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sabato 5 novembre 2022

Quando muore un poeta - Orazione "funebre" di Alberto Moravia ai funerali di Pier Paolo Pasolini Pasolini - 5 novembre 1975

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Quando muore un poeta
Orazione funebre di Alberto Moravia ai funerali di Pier Paolo Pasolini Pasolini 

5 novembre 1975

(Trascrizione integrale curata da Bruno Esposito)


Prima di tutto voglio ringraziarvi di essere convenuti qui per dare l'estremo addio ad un caro amico e ad un grande artista. 

E adesso vorrei aggiungere una cosa: in questi ultimi giorni sono stato continuamente ossessionato dalle immagini della morte di Pier Paolo Pasolini, non soltanto per la crudeltà, l'atrocità, di questa morte, ma perchè non mi riusciva di rintracciarne il senso, il significato. E noi siamo... noi uomini, vogliamo che le cose significhino qualche cosa, che non siano slegate, assurde, inerti - senza una voce, senza un messaggio. 

Alla fine mi è sembrato di capire questo: che chi fuggiva a piedi, inseguito, era Pier Paolo Pasolini, il Poeta e colui... e coloro - chi fosse - che gli correvano dietro, non avevano un volto, perchè non sapevano quello che facevano e non sapevano chi era Pasolini. 

Poteva essere qualcuno che lui conosceva o poteva essere qualcuno che ha contribuito a creare la situazione da cui escono poi,  coloro che fanno queste cose. 

Ora, coloro che non sanno chi è - era - Pasolini, colui che non sa, quello che fa, va illuminato. 

Io so che voi sapete chi era Pier Paolo Pasolini e che cosa rappresentava. Però, voglio ripeterlo, voglio ripeterlo ancora anche per consolarmi della sua morte atroce.

Voglio dirvi cioè, che cosa abbiamo perduto noi suoi amici, voi altri e tutto il popolo italiano...

Con Pier Paolo Pasolini noi abbiamo perduto prima di tutto un uomo profondamente buono, mite, gentile dall'animo portato ai migliori sentimenti. Un uomo che odiava la violenza sia per la sua elevatezza intellettuale e sia per i suoi nativi sentimenti - estremamente delicati ed estremamente sottili.

Egli odiava la violenza e purtroppo, la violenza lo ha schiantato.

La perdita di un uomo cosi buono è irreparabile. 

Perchè non dovete credere che la bontà sia una cosa cosi  frequente - la bontà vera accompagnata da un'intelligenza lucida e ferma. 

Ci sono molti buoni, ma un buono come Pasolini, sarà difficile trovarlo, sarà difficile che ritorni sulla terra molto presto.

Poi abbiamo perduto ciò che alcuni dicono il diverso e io dico anche il simile.

Abbiamo perduto il diverso e il simile - lui stesso diceva di essere diverso.

Ma in che senso abbiamo perduto il diverso? 

Abbiamo perduto un uomo coraggioso - molto più coraggioso di molti suoi concittadini e coetanei.

Quest'uomo coraggioso era un diverso, si - e la diversità consisteva nel coraggio di dire la verità o quella che lui credeva la verità e quando si crede di dire la verità, c'è qualche cosa che ce la fa dire soprattutto se si è una persona, come Pasolini, di elevatissima intelligenza e di sentire... molto, molto riguardoso verso il reale. 

Abbiamo perduto dunque, un testimone diverso. 

Perchè diverso, ancora?

Perchè, in un certo modo egli cercava, come dire, di provocare delle reazioni attive e benefiche nel corpo della società italiana.

La sua diversità consisteva proprio in questa sua provocazione benefica dovuta ad una sua assoluta mancanza di calcoli, di compromessi, di prudenza... egli era diverso in quanto era disinteressato.

Poi abbiamo perduto anche il simile. 

Cosa intendo per simile: intendo che lui, era,  ha fatto delle cose, si è allineato nella nostra cultura, accanto ai nostri maggiori scrittori, ai nostri maggiori registi. In questo era simile, cioè era un elemento prezioso di qualsiasi società. 

Qualsiasi società sarebbe stata contenta di avere Pasolini tra le sue file.

Abbiamo perso prima di tutto un poeta. E poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo. 

Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta.

Il poeta dovrebbe esser sacro.

Poi abbiamo perduto anche un romanziere. Il romanziere delle borgate, il romanziere dei ragazzi di vita, della vita violenta. Un romanziere che aveva scritto due romanzi anch’essi esemplari, nei quali, accanto a un’osservazione molto realistica, c’erano delle soluzioni linguistiche, delle soluzioni, diciamo così, tra il dialetto e la lingua italiana che erano anch’esse stranamente nuove.

Poi abbiamo perso un regista che tutti conoscono, no? 

Pasolini fu la lezione dei giapponesi, fu la lezione del cinema migliore europeo. 

Ha fatto poi una serie di film alcuni dei quali sono così ispirati a quel suo realismo che io chiamo romanico, cioè un realismo arcaico, un realismo gentile e al tempo stesso misterioso. Altri ispirati ai miti, il mito di Edipo per esempio. Poi ancora al grande suo mito, il mito del sottoproletariato, il quale era portatore, secondo Pasolini, e questo l’ha spiegato in tutti i suoi film e i suoi romanzi, era portatore di una umiltà che potrebbe riportare a una palingenesi del mondo.

Questo mito lui l’ha illustrato anche per

esempio nell’ultimo film, che si chiama Il fiore delle Mille e una notte. Lì si vede come questo schema del sottoproletariato, questo schema dell’umiltà dei poveri, Pasolini l’aveva esteso in fondo a tutto il Terzo Mondo e alla cultura del Terzo Mondo.

Infine, abbiamo perduto un saggista. Vorrei dire due parole particolari su questo saggista. Ora il saggista era anche quello una nuova attività, e a cosa corrispondeva questa nuova attività? Corrispondeva al suo interesse civico e qui si viene a un altro aspetto di Pasolini. Benché fosse uno scrittore con dei fermenti decadentistici, benché fosse estremamente raffinato e manieristico, tuttavia aveva un’attenzione per i problemi sociali del suo paese, per lo sviluppo di questo paese. Un’attenzione diciamolo pure patriottica che pochi hanno avuto.

Tutto questo l’Italia l’ha perduto, ha perduto un uomo prezioso che era nel fiore degli anni. Ora io dico: quest’immagine che mi perseguita, di Pasolini che fugge a piedi, è inseguito da qualche cosa che non ha volto e che è quello che l’ha ucciso, è un’immagine emblematica di questo Paese. Cioè un’immagine che deve spingerci a migliorare questo Paese come Pasolini stesso avrebbe voluto.

Alberto Moravia 5 novembre 1975

@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare


Curatore, Bruno Esposito

Grazie per aver visitato il mio blog

3 commenti:

  1. Grazie, Bruno Esposito, per la trascrizione della orazione di Moravia alla morte di Pasolini, e per il lavoro appassionato che vai facendo da anni sulla figura e l'opera di Pasolini. Sottolineo dell'orazione il passo in cui Moravia dice che loro che lo hanno ucciso "non sapevano quello che facevano e non sapevano chi era Pasolini". Io, come sai bene, sto lavorando da anni sulla figura e l'opera di Pasolini, e lo faccio sempre a partire dalla sua ultima intervista a Furio Colombo, nella quale Pasolini stronca anticipatamente (lui che anticipava intuitivamente sempre tutti) tutte le tesi del complotto, e indirizza la nostra attenzione sull'esistenza di una moltitudine di umani e specialmente di "giovani infelici" che uccidono "senza mandanti e senza ragione": “Soprattutto il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità. Che bello se mentre siamo qui a parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori. E’ facile, è semplice…” Tuttolibri, 1975.

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    1. Cioa Pasquale, sai che apprezzo molto il tuo lavoro pasoliniano che conosco molto bene. Ti ringrazio del del commento e del gradimento.
      Mi soffermo un attimo sulla frase di Pier Paolo, da te riportata: "Che bello se mentre siamo qui a parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori." - di fatti, fare piani per farci fuori, è già un complotto. Conosco le tue teorie in merito e non le escudo.

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    2. Anche io, Bruno, non escludo per partito preso le altre teorie sulla morte di Pasolini. Un giorno, o una notte, organizzato da qualcuno che non sono io per pochezza di mezzi, si svolgerà un simposio pubblico in forma di discussione, cioè di incontro nel quale ciascuno è disposto a scuotere le proprie e altrui radici. Verrà fuori una verità più reale di quelle finora in campo, e la verità più reale non sta né da una parte né dall'altra, e nemmeno in mezzo, sta in alto, ed è tutta da costruire, ed è inclusiva.

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