che perciò si atteggia con voti diversi, richiedendo impegni diversi di canto. 

Ma su questo programma poetico e ideologico (che è certo ottimamente pensato: forse la cosa migliore di questi anni, fra quanti poeti hanno cercato di meditare e sistemare la propria opera), s'innesta la seconda grave contraddizione di Pasolini: quella fra l'uomo (già così profondamente ferito) e l'intellettuale, fra una certa natura e un certo programma. Poichè Pasolini non si accorge che proprio questa sua scelta (o meglio: questo suo rifiuto) - questa indipendenza ideologica, di cui non può che dolersi, perchè costa sacrificio e un di più di odio e di distacco - scaturisce in lui da un atto essenzialmente << tendenzioso e passionale >>, da una intima crisi, che ha le radici in una più antica scelta naturale, istintiva. L'impegno filologico e la mentalità, per così dire, quasi scientifica, del Pasolini saggista e critico, che discetta della sua poesia e la sistema secondo giustificazioni di grande intelligenza, si è poi sovrapposta a quella scelta (e non in maniera meccanica, intendiamoci: ma arricchendola e complicandola), senza mutarne peraltro l'indirizzo fondamentale. Ritroveremo nei poemetti continuamente queste due presenze, volta a volta intrecciate e giustapposte, a significare il travaglio di una adeguazione ideologica che non sempre riesce a farsi umana (e viceversa).

Uscendo dal suo bozzolo e scontrandosi con la realtà nazionale italiana... Pasolini ha sentito istintivamente il fascino di un particolare mondo popolare: un'umile Italia, povera, barbarica, quasi ferina, ab aeterno condannata al suo servaggio, di sè inconsapevole. << In una società come la nostra non può venire semplicemente rimosso, in nome di una salute vista in prospettiva, anticipata, coatta, lo stato di crisi, di dolore, di divisione >>, scriverà più tardi Pasolini a proposito del prospettivismo tattico di certa critica di sinistra (3); perciò << nel restare — dentro l'inferno con marmorea — volontà di capirlo, è da cercare — la salvezza >> (Picasso); quell'inferno, nel quale Pasolini riconosce così facilmente il suo dolore. S'immerge fino al collo in questo mondo preistorico, sessualmente sfrenato, e nonostante ciò puro, perchè nel sesso è la sua unica misura di giudizio sincera e spregiudicata, non corrotta, cioè non alienata: e vorrebbe sentire quella povertà, quegli ardori, quella primitività e barbarie, come cose proprie; individua i propri fratelli — gli unici che non lo condannino, poichè non lo giudicano — fra questi << giovanotti-caldi, ironici e sanguinari >>, nei quali rivive la << brulla... gioventù interrotta >> della bella Ilaria, marmorea immagine di questa Italia, fermata nel tempo come per un incantesimo malvagio (l'Appennino). << Quaggiù tutto è pre-umano... >>: << ognuno chiuso nel calore del sesso — sua sola misura... >> (ib.), << vive puro, non oltre la memoria — della generazione in cui presenza della vita è la vita perentoria >> (Il canto popolare).

E' la fase dei primi pometti. Componimenti brulli e desolati, e pure barocchi, ridondanti d'immagini, gonfi di una disperata esaltazione (quasi di una sprezzante rivalsa): nei quali in un certo senso Pasolini non si pone il problema di ciò che è fuori di quel mondo, ma lo accetta in pieno, ciecamente, infastidito 
quasi e riluttante a subire un confronto, quando gli sembra che una presenza estranea possa diminuirne l'integrità, la validità (v. Picasso o i Quadri friulani). C'è il tentativo di un'epica, a cui manca solo la grandezza del soggetto e, al poeta, la capacità di farlo unico, irrepetibile, cioè, come osserva Seroni, di sollevarlo nel mito. Qui, direi, la componente colta di Pasolini si manifesta come termine immobile, raggelante, non dialettico, non disposto, esso proprio, a farsi verificare. Non vi è ancora dramma, contrasto.

Il dramma scaturisce quando la consapevolezza di qualcosa che è fuori e al di sopra di quel mondo si fa bruciante, estrema: Le ceneri di Gramsci. Gli stessi limiti di Pasolini, le stesse sue chiusure e debolezze, si fanno qui poesia, perchè egli non li contempla per imporli con atto di superbo disdegno, ma, collocandoli in una situazione storica, li vede in rapporto con ciò che lo circonda e lo trascende. Il mondo popolare è, sì, ancora quello dei primi poemetti, condannato a una sua millenaria allegria di animale... ma questa allegria — e i vizi, gli ardori, le pallide speranze che lo contraddistinguono — sono visti e sofferti oggi, nel quadro dell'Italia democristiana, di questo fradicio edificio di disillusioni e di amarezze: << la fine del decennio in cui ci appare -- tra le macerie finito il profondo — e ingenuo sforzo di rifare la vita... >>. Il dramma intimo di Pasolini, reintegrato nella storia, coincide qui con il dramma di una speranza infranta nel cuore delle classi popolari: non è più isolata protesta, o intellettualistica identificazione di se nel popolo, ma vera comune sofferenza, voce di una situazione storica. E ci voleva forse Pasolini, così com'è fatto, per sentire in tutta la sua crudezza questo lento disgregarsi di un tentativo rivoluzionario, questo tradimento delle classi popolari nel loro stesso senso operato.

Il contrasto è da una parte ancora quello soggettivo, fondamentale (ma visto con diversa chiarezza e diverso abbandono): fra le ceneri di Gramsci — l'alta ispirazione morale che da esse emana — e ciò che il poeta è, soffre di essere; fra la ragione dispiegata, l'ideologia, il termine solare della sua personalità, e la sua natura, le sue buie viscere, la sua estetica passione:

Lo scandalo del contraddirmi, dell'essere
con te e contro te; con te nel cuore,
in luce, contro te nelle buie viscere.

Ma il contrasto è per un altro verso obiettivo: è fra le ceneri di Gramsci — la speranza che hanno significato, l'insegnamento che ne è scaturito e questa Italia democristiana, e questo popolo più antico di Gramsci, più legato di quanto egli non pensasse alle sue debolezze, ai suoi errori, alle sue catene. Il fallimento complessivo dell'attività politica e ideologica dei partiti di sinistra nei dieci anni dopo la Liberazione respinge questo popolo nell'oscurità che non aveva mai lasciata, confina Gramsci nel suo malinconico cimitero. Ed è proprio l'oggettività, sia pure polemica, di certi rilievi a dare un peso nuovo di verità e di convinzione alle parole di Pasolini: la tristezza del poeta — che su tutto si diffonde — non è questa volta cosa soltanto sua, se egli è riuscito a rendere, sia pure riflesso e limitato nella sua particolare esperienza, uno stato d'animo, che è stato di molti di noi.

Nelle Ceneri di Gramsci, Pasolini attacca direttamente il marxismo, fa per la prima volta dell'ideologia un termine poetico della sua ricerca — attivo cioè e concreto — non soltanto immobile presupposto per un rifiuto. Da quel momento il suo problema è quello di sostenere il difficilissimo equilibrio raggiunto in quel poemetto fra tutti gli elementi soggettivi e oggettivi, che ormai compongono la sua ispirazione: una situazione storica e una situazione personale s'incontravano là felicemente. La ricerca di Pasolini continua a nostro avviso su questa strada, abbandonando la identificazione istintiva nella sostanza, e nello stesso tempo intellettualistica nelle forme, del creatore poetico con il suo popolo, che era stata caratteristica dei primi poemetti. Ora l'elemento ideologico cioè il tentativo di ricondurre alla consapevolezza chiara e dialettica delle Ceneri di Gramsci ogni contrasto e ogni atto diviene predominante. Senza risultati altrettanto felici, se non nelle prima parte dell'ultimo componimento (Terra di Lavoro), dove di nuovo una situazione millenaria di soggezione delle plebi meridionali è vista contemporaneamente nei suoi riflessi storici e umani, attraverso la ferma e limpida rappresentazione di due o tre figure di contadini chiusi nel loro interno dolore. Dove la tensione si allenta (Il pianto della scavatrice, Una polemica in versi), i vecchi difetti riemergono: ogni termine smarrisce il legame dialettico con gli altri, e va per conto suo: e questo popolo torna nella sua allegra millenaria staticità, questo io si contempla, questa ideologia diviene una povera e astratta cosa. Ritorna a galla un forte pericolo di misticismo (che per Pasolini vuol dire: contemplazione irrazionale della realtà e di se stesso), e con esso, parallelo e strettamente congiunto — come quasi sempre avviene — il pericolo 
dell'intellettualismo.

Ma la nostra opinione conclusiva è che lo scrittore il quale ha raggiunto la chiara consapevolezza ideale e poetica delle Ceneri di Gramsci, non può farci dubitare di un pieno dispiegamento delle sue possibilità future.

Resta da dire qualcosa (e bisognerebbe invece parlare a lungo) sullo stile e le scelte metriche di Pasolini. E' evidente, tutta la sua impostazione estetica lo richiede, che egli non può non servirsi di un discorso ampio, logicizzato fino ai modi della prosa. E la prosa è infatti il pericolo di questo stile (quanto più il dramma perde di consistenza, tanto più la sciatteria del verso tende a confondersi con un mediocre periodare); ma è un rischio calcolato in partenza, per chi, come Pasolini, vuol dir cose e non parole, e puntualmente evitato, infatti, quando il dramma è realmente nelle cose: segno che il difetto non sta a priori nella scelta stilistica, ma, caso mai, nel contenuto che le è dietro. Mezzi stilistici tradizionali (addirittura ottocenteschi) per una ricerca antitradizionale: questa la formula di Pasolini. E in questa formula noi ci troviamo d'accordo con lui - limitatamente al suo caso, ben s'intende: a noi sembra infatti che il dramma di Pasolini nel suo momento più alto e più chiaro sia caratteristicamente pre-decadente, addirittura romantico: non è il dramma dell'isolamento e del distacco (proprio del decadentismo), bensì della partecipazione contrastata e dolente: l'eterno antagonismo fra l'essere e il volere, fra questa realtà e questo ideale. Ed evidentemente, anche il decadentismo ha la sua parte nella posizione di partenza, in quell'essere così fratturato e dolente, che è di Pasolini; ma i modi di quel conflitto ci sembrano appunto romantici: impossibile, comunque, esprimerli son gli strumenti troppo sottili e raffinati della poesia contemporanea.
Alberto Asor-Rosa

Note

(1) A. Scroni: Le ceneri ai Gramsci, in «l'Unità », 29 giugno 1957

(2) P. P. Pasolini: La libertà stilistica, in «Officina », n. 9-10 giugno 1957.

(3) P. P. Pasolini: La posizione, in « Officina », n. 5, febbraio 1956.

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Curatore, Bruno Esposito

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