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lunedì 5 giugno 2023

Pasolini, Le parole di Gesù e le parole di Marx - Vie nuove, n. 30, 26 luglio 1962

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


Pier Paolo Pasolini
Le parole di Gesù e le parole di Marx

Vie nuove
n. 30
26 luglio 1962




   Caro Pasolini, indubbiamente, la lettera di Luigi Novelli di Scarlino (Grosseto) pubblicata da «Vie nuove» il 21 giugno scorso, è piena di idee confuse; di più, l’autore sembra non ammettere idee diverse dalle sue (secondo il Novelli, dove la voce di Cristo «non giunge non esiste il progresso ma il deserto più completo regna sotto l’ombra di false religioni»). Ma la Sua risposta, caro Pasolini, mi sembra anch’essa piena di confusioni e carica di disprezzo per idee diverse da quelle che Lei appassionatamente professa. Il Novelli confessa di giudicare «a casaccio» «La religione del mio tempo», che non ha acquistato «per mancanza di mezzi», e a casaccio la giudica «una delirante poesia sui problemi proletari nella quale vengono confusi i mali sociali ed i mali spirituali». Ma Lei, mi scusi, giudica altrettanto «a casaccio» la confusa fede religiosa del signor Novelli, quando dice: «io non ci credo, in questo suo Dio raccattato nei solai della Controriforma e del perbenismo borghese», oppure quando si diverte a sviluppare un lungo e barocco paragone tra un Dio «ornamento prezioso e solenne della propria identità» e i «monumentali, incredibili cappellini con fiori e veli» che finiscono col trasformare nell’intimo le generiche costrette a portarli sulla scena, soddisfacendo il loro narcisismo.
   Quanto alla sostanza della confusa ed acre discussione, vorrei sottolineare innanzitutto un singolare punto di incontro tra i due contendenti. «Son d’accordo che la Democrazia cristiana rappresenti il fascismo di oggi», dice Novelli; Pasolini su questo punto non discute, anzi rilancia la definizione («quanto al suo voler combattere la Democrazia cristiana, nuovo fascismo, con le parole di Gesù…»). Francamente, caro Pasolini, non vedo la differenza tra una asserzione di questo genere e la vecchia tesi estremistica del 1921-24 secondo la quale Giolitti e Mussolini, democrazia borghese e fascismo erano tutt’uno. «La Democrazia cristiana, nuovo fascismo»: questa frasetta, buttata là come ovvia, distrugge anni e anni di intelligente studio, di responsabile sforzo per comprendere la natura e le contraddizioni del grande partito cattolico italiano, di iniziative politiche per favorire e promuovere l’accordo tra partiti operai e marxisti e le correnti democratiche e popolari della Democrazia cristiana. A che vale proclamarsi marxisti, se poi si accetta, o si avalla, o comunque si «lascia passare» un giudizio che non regge quando lo si sottoponga a una elementare analisi storica e di classe?
   Il Novelli auspica la creazione di «una forza nella quale siano fusi i concetti fondamentali della religione ed i concetti sociali comunisti». Stando alla lettera, il Novelli propone un pasticcio ideologico, evidentemente inaccettabile (ma, probabilmente, sotto c’è un’idea che si può e si deve recuperare, chiarendola). Ma quando Lei risponde: «non si è accorto che, nel frattempo, le parole di Gesù – come lei in questo caso pare intenderle – sono diventate le parole di Marx?», non chiarisce affatto le idee né al Novelli né al lettore di «Vie nuove». Si tratta anzi, e la cosa non stupisce, della medesima confusione tra eclettismo ideologico e accordo politico e di classe che sta al fondo della lettera del Novelli. Novelli vuole assorbire Marx in Gesù, Pasolini sembra voler inglobare Gesù in Marx; è lo stesso errore, cambiato di segno.
   Secondo me, il vero problema che agita e turba il Novelli (e lo spinge a scrivere agli scomunicati di «Vie nuove» e all’ateo Pasolini, badiamo bene!) è il grande, difficile problema dalla soluzione del quale dipendono e consolidamento della democrazia e avanzata verso il socialismo in Italia, nel nostro periodo storico: il problema della collaborazione tra marxisti e cattolici in un’opera politica rivoluzionaria. Più gli anni passano, e più mi convinco che la rivoluzione italiana ci sarà se, e soltanto se!, sarà una rivoluzione a più voci. La rivoluzione italiana ci sarà se per essa opereranno, uniti e distinti (uniti nell’azione, distinti nelle idee), e marxisti e cattolici e mazziniani e credenti in una «religione aperta», e altri e altri ancora. Che la rivoluzione italiana sia cruenta o incruenta, che essa implichi o meno una «rottura» non può essere assicurato con certezza, perché troppe incognite sono in gioco, nell’Italia e nel mondo; ma che essa, graduale o improvvisa, costituzionale o insurrezionale, debba essere una rivoluzione a più voci, questo mi pare certo. Questo implica un compito preliminare importante: abituare noi stessi, e gli altri, non tanto a una liberale «tolleranza» verso ideologie diverse dalla nostra, ma alla rivoluzionaria ricerca della ideologia reale, quella che fa muovere, che fa parteggiare, che fa scegliere l’uno o l’altro schieramento, oggi. Sulle ideologie nella loro espressione filosofica decideranno, io credo, i secoli e non gli anni; e una decisione valida verrà soltanto dal prolungato confronto storico-concreto, non certo dalla rissa ideologica.
   Il Partito comunista italiano si avvia al suo decimo congresso; sono convinto che il problema al quale ho accennato sarà uno dei problemi non marginali della discussione. Se ci sono tra comunisti, tra marxisti delle divergenze, che vengano fuori con chiarezza, in modo netto e se necessario aspro. Il contrasto, anche tra compagni, non è che non lasci qualche traccia; quando però si avverte che il compagno-contraddittore è mosso solo da disinteressata passione, che non vi è nulla di «personale» nella critica politica e ideale (come io avverto in ogni Suo scritto, caro Pasolini, e come Lei avvertirà, spero, in queste mie parole), allora il contrasto rafforza non solo il partito e il movimento, che ne escono con idee più chiare e profonde, ma anche i rapporti personali tra i «contendenti».

Mi creda Suo
Lucio Lombardo Radice

Nulla può andare perduto


   Gentile Lombardo Radice, quando io dico – e l’ho detto più volte in questa rubrica – che le parole di Cristo sono diventate le parole di Marx, non intendo dire qualcosa di scientifico o di storicamente attendibile. Dico soltanto una boutade, e come boutade, ho sempre pensato che la prendessero i lettori di «Vie nuove»: che considero abbastanza intelligenti per non prendere alla lettera delle asserzioni di questo genere. È uno schema, che astraendosi dalla realtà, come tutti gli schemi, conserva però della realtà qualcosa di vivo, di stimolante: il suo valore è puramente verbale, e vuol dire semplicemente: fino a un certo punto l’Uomo – l’Uomo fuori dalla storia, l’Uomo morale – aveva un grande paradigma su cui fondare i propri ideali: Cristo. Ora quel paradigma è cambiato. Sciocchezze, si capisce. Che intendono la volizione morale dell’uomo come una specie di scommessa con sé stesso, al di fuori delle circostanze storiche, una specie di fatalità, da cui la sua condotta è imprescindibile. Insomma: se l’uomo deve combattere una lotta ideale, per esistere, per obbedire ai requisiti del comportamento sociale – così come noi siamo abituati a concepirlo – deve pur avere una ideologia: esaurita l’ideologia cattolica – uno che veda il mondo dall’alto, dal di fuori, schematizzando – non può che constatare il proporsi di un’ideologia marxista, con lo stesso valore metastorico di lotta ideale.
   Tutto questo è ingenuo, lo so, lo ripeto. Ma parlando alla buona si fanno di queste semplificazioni. Io non scrivo mica solo questa rubrica «parlata», del resto… Mi integri con gli altri miei scritti, e non mi faccia dire quello che non voglio dire! Non ho mai inteso inglobare Gesù in Marx! Ai lettori ingenui, che mi si mostravano ingenuamente assetati di «lotta ideale», io ingenuamente facevo un parallelismo astratto fra Cristo e Marx, ecco tutto.
   Ho sostenuto poi, anche, che nulla di ciò che è stato esperimentato storicamente dall’uomo, può andare perduto: e che quindi non possono essere andate perdute neanche le parole di Cristo. Esse sono in noi, nostra storia. E io sono ancora (e ancora ingenuamente) convinto che per un borghese una buona lettura del Vangelo è sempre un fertilizzante per una buona prassi marxista.
   Quanto alla «Democrazia cristiana come nuovo fascismo», io ho solo citato il mio corrispondente con una certa simpatizzante ironia.
   Non volevo dunque dire che la Democrazia cristiana è, alla lettera, un nuovo fascismo.
   Le faccio notare, ad ogni modo, che la borghesia italiana che ha espresso il fascismo è la stessa che esprime la Democrazia cristiana: la sfido a elencarmene sostanziali differenze nel campo della scuola, della magistratura, della polizia, dell’amministrazione, dei rapporti con la potenza clericale del Vaticano.
   E la sfido a dimostrarmi anche le ragioni vere, culturali nel senso gramsciano della parola, per cui la Democrazia cristiana può essere definita, come lei fa, un «grande partito cattolico». Quale cultura ha mai espresso?
   Quanto alle prospettive della lotta futura, a più voci, non so cosa dirle: probabilmente sono d’accordo con lei. Ma in quale voce sta la buona volontà? Forse sarà per colpa delle atroci circostanze che sto attraversando, ma io sono molto pessimista sui prossimi giorni futuri della nostra nazione. La borghesia dirigente è sempre, continuamente, implacabilmente, sistematicamente peggiore di quanto un uomo ingenuo come sono io – e come è probabilmente anche lei – riesce a immaginare.

Pier Paolo Pasolini

@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare


Curatore, Bruno Esposito

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