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domenica 18 giugno 2023

Pasolini Appendice 2: «I racconti di Canterbury» - Pasolini su Pasolini, Conversazioni con Jon Halliday

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

Fotogramma del film "I racconti di Canterbury" di Pier Paolo Pasolini


Pasolini Appendice 2: «I racconti di Canterbury»
Pasolini su Pasolini
Conversazioni con Jon Halliday


   Il regista Pier Paolo Pasolini si trova in Inghilterra per girarvi una trasposizione cinematografica dei Racconti di Canterbury di Chaucer. Siamo andati a Rye, nel Kent, per discutere con lui del suo nuovo film e anche della sua attuale posizione politica in Italia.

   L’abbiamo trovato, con un folto gruppo di tecnici suoi connazionali, in un tipico alberghetto di campagna inglese, dove sembrava decisamente fuori posto. Erano circa le otto di sera. La cittadina era ormai morta da varie ore. Pasolini sedeva a un tavolo ornato di bottigliette di senape e di ketchup, e cercava di ordinare qualcosa da mangiare. Il cameriere gli si rivolgeva chiamandolo «Mister Pas», avendo evidentemente rinunciato al tentativo di pronunciare correttamente quel cognome. Comunicava con Mister Pas in un francese zoppicante, e la ben nota anglofilia di Pasolini stava subendo un duro colpo.

   Gli domandammo perché avesse deciso di trarre un film dai Racconti di Chaucer, anche perché la sua ultima realizzazione è stato il Decamerone e un altro film in progetto è Le mille e una notte. Da dove viene l’interesse per questi antichi libri di storie e di favole? Sia Chaucer sia Boccaccio sono scrittori vissuti nel Quattordicesimo secolo, e Le mille e una notte risalgono ancora più addietro nel tempo.

   In questi casi non c’è mai un perché. Potrei darvi tutte le risposte razionali che volete. Potrei dire, ad esempio, che film come questo offrono a chi li fa una gamma anche di duecento personaggi, così che si ha modo di presentare un’ampia fetta della realtà. Al contempo posso essere, nonostante il soggetto, molto moderno. Questo è un periodo di crisi, per il «grande romanzo»: il libro di mille pagine come quelli di un Tolstoj o di un Dickens. Ma il vecchio racconto ha lo stesso taglio narrativo di una cronaca di giornale. Se aprite un giornale, potete vedere questo, niente di più di una serie di racconti, come in Chaucer e nel Boccaccio.

   Metto queste storie in rapporto con il rimpianto che provo per la perdita del mondo di una volta. Sono un uomo disincantato. D’altronde sono sempre stato ai ferri corti con la società del mio tempo. L’ho combattuta, mi ha perseguitato, ma mi ha dato anche il successo. Ora però non mi piace più. Non mi piace il suo modo di esistere, la sua qualità di vita. Per questo rimpiango il passato. Alla mia età, a questo punto della mia vita, penso che sia quasi un fatto convenzionale.

   Il mondo di Chaucer e del Boccaccio non aveva ancora sperimentato l’industrializzazione. Non era una società consumistica, non c’erano catene di montaggio. Non c’era niente di analogo alla società di oggi. Tranne forse per questo: c’era una sorta di esigenza di libertà sessuale, nata dai prodromi della rivoluzione borghese nel contesto della società medievale. Qui potrebbe stabilirsi un parallelo. Ma periodi di libertà come quelli sono condannati a finire presto. Da vecchio, Boccaccio divenne un bigotto. Quell’esplosione di libertà durò solo pochi anni. Lo stesso vale oggi: durerà solo pochi anni.

   Pasolini ha scelto fra i Racconti di Chaucer soprattutto quelli di vita «plebea», non quelli di soggetto aristocratico. Gli abbiamo quindi domandato perché abbia fatto questa scelta, e se secondo lui vi sono forti elementi classisti nei Racconti di Canterbury.

   Ho scelto quei racconti che erano realistici – realistici, si intenda bene, non «naturalistici» – in senso poetico più che in senso fantastico o mitico. Chaucer si colloca a cavallo fra due epoche. Ha qualcosa di medievale, di gotico: la metafisica della morte. Ma spesso si ha l’impressione di leggere un autore come Shakespeare o Rabelais o Cervantes. È un realista, ma è anche un moralista e un pedante, e inoltre mostra straordinarie intuizioni. Ha ancora un piede nel Medioevo, ma non è uno del popolo, anche se raccoglie i suoi racconti dal patrimonio popolare. In sostanza, è già un borghese. Guarda già alla rivoluzione protestante e perfino alla rivoluzione liberale, nella misura in cui i due fenomeni si combineranno in Cromwell. Ma mentre il Boccaccio, che era pure un borghese, aveva la coscienza tranquilla, con Chaucer si avverte già una sensazione sgradevole, una coscienza turbata e infelice.

   Chaucer presagisce tutte le vittorie, tutti i trionfi della borghesia, ma ne presente anche il marciume. È un moralista, ma dotato anche del senso dell’ironia. Il Boccaccio non sente il futuro allo stesso modo. Egli coglie la borghesia nel momento di maggior gloria, cioè nel momento in cui nasceva. Ma poi in Italia la borghesia fu bloccata. Nacquero i Principati, e poi venne la Controriforma. Non vi fu una vera rivoluzione borghese quale vi fu in Inghilterra. È quello che dice anche Gramsci. La borghesia italiana venne a trovarsi all’improvviso nel mondo moderno, dopo la fine del fascismo, trascinatavi da altri.

   In genere Pasolini si serve di attori non professionisti nei suoi film, come ad esempio nel Vangelo secondo Matteo. Gli abbiamo domandato come aveva affrontato il problema del cast dei Racconti di Canterbury e che cosa si proponeva di fare per risolvere quelli del linguaggio.

   Ho cercato di fare la stessa cosa che nel Decamerone. Ho ambientato tutto il Decamerone a Napoli e nei dintorni, e vi ho fatto parlare i personaggi nel dialetto napoletano contemporaneo. Certo non potevo usare l’inglese di Chaucer, per cui ho fatto ricorso al più semplice vernacolo possibile, con alcuni elementi dialettali. Mi sono servito delle parole di Chaucer, ma le ho tradotte in un idioma moderno. Ad esempio, nel Racconto del venditore di indulgenze, che è quello sui tre ragazzi ai margini della società, che vivono di espedienti e così via, i tre ragazzi li ho trovati per strada. Per puro caso, erano tutti e tre scozzesi, per cui parleranno con l’accento scozzese. Girerò il Racconto del cuoco, la storia di Peterkin o Pietruzzo, nei docks di Londra, e in questo episodio si parlerà in cockney, nel tipico dialetto londinese. Ne farò un omaggio a Chaplin, londinese anche lui. E poi, quando mi sono trovato giù vicino a Bath, e a Wells, il modo di parlare di quella gente mi è piaciuto moltissimo, e quindi in qualche brano userò l’accento del Somerset. Io mi servo della lingua viva, mettendo insieme i più disparati dialetti.

   Una cosa che mi ha sorpreso, nei ragazzi e nelle donne della classe operaia che ho usato per le piccole parti, in questo Paese, è che non sembrano avere lo stesso senso dell’umorismo della vostra privilegiata borghesia. Chaucer ha le caratteristiche borghesi del moralismo, del pragmatismo e del sense of humour. È già un inglese borghese e privilegiato, sotto questo aspetto. Forse l’umorismo in Inghilterra è un privilegio di classe. Prima di venire qui non me ne ero mai reso conto.

   In Italia ogni giornale o rivista deve avere un «direttore responsabile», un cittadino in possesso di certi requisiti morali che risponde legalmente del contenuto del giornale, una specie di capro espiatorio, di uomo che prende gli schiaffi in caso di bisogno. Due dei direttori responsabili di «Lotta continua», pubblicato dall’omonimo gruppo extraparlamentare, hanno già dovuto subire processi per incitamento alla sovversione. Uno di loro, Pio Baldelli, è coinvolto in parecchi procedimenti penali, in primo o in secondo grado. In segno di solidarietà molti eminenti intellettuali si sono dichiarati corresponsabili dei numeri del giornale incriminati. Fra questi, anche Pasolini, al quale abbiamo domandato perché abbia deciso di correre quel rischio e che cosa provi al pensiero di finire in tribunale, non per la prima volta.

   Finisco sotto processo perché il codice penale italiano è ancora quello fascista, mai cambiato dalla fine della guerra in qua. Vi sono ancora delitti «politici» come sotto la dittatura fascista. La legge non garantisce una vera libertà di stampa. Ho messo il mio nome come corresponsabile di «Lotta continua» semplicemente per senso di democrazia. Non vado d’accordo con quella gente. Non concordo con loro in molte cose, a dire la verità, ma sono convinto che abbiano il diritto di esprimere la propria opinione. Il processo verte su delitti di opinione.

   Si sono resi colpevoli di varie specie di «sobillazione» e «vilipendio». Hanno diffamato la polizia e sono accusati di aver insultato le forze armate. Il giornale ha usato un linguaggio volgare, quale io stesso non avrei usato, ma non attaccava degli individui, il capitano X o il tenente Y. Attaccava solo il corpo degli ufficiali in generale. A mio parere, chiunque ha il diritto di manifestare le proprie opinioni, a proposito delle forze armate, nel modo e secondo lo stile che più gli aggradano. Per questa ragione appoggio quelli di «Lotta continua» e sono con loro senza riserve.

   Nel 1968 ho pubblicato Il PCI ai giovani!!, una specie di manifesto poetico che per un certo tempo mi ha reso estremamente impopolare presso le sinistre italiane. Posso essermi espresso male, ma quello che dicevo si è dimostrato vero, purtroppo, come possiamo constatare oggi. Provavo una sorta di impulso isterico, di crisi, un’impazienza verso quella grigia massa di giovani ribelli di allora, che in realtà hanno ormai completamente abbandonato la lotta. Non sono stati capaci di avanzare. Il PCI ai giovani!! non era rivolto contro quelli di «Lotta continua», anzi, specificamente li escludeva. Si riferiva ad altri gruppi con i quali solidarizzo anche adesso, mentre gli altri si sono rassegnati. Io mantengo la mia posizione ed essi le loro, che possono essere diverse dalle mie, ma c’è fra esse qualcosa in comune, per cui necessariamente dovevamo incontrarci in qualche modo.

   Ora sono imputato e dovrò andare in tribunale, ma in questo non c’è proprio niente di intollerabile. Non c’è modo, d’altronde, di evitare il problema. Ma non è poi così brutto come essere un operaio della Fiat o un immigrante meridionale. La gente come me ha molte altre cose con cui riscattarsi. Ho fatto tanto. La mia vita è così piena. Non è certo così per un povero lavoratore immigrato dal Sud. Che cosa significa per me un processo? Se mi mettono in carcere non me ne importa affatto. È una cosa di cui non mi curo. Per me non fa nessuna differenza, nemmeno dal punto di vista economico. Se finirò in prigione, avrò modo di leggere tutti i libri che altrimenti non sarei mai riuscito a leggere.


@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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