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venerdì 22 novembre 2024

Intervento di Pier Paolo Pasolini sulla traduzione dell’Orestiade e del Vantone - Ruggero Jacobbi Le belle infedeli, ovvero i poeti a teatro, Rai, gennaio 1968

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Intervento di Pier Paolo Pasolini sulla traduzione dell’Orestiade e del Vantone

Tratto dalla rubrica radiofonica a cura di Ruggero Jacobbi 

Le belle infedeli

ovvero i poeti a teatro

Rai, gennaio 1968



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PASOLINI SCONOSCIUTO

Interviste, scritti, testimonianze - a cura di Fabio Francione 


   Il poeta traduttore che in questi anni è stato al centro delle più accese discussioni è stato certamente Pier Paolo Pasolini, in primo luogo per la sua versione dell’Orestiade di Eschilo messa in scena da Vittorio Gassman a Siracusa. Che ricordo ha Pasolini di questa esperienza?

   La traduzione dell’Orestiade allora è stata in un certo senso casuale come spesso succede cioè è giunto da me Gassman e mi ha chiesto di trargli qualcosa per il suo teatro popolare. Ma non è stato un caso che io abbia scelto l’Orestiade perché la traduzione dell’Orestiade è propriamente il pezzo del teatro greco che io amo di più o per lo meno che ho amato di più in quel periodo. Io credo che sia meno interessante forse dirle le ragioni tecniche che mi hanno guidato nella traduzione, proprio le ragioni tecnico-linguistiche che adesso sono molto chiare. Ho cercato di ridare al testo greco, non attraverso una traduzione letterale che è impossibile perché certi significati delle parole cambiano in maniera irrecuperabile, e non ho cercato nemmeno una mediazione classicistica, ho cercato cioè di fare una traduzione un po’ come si dice “per analogia”, un po’ come poi ho ricostruito, per esempio, nel fare Il Vangelo l’ambiente, non l’ho ricostruito archeologicamente e filologicamente ma l’ho ricostruito per analogia cioè ad un villaggio, un paese, un castello dell’antica Palestina ho sostituito un villaggio, un paese, un castello dell’odierno Mezzogiorno d’Italia che sono simili per analogia. Da allora ho cominciato ad avere per il teatro greco un amore che è rimasto per molto tempo come sopito in me ed è improvvisamente rifiorito con violenza, addirittura con irruenza in questi ultimi anni, in questi ultimi due anni in cui ho scritto io stesso per il teatro e scrivendo per il teatro sono stato incapace di uscire dallo schema del teatro greco. Rifacendo il teatro io, ora mio come autore, ho seguito fedelmente lo schema della tragedia greca.


   La seconda esperienza teatrale di Pasolini sui classici fu il Miles gloriosus di Plauto dà lui ribattezzato Il Vantone e messo in scena da Franco Enriquez. Nel Vantone, lei Pasolini, ha autorizzato un linguaggio popolare in gran parte fondato sul dialetto romanesco, inoltre ha adottato un verso lungo a rime baciate che ricorda da vicino l’alessandrino francese specie nella forma che assunse nella commedia di Molière. Quali le ragioni di questa scelta linguistica e metrica?


   Anche per Il Vantone le dirò posso ripetere più o meno quello che le ho detto a proposito della traduzione sull’Orestiade e cioè ho fatto una traduzione che fosse analoga, ho cercato cioè un linguaggio che non fosse la traduzione letterale dell’antico latino di Plauto ma fosse in qualche modo un linguaggio analogo, ma nello scegliere il romanesco non ho scelto il romanesco puro che ho adottato per esempio per certi brani dei miei romanzi, perché lì parlava della gente reale veramente del 1968 e parlavano dei sottoproletari. Il mondo di Plauto è un mondo già teatrale è già un mondo per capocomici, direi, e quindi ho cercato un dialetto romano che fosse un po’ vicino a quello che si dice linguaggio dell’avanspettacolo ecco. Quanto alla rima le dirò questo, i latini non conoscevano la rima, noi invece neolatini siamo ormai abituati a non prescindere più dalla rima quando pensiamo alla poesia soprattutto naturalmente quando pensiamo alla poesia classica. Quindi ho adottato la rima che è un procedimento prosodico che è nelle nostre abitudini e l’ho adottato per un testo come quello di Plauto che la rima non ce l’ha per ragioni storiche. Perentoriamente ormai noi quando storicamente pensiamo a Plauto non possiamo pensare a Plauto più di duemila anni di studi su Plauto se non possiamo pensare a Plauto più il Rinascimento italiano, più Molière ecc. ecc.


 

@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare


Curatore, Bruno Esposito

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