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Quanto a Moravia, devo dire che egli, intervenendo in questa occasione, non ha avuto orecchie per ascoltare la vera realtà del mio discorso: l’ha anch’egli strumentalizzato alla mia personale ricerca tecnica di autore, mentre esso non era che un passaggio per una comprensione più vasta della realtà italiana, in cui poi operare «anche» linguisticamente; e si è affannato a dimostrare una cosa assolutamente ovvia, cioè che l’italiano è sempre stata una lingua media. Mi dimostri che l’italiano è sempre stata una lingua nazionale: e non una «lingua» media di élite o di classe. Inoltre, per via della sua solita impazienza, egli mi attribuisce la «nozione» di un nuovo italiano già adulto, mentre io mi ero limitato a battesimare un infante. Lo credo bene, per esempio, che gli ingegneri e i tecnici parlino con le loro «signore» l’italiano aulico (per quanto la parola non sia esatta), ed è vero che l’italiano di Moro ha un fondo ancora avvocatesco e umanistico. Le cose stanno cominciando ad avvenire, non sono avvenute!
Dunque per un utile proseguimento del dibattito, sull’«Espresso» o altrove, direi che andrebbero tenuti presenti i seguenti punti:
1) Io non ho parlato, ripeto, di un italiano nuovo, ma della nascita di un possibile italiano nuovo (nazionale). Supporne sbrigativamente una figura adulta, significa: a) non riconoscerlo; b) riconoscerlo attraverso esperienze ritardate, già fatte, e quindi accantonarlo in quanto effettiva nuova realtà politica e sociale.