"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Manifesto per un nuovo teatro
di Pier Paolo Pasolini
"Nuovi argomenti", n.s., 9, gennaio-marzo 1968
(AI LETTORI)
1) Il  teatro  che  vi  aspettate,  anche  come  totale  novità,  non  potrà  essere  mai  il  teatro  che  vi aspettate. Infatti, se vi aspettate un nuovo teatro, lo aspettate necessariamente nell'ambito delle idee che già avete; inoltre, una cosa che vi aspettate, in qualche modo c'è già. 
5) Oggettivamente, essi sono costituiti nella massima parte da quelli che si definiscono dei "progressisti di sinistra" (compresi quei cattolici che tendono costituire in Italia una Nuova Sinistra): la minoranza di tali gruppi è formata dalle élites sopravviventi del laicismo liberale crociano e dai radicali. Naturalmente, questo elenco è, e vuole essere, schematico e terroristico.
38) Idealmente, il primo teatro che si distingue dal teatro della vita, è di carattere religioso: cronologicamente tale nascita di un teatro come "mistero" non è databile. Ma essa si ripete in tutte le situazioni storiche, o meglio, preistoriche, analoghe. In tutte le "età delle origini" e in tutte le "età oscure" o medioevi. Il primo rito del teatro, come propiziazione, scongiuro, mistero, orgia, danza magica ecc. è dunque un RITO RELIGIOSO.
2 Cantine, vecchi teatri in disuso, secondi canali delle Stabili, ecc.
3 Con candore neofitico.
4 Da Čechov a Ionesco all'orribile Albee.
8 Il testo, insomma, è in ciabatte, mentre l'attore, inconsapevole, è in coturni (per questo in Italia il teatro è impopolare anche presso la borghesia, che non vi riconosce le ciabatte della sua koinè dialettizzata).
11 Ma anche il critico.
14 Balugina qui di nuovo la figura di Hitler, già evocata in altri commi di questo manifesto.
Non c'è nessuno di voi che davanti a un testo o a uno spettacolo resista alla tentazione di dire: "Questo È TEATRO", oppure: "Questo  NON  È  TEATRO"  il  che  significa  che  voi  avete  già  in  testa,  ben  radicata,  una  idea  del TEATRO. Ma le novità, anche totali, come ben sapete, non sono mai ideali, sono sempre concrete. Quindi la loro verità e la loro necessità sono meschine, seccanti e deludenti: o non si conoscono o si discutono riportandole alle vecchie abitudini. 
Oggi, dunque, tutti voi vi aspettate un teatro nuovo, ma tutti ne avete già in testa un'idea, nata in seno al teatro vecchio. Queste note sono scritte sotto la forma di un manifesto, perché ciò che di nuovo esse esprimono si presenti dichiaratamente e magari anche autoritariamente come tale. 
(In tutto il presente manifesto, Brecht non verrà mai nominato. Egli è stato l'ultimo uomo di teatro  che  ha  potuto  fare  una  rivoluzione  teatrale  all'interno  del  teatro  stesso:  e  ciò  perché  ai  suoi tempi  l'ipotesi  era  che  il  teatro  tradizionale  esistesse [e  infatti  esisteva].  Ora,  come  vedremo attraverso i commi del presente manifesto, l'ipotesi è che il teatro tradizionale non esista più[o che stia  cessando  di  esistere].  Ai  tempi  di  Brecht,  si  potevano  dunque  operare  delle  riforme,  anche profonde,  senza  mettere  in  discussione  il  teatro:  anzi,  la  finalità  di  tali  riforme  era  di  rendere  il teatro  autenticamente  teatro.  Oggi,  invece,  ciò  che  si  mette  in  discussione  è  il  teatro  stesso:  la finalità  di  questo  manifesto  è  dunque,  paradossalmente,  la  seguente:  il  teatro  dovrebbe  essere  ciò che il teatro non è. Comunque questo è certo: che i tempi di Brecht sono finiti per sempre.)
(CHI SARANNO I DESTINATARI DEL NUOVO TEATRO) 
2) I destinatari del nuovo teatro non saranno i borghesi che formano generalmente il pubblico teatrale: ma saranno invece i gruppi avanzati della borghesia. 
Queste   tre   righe,   del   tutto   degne   dello   stile   di   un   verbale,   sono   il   primo   proposito rivoluzionario di questo manifesto. Esse significano infatti che l'autore di un testo teatrale non scriverà più per il pubblico che è sempre stato, per definizione, il pubblico teatrale; che va a teatro per divertirsi, e che qualche volta vi è scandalizzato. 
I  destinatari  del  nuovo  teatro  non  saranno  né divertiti  né scandalizzati  dal  nuovo  teatro, perché essi, appartenendo ai gruppi avanzati della borghesia, sono in tutto pari all'autore dei testi.
3) Una signora che frequenta i teatri cittadini, e non manca mai alle principali "prime" di Strehler, di Visconti o di Zeffirelli, è vivamente consigliata a non presentarsi alle rappresentazioni del nuovo teatro. O, se con la sua simbolica, patetica, pelliccia di visone, si presenterà, troverà all'ingresso un cartello su cui c'è scritto che le signore con la pelliccia di visone sono tenute a pagare il biglietto trenta volte più del suo costo normale  (che  sarà  bassissimo).  In  tale  cartello,  al  contrario,  ci  sarà  scritto  che i  fascisti  (purché  inferiori  ai venticinque  anni)  avranno  l'ingresso  gratuito.  E,  inoltre,  vi  si  leggerà  una  preghiera:  di  non  applaudire:  i fischi e le disapprovazioni saranno naturalmente ammessi, ma, al posto degli eventuali applausi sarà richiesta da  parte  dello  spettatore  quella  fiducia  quasi  mistica  nella  democrazia  che  consente  un  dialogo,  totalmente disinteressato e idealistico, sui problemi posti o dibattuti (a canone sospeso!) dal testo.
4)  Per gruppi  avanzati  della  borghesia  intendiamo  le  poche  migliaia  di  intellettuali  di  ogni città il cui interesse culturale sia magari ingenuo, provinciale, ma reale.
5) Oggettivamente, essi sono costituiti nella massima parte da quelli che si definiscono dei "progressisti di sinistra" (compresi quei cattolici che tendono costituire in Italia una Nuova Sinistra): la minoranza di tali gruppi è formata dalle élites sopravviventi del laicismo liberale crociano e dai radicali. Naturalmente, questo elenco è, e vuole essere, schematico e terroristico.
6) Il nuovo teatro non è dunque né un teatro accademico (1) né un teatro d'avanguardia (2). Non  si  inserisce  in  una  tradizione  ma  nemmeno  la  consta.  Semplicemente  la  ignora  e  la scavalca una volta per sempre.  (IL TEATRO DI PAROLA) 
7) Il nuovo teatro si vuol definire, sia pur banalmente e in stile da verbale, "teatro di parola". La  sua  incompatibilità  sia  col  teatro  tradizionale  sia  con  ogni  tipo  di  contestazione  al  teatro tradizionale, è dunque contenuta in questa sua autodefinizione. 
Esso  non  nasconde (3)  di  rifarsi  esplicitamente  al  teatro  della  democrazia  ateniese,  saltando completamente l'intera tradizione recente del teatro della borghesia, per non dire l'intera tradizione moderna del teatro rinascimentale e di Shakespeare.
8) Venite ad assistere alle rappresentazioni del "teatro di parola" con l'idea più di ascoltare che di  vedere  (restrizione  necessaria  per  comprendere  meglio  le  parole  che  sentirete, e  quindi  le  idee, che sono i reali personaggi di questo teatro).
(A COSA SI OPPONE IL TEATRO DI PAROLA) 
9)  Tutto  il  teatro  esistente  si  può  dividere  in  due  tipi:  questi  due  tipi  di  teatro  si  possono definire –  secondo  una  terminologia  seria –  in  diversi  modi,  per  es.:  teatro  tradizionale  e  teatro d'avanguardia; teatro borghese e teatro antiborghese; teatro ufficiale e teatro di contestazione; teatro accademico  e  teatro  dell'underground,  ecc.  ecc.  Ma  a  queste  definizioni  serie  noi  preferiamo  due definizioni  vivaci,  ossia: 
a) teatro della Chiacchiera (accettando dunque la brillante definizione di Moravia),
b) teatro del Gesto o dell'Urlo.
Per  intenderci  subito:  il  teatro  della chiacchiera  è  il  teatro  in  cui  la  chiacchiera,  appunto, sostituisce  la  Parola  (per  es.,  anziché  dire,  senza humour,  senza  senso  del  ridicolo  e  senza  buona educazione, "Vorrei morire", si dice amaramente "Buona sera"); il teatro del Gesto o dell'Urlo, è il teatro dove la parola è completamente dissacrata, anzi distrutta, in favore della presenza fisica pura (cfr. più avanti).
10) Il nuovo teatro si definisce di "Parola" per opporsi quindi: 
I)  al  teatro  della  Chiacchiera,  che  implica  una  ricostruzione  ambientale  e  una  struttura spettacolare naturalistiche, senza cui:
a) gli avvenimenti (omicidi, furti, balletti, baci, abbracci e controscene) sarebbero irrappresentabili;
b) dire "Buona notte" anziché "Vorrei morire" non avrebbe senso perché vi mancherebbero le atmosfere della realtà quotidiana.
II)  Per  opporsi  al  teatro  del  Gesto  o  dell'Urlo,  che  contesta  il  primo  radendone  al  suolo  le strutture naturalistiche e sconsacrandone i testi: ma di cui non può abolire il dato fondamentale, cioè l'azione scenica (che esso porta, anzi, all'esaltazione). Da  questa  doppia  opposizione  deriva  una  delle  caratteristiche  fondamentali  del  "teatro  di parola": ossia (come nel teatro ateniese) la mancanza quasi totale dell'azione scenica. 
La  mancanza  di  azione  scenica  implica  naturalmente la  scomparsa  quasi  totale  della messinscena– luci, scenografia, costumi ecc.: tutto ciò sarà ridotto all'indispensabile (poiché, come vedremo,  il  nostro  nuovo  teatro  non sperimentata,  di  RITO,  e  quindi  un  accendersi  o  uno  spegnersi  di  luci,  a  indicare  l'inizio  o  la  fine della rappresentazione, non potrà non sussistere).
11) Sia il teatro della Chiacchiera (4) che il teatro del Gesto o dell'Urlo (5) sono due prodotti di una stessa civiltà borghese. Essi hanno in comune l'odio per la Parola. 
Il  primo  è  un  rituale  dove  la  borghesia  si  rispecchia,  più  o  meno  idealizzandosi,  comunque sempre riconoscendosi. 
Il  secondo  è  un  rituale  in  cui  la  borghesia  (ripristinando  attraverso  la  propria  cultura antiborghese la purezza di un teatro religioso), da una parte si riconosce in quanto produttrice dello stesso  (per  ragioni  culturali),  dall'altra  prova  il  piacere della  provocazione,  della  condanna  e  dello scandalo (attraverso cui, infine, non ottiene che la conferma delle proprie convinzioni).
12) Esso (il teatro del Gesto o dell'Urlo) è il prodotto dunque dell'anticultura borghese (6) che si pone  in  polemica  con  la  borghesia,  usando  contro  di  essa  lo  stesso  processo,  distruttivo,  crudele  e dissociato, che è stato usato (unendo alla follia la pratica) da Hitler, nei campi di concentramento e di sterminio.
13) Se, sia il teatro del Gesto o dell'Urlo, che il nostro teatro di Parola, sono ambedue prodotti di gruppi culturali antiborghesi della borghesia, in che cosa consiste la differenza tra loro? 
Eccola:  mentre  il  teatro  del  Gesto  o  dell'Urlo  ha  come  destinataria –  magari  assente – la borghesia da scandalizzare (senza la quale esso sarebbe inconcepibile, come Hitler senza di Ebrei, i Polacchi,  gli  zingari  e  gli  omosessuali),  il  teatro  di  Parola,  al  contrario, ha  come  destinatari  gli stessi gruppi culturali avanzati da cui è prodotto.
14)  Il  teatro  del  Gesto  o  dell'Urlo –  nella  clandestinità  dell'underground–  ricerca  coi  suoi destinatari una complicità di lotta o una forma comune di ascesi: esso dunque, tutto sommato, non rappresenta,  per  i  gruppi  avanzati  che  lo  producono  e  lo  fruiscono  come  destinatari,  che  una conferma, rituale, delle proprie convinzioni antiborghesi: la stessa conferma rituale che rappresenta il teatro tradizionale per il pubblico medio e normale con le proprie convinzioni borghesi. 
Al  contrario,  negli  spettacoli  del  teatro  di  Parola,  se  pure  si  avranno  molte  conferme  e verifiche (non per nulla autori e destinatari appartengono alla stessa cerchia culturale e ideologica) ci sarà soprattutto uno scambio di opinioni e di idee, in un rapporto molto più critico che rituale (7).
 (DESTINATARI E SPETTATORI) 
15) Sarà possibile una coincidenza, pratica, tra destinatari e spettatori? 
Noi crediamo che ormai in Italia, i gruppi culturali avanzati della borghesia possano formare anche  numericamente  un  pubblico,  producendo  quindi  praticamente  un  proprio  teatro:  il  teatro  di Parola viene a costituire dunque, nel rapporto tra autore e spettatore, un fatto del tutto nuovo nella storia del teatro. 
E ciò per le seguenti ragioni: 
a) il teatro di Parola è – come abbiamo visto – un teatro reso possibile, richiesto e fruito nella cerchia strettamente culturale dei gruppi avanzati di una borghesia.
b) esso rappresenta, di conseguenza, l'unica strada per la rinascita del teatro in una nazione in cui la borghesia è incapace di produrre un teatro che non sia provinciale e accademico, e la cui classe operaia è assolutamente estranea a questo problema (e quindi la sua possibilità di produrre nel proprio ambito un teatro è soltanto teorica: teorica e retorica, come dimostrano tutti i tentativi di "teatro popolare" che ha cercato di raggiungere direttamente la classe operaia).
c) il teatro di Parola – che, come abbiamo visto, scavalca ogni possibile rapporto con la borghesia, e si rivolge solo ai gruppi culturali avanzati – è il solo che possa raggiungere, non per partito preso o retorica, ma realisticamente, la classe operaia. Essa è infatti unita da un rapporto diretto con gli intellettuali avanzati. È questa una nozione tradizionale e ineliminabile dell'ideologia marxista e su cui sia gli eretici che gli ortodossi non possono non essere d'accordo, come su un fatto naturale.
16)  Non  fraintendete.  Non  è  un  operaismo  dogmatico,  stalinista,  togliattiano,  o  comunque conformista, che viene qui rievocato.
Viene   rievocata   piuttosto   la   grande   illusione   di   Majakovskij,   di   Esenin,   e   degli   altri commoventi  e  grandi  giovani  che  hanno  operato  con  loro  in  quel  tempo.  Ad  essi  è  idealmente dedicato  il  nostro  nuovo  teatro.  Niente  operaismo  ufficiale,  dunque:  anche  se  il  teatro  di  Parola andrà coi suoi testi (senza scene, costumi, musichette, magnetofoni e mimica) nelle fabbriche e nei circoli culturali comunisti, magari in stanzoni con le bandiere rosse del '45.
17) Leggete i precedenti commi 15 e 16 come i commi fondamentali del presente manifesto.
18)  Il  teatro  di  Parola,  che  attraverso  questo  manifesto  si  va definendo,  è  dunque  anche  una impresa pratica.
19)  Non  è  escluso  che  il  teatro  di  Parola  esperimenti  anche  degli  spettacoli  esplicitamente dedicati  a  destinatari  operai:  ma  ciò,  appunto,  in  via  sperimentale,  perché  il  solo  modo  giusto  per implicare la presenza operaia in tale teatro, è quello indicato al punto c del comma 15.
20) I programmi del teatro di Parola – costituito in impresa o iniziativa – non avranno perciò un  ritmo  normale.  Non  ci  saranno  anteprime,  prime  o  repliche.  Si  prepareranno  due  o  tre rappresentazioni alla volta, che verranno date contemporaneamente nella sede propria del teatro, e nei luoghi (fabbriche, scuole, circoli culturali) dove i gruppi culturali avanzati, cui il teatro di Parola si rivolge, hanno la loro sede.
(PARENTESI LINGUISTICA: LA LINGUA) 
21) Che lingua parlano questi "gruppi culturali avanzati" della borghesia? Parlano – come ormai quasi tutta la borghesia – l'italiano, cioè una lingua convenzionale, la cui convenzionalità, però, non si è fatta "da sola",  per  un  naturale  accumularsi  di  luoghi  comuni  fonologici:  ossia  per  tradizione  storica,  politica, burocratica,  militare,  scolastica  e  scientifica,  oltre  che  letteraria.  La  convenzionalità  dell'italiano  è  stata stabilita  in  un  dato  momento,  astratto  (mettiamo  il  1870)  e  dall'altro  (prima  dalle  corti,  su  un  piano esclusivamente  letterario  e  in  piccola  parte  diplomatico,  poi  dai  piemontesi  e  dalla  prima  borghesia risorgimentale, sul piano statale).
Dal  punto  di  vista  della  lingua  scritta,  tale  imposizione  autoritaria  può  apparire  anche  inevitabile, seppure  artificiale  e  puramente  pratica.  Infatti  si  è  avuta  una  indubbia  omologazione  dell'italiano  scritto in tutta  la  nazione  (geograficamente  e  socialmente).  Ma  per  l'italiano  orale l'accettazione dell'imposizione nazionalistica  e  della  necessità  pratica,  è  stata  semplicemente  impossibile.  Nessuno  del  resto  può  essere insensibile  al  ridicolo  della  pretesa  che  una  lingua soltanto  letteraria,  venga  imposta  attraverso norme fonetiche artificiali e dotte, a un popolo di analfabeti (nel 1870 gli analfabeti erano più del novanta per cento della popolazione). Ed è comunque un fatto che se un italiano oggi scrive una frase la scrive allo stesso modo in  qualsiasi  punto  geografico  o  a  qualsiasi  livello  sociale  della  nazione,  ma  se  la dice la dice in un modo diverso da quello di qualsiasi altro italiano.
(PARENTESI   LINGUISTICA:   LA   CONVENZIONALITÀ   DELLA   LINGUA   ORALE   E   LA CONVENZIONALITÀ DELLA DIZIONE TEATRALE) 
22) Il teatro tradizionale ha accettato questa convenzionalità dell'italiano orale, emanata, per così dire, per  editto.  Ha  accettato,  cioè,  un  italiano  che  non  esiste.  Su  tale  convenzionalità,  ossia  sul  nulla, sull'inesistente,  sul  morto,  essa  ha  fondato  la  convenzionalità  della  dizione.  Il  risultato  è  ripugnante. Soprattutto quando il teatro puramente accademico si presenta sotto la specie più "moderna" del teatro della Chiacchiera.  Per  esempio  il  "Buona  sera"  che  nel  nostro  esempio  sostituisce  il  "Vorrei morire"  che  non  si dice,  ha,  nella  reale  vita  dell'italiano  orale,  tanti  aspetti  fonetici  quanti  sono  i  gruppi  reali  d'italiani  che  lo pronunciano.  Ma  in  teatro  ha  una  sola  pronuncia  (usata  unicamente  nella  dizione  degli  attori).  In  teatro dunque  si  pretende  di  "chiacchierare"  in  un  italiano  in  cui  in  realtà  nessuno  chiacchiera  (nemmeno  a Firenze) (8).
23)  Quanto  al  teatro  di  contestazione  (che  qui  chiamiamo  del  Gesto  o  dell'Urlo)  il  problema  della lingua orale o non si pone, o si pone solo come problema secondario. In tale teatro, infatti, la parola integra, in  posizione  ancillare,  la  presenza  fisica.  E  adempie,  poi,  questo  suo  ufficio,  generalmente,  attraverso  una semplice contraffazione dissacrante – tende cioè ad imitare il gesto, e a essere quindi pregrammaticale, fino a farsi, appunto, interiettiva: gemito, versaccio o urlo. Quando semplicemente non si limiti a fare la caricatura della convenzionalità teatrale (fondata sulla convenzionalità impossibile dell'italiano orale).
24)  Il  teatro  della  Chiacchiera,  avrebbe  in  Italia  uno  strumento  ideale:  il  dialetto  e  la koinédialettizzata (9).  Ma  esso  non  usa  tale  strumento  in  parte  per  ragioni  pratiche,  in  parte  per  provincialismo,  in parte per incolto estetismo, in parte per servilismo verso la tendenza nazionalistica dei suoi destinatari.
(PARENTESI LINGUISTICA: IL TEATRO DI PAROLA E L'ITALIANO ORALE) 
25) Il teatro di Parola esclude tuttavia, nella sua autodefinizione., il dialetto e la koiné dialettizzata. O, se li include, li include in via eccezionale e in una accezione tragica che li pone a livello della lingua colta.
26)  Il  teatro  di  Parola,  quindi,  prodotto  e  fruito  dai  gruppi  avanzati  della  nazione,  non  può  che accettare  di scrivere dei testi in quella lingua convenzionale che è l'italiano  scritto  e  letto  (e  solo saltuariamente assumere i dialetti, puramente orali, al livello della lingue scritte e lette).
27)  Naturalmente, il teatro di Parola deve accettare anche la convenzionalità dell'italiano orale: dal momento che i suoi testi sono scritti anche per essere rappresentati, ossia, nella fattispecie, e per definizione, detti.
28) Si tratta evidentemente di una contraddizione: 
a) poiché in questo caso specifico (ed essenziale) il teatro di Parola si comporta proprio come il più abbietto teatro borghese, accettando una convenzionalità che non esiste: ossia l'unità di un italiano orale che nessun italiano reale parla;
b) perché mentre il teatro di Parola, vuol scavalcare la borghesia, rivolgendosi ad altri destinatari (intellettuali e operai), nel tempo stesso eccolo che accetta di essere avviluppato alla borghesia: perché solo attraverso lo sviluppo dell'attuale società borghese, è pensabile che si possano riempire le "tappe vuote" della formazione di una convenzionalità fonetica – storica – dell'italiano, e raggiungere quell'unità di lingua orale che per ora è astratta e autoritaria.
29)  Come  risolvere  questa  contraddizione?  Prima  di  tutto,  evitando  ogni  purismo  di  pronuncia. L'italiano orale dei testi del teatro di Parola deve essere omologato fino al punto in cui resta reale: ossia fino al limite tra la dialettizzazione e il canone pseudo-fiorentino, senza mai superarlo.
30) Perché tale convenzionalità linguistica teatrale fondata su una convenzionalità fonetica reale (cioè l'italiano  dei  sessanta  milioni  di  eccezioni  fonetiche)  non  divenga  una  nuova  accademia,  è sufficiente: 
a) avere continuamente coscienza del problema (10);
b) restare fedeli ai principi del teatro di Parola: ossia a un teatro che sia prima di tutto dibattito, scambio di idee, lotta letteraria e politica, sul piano più democratico e razionale possibile: quindi a un teatro attento soprattutto al significato e al senso, ed escludente ogni formalismo, che, sul piano orale, vuol dire compiacimento ed estetismo fonetico.
31) Tutto ciò richiede la fondazione di una vera e propria scuola di rieducazione linguistica; che ponga le  basi  della  recitazione  del  teatro  di  Parola:  una  recitazione  il  cui  oggetto  diretto  non  sia  la  lingua,  ma  il significato delle parole e il senso dell'opera.
Uno  sforzo  totale,  insieme  di  acume  critico  e  di  sincerità,  che  comporta  una  revisione  completa dell'idea di sé che ha l'attore.
(I DUE TIPI ESISTENTI DI ATTORE) 
32)  Che  cos'è  il Teatro?  "IL  TEATRO  È  IL  TEATRO".  Questa  è  la  risposta  di  tutti,  oggi:  il teatro è dunque oggi inteso come "qualcosa" o meglio "qualcos'altro" che si può spiegare solo con se stesso, e che può essere intuito solo carismaticamente. 
L'attore (11)  è  la  prima  vittima  di  questa  specie  di  misticismo  teatrale,  che  fa  di  lui  spesso  un personaggio ignorante, presuntuoso e ridicolo.
33)  Ma,  come  abbiamo  visto,  il  teatro  di  oggi è  di  due  tipi:  il  teatro  borghese  e  il  teatro borghese antiborghese. Sono di due tipi, quindi, anche gli attori. Osserviamo prima gli attori del teatro borghese. 
Il  teatro  borghese  trova  la  sua  giustificazione  (non  in  quanto  testo  ma  in  quanto  spettacolo) nella vita di società: è un fasto della gente ricca e perbene, che ha anche il privilegio della cultura (12).
Ora, un simile teatro è in crisi: perciò è costretto a prendere coscienza della sua condizione, a riconoscere le ragioni che lo respingono dal centro di una vita di società ai margini, come qualcosa di superato e di sopravvivente.
Una  diagnosi  che  non  gli  è  stata  difficile:  il teatro  tradizionale  ha  ben  presto  capito  che  un nuovo  tipo  di  società,  immensamente  appiattita  e  allargata,  le  masse  piccolo  borghesi,  lo  hanno sostituito con due tipi di avvenimenti sociali molto più adatti e moderni: il cinema e la televisione. Non  gli  è  stato  neanche  difficile  capire  che  qualcosa  di  irreversibile  è  accaduto  nella  storia  del teatro: il demos ateniese e le élites del vecchio capitalismo sono dei remoti ricordi. I tempi di Brecht sono finiti per sempre!
Il teatro tradizionale è dunque venuto a trovarsi in uno stato di deperimento storico, che gli ha creato  intorno,  da  una  parte,  un'atmosfera  di  conservazione  miope  quanto  accanita,  e  dall'altra un'aria di rimpianto e di speranze infondate. Anche  questo  è  un  fatto  che  il  teatro  tradizionale  ha  saputo  (più  o  meno  confusamente) diagnosticare.
Ciò che il teatro tradizionale non ha saputo diagnosticare neppure fino a un primo barlume di coscienza è ciò che esso è. Esso si definisce Teatro e basta. Anche il più sciatto e mestierante degli attori,  davanti  al  più  vecchio  e  spelacchiato  dei  pubblici  borghesi,  sente  vagamente  di  non partecipare  più  a  un  avvenimento  sociale,  trionfante  e  del  tutto  giustificato,  e  perciò  spiega  la  sua presenza e la sua prestazione (così poco richiesta) come un atto mistico: una "messa teatrale", in cui il Teatro  appare  in  una  luce  così  abbagliante  da  accecare  completamente:  infatti,  come  tutti  i  falsi sentimenti, esso produce una coscienza intransigente, demagogica e quasi terroristica, della propria verità.
34) Vediamo ora il secondo tipo di attore, quello del teatro borghese antiborghese, del Gesto o dell'Urlo. Tale teatro ha, come abbiamo già visto, le seguenti caratteristiche:
a) si rivolge a destinatari borghesi colti coinvolgendoli nella propria scatenata e ambigua protesta antiborghese;
b) cerca le sedi dove dare i propri spettacoli fuori dalle sedi ufficiali;
c) rifiuta la parola, e dunque le lingue delle classi dirigenti nazionali, in favore o di una parola contraffatta e diabolica o del puro e semplice gesto, provocatorio, scandaloso, incomprensibile, osceno, rituale.
Qual  è  la  ragione  di  tutto  questo?  La  ragione  di  tutto  questo  è  una  diagnosi  inesatta  ma ugualmente efficace di ciò che è diventato, o semplicemente, è, il teatro. E cioè? IL TEATRO È IL TEATRO, ancora. Ma mentre per il teatro borghese questa non è che una tautologia che implica un ridicolo e tronfio misticismo, per il teatro antiborghese questa è una vera e propria – e cosciente –definizione della sacralità del teatro.
Tale  sacralità  del  teatro  si  fonda  sulla  ideologia  della  rinascita  di  un  teatro  primitivo, originario, compiuto come rito propiziatorio o meglio, orgiastico (13). Si tratta di un'operazione tipica della  cultura  moderna:  per  cui  una  forma  di  religione  cristallizza  l'irrazionalità  del  formalismo  in qualcosa  che  nasce  come  inautentico  (ossia  per  estetismo)  e  diviene  autentico  (ossia  un  vero  e proprio tipo di vita come pragma fuori e contro la pratica) (14).
Ora in alcuni casi, tale religiosità arcaica ripristinata per rabbia contro il laicismo cretino della civiltà  dei  consumi,  finisce  appunto  col  diventare  una  forma  di  autentica  religiosità  moderna  (che non  ha  nulla  a  che  fare  con  gli  antichi  contadini,  e  molto  invece  con  la  moderna  organizzazione industriale  della  vita).  Si  pensi, a  proposito  del  Living  Theatre,  alla  collegialità  quasi  da  ordine monacale, al "gruppo" che sostituisce i gruppi tradizionali come la famiglia, ecc., alla droga come protesta, al "droping out" o autoesclusione, però come forma di violenza, almeno gestuale e verbale, e insomma allo spettacolo quasi come un caso di sedizione, o, – così oggi usa dire – di guerriglia.
Nella  maggior  parte  dei  casi  però  una  simile  concezione  del  teatro, finisce  con  l'essere  la stessa tautologia del teatro borghese, obbedendo alle stesse inevitabili regole (15). La religione, cioè, da forma di vita che si realizza nel teatro, diviene semplicemente "la religione del teatro". E da tale genericità  culturale,  da  tale  estetismo  di  second'ordine,  l'attore  in  gramaglie e  drogato,  è  reso ridicolo come l'attore integrato, in doppio petto, che lavora anche per la televisione.
(L'ATTORE DEL TEATRO DI PAROLA) 
35) Sarà dunque necessario che l'attore del "teatro di parola", in quanto attore, cambi natura: non dovrà più sentirsi, fisicamente, portatore di un verbo che trascenda la cultura in una idea sacrale del teatro: ma dovrà semplicemente essere un uomo di cultura.
Egli non dovrà più, dunque, fondare la sua abilità sul fascino personale (teatro borghese) o su una  specie  di  forza  isterica  e  medianica  (teatro  antiborghese)  sfruttando  demagogicamente  il desiderio  di  spettacolo  dello  spettatore  (teatro  borghese),  o  prevaricando  lo  spettatore  attraverso l'imposizione  implicita  del  farlo  partecipare  a  un  rito  sacrale  (teatro  antiborghese).  Egli  dovrà piuttosto fondare la sua abilità sulla sua capacità di comprendere veramente il testo (16). E non essere dunque interprete in quanto portatore di un messaggio (il Teatro!) che trascende il testo: ma essere veicolo vivente del testo stesso.
Egli dovrà rendersi trasparente sul pensiero: e sarà tanto più bravo quanto più, sentendolo dire il testo, lo spettatore capirà che egli ha capito. 
(IL "RITO" TEATRALE) 
36) Il teatro è comunque, in ogni caso, in ogni tempo e in ogni luogo, un RITO.
37)  Semiologicamente  il  teatro  è  un  sistema  di  segni  i  cui  segni,  non  simbolici  ma  iconici, viventi,  sono  gli  stessi  segni  della  realtà.  Il  teatro  rappresenta  un  corpo per  mezzo  di  un  corpo, un oggetto per mezzo di un oggetto, un'azione per mezzo di un'azione.
Naturalmente il sistema di segni del teatro ha dei suoi codici particolari, a livello estetico. Ma a livello puramente semiologico esso non si differenzia (come il cinema) dal sistema di segni della realtà.
L'archetipo semiologico del teatro è dunque lo spettacolo che si svolge ogni giorno davanti ai nostri  occhi  e  alla  portata  delle  nostre  orecchie,  per  strada,  in  casa,  nei  ritrovi  pubblici,  ecc.  In  tal senso la realtà sociale è una rappresentazione che non è priva del tutto della coscienza di esserlo, e ha dunque i suoi codici (regole di buona educazione, di comportamento, tecniche corporali, ecc.): in una parola essa non è priva del tutto della coscienza della propria ritualità.
Il rito archetipo del teatro è dunque un RITO NATURALE.
38) Idealmente, il primo teatro che si distingue dal teatro della vita, è di carattere religioso: cronologicamente tale nascita di un teatro come "mistero" non è databile. Ma essa si ripete in tutte le situazioni storiche, o meglio, preistoriche, analoghe. In tutte le "età delle origini" e in tutte le "età oscure" o medioevi. Il primo rito del teatro, come propiziazione, scongiuro, mistero, orgia, danza magica ecc. è dunque un RITO RELIGIOSO.
39)  La  democrazia  ateniese  ha  inventato  il  più  grande  teatro  del  mondo –  in  versi –, istituendolo come RITO POLITICO.
40) La borghesia – insieme alla sua prima rivoluzione, la rivoluzione protestante – ha creato invece  un  nuovo  tipo  di  teatro  (la  cui  storia  comincia  forse  col  teatro  dell'arte,  ma  certamente  col teatro elisabettiano e il teatro del periodo d'oro spagnolo, e giunge fino a noi). Nel teatro inventato dalla   borghesia   (subito   realistico,   ironico,   avventuroso,   d'evasione,   e,   come   diremmo   oggi qualunquista – anche se si tratta di Shakespeare o di Calderón), la borghesia celebra il più alto dei suoi  fasti  mondani –  che  è  anche  poeticamente  sublime,  almeno  fino  a Čechov,  cioè  fino  alla seconda  rivoluzione  borghese,  quella  liberale.  Il  teatro  della  borghesia,  è  dunque  un  RITO SOCIALE.
41)  Col  declino  della  "grandezza  rivoluzionaria"  della  borghesia  (a  meno  che –  forse giustamente –  non  si  voglia  considerare  "grande"  la  sua  terza  rivoluzione,  quella  tecnologica),  è declinata  anche  la  grandezza  di  quel  RITO  SOCIALE  che  è  stato  il suo  teatro.  Sicché  se  da  una parte tale rito sociale sopravvive, a cura dello spirito conservatore borghese, dall'altra parte esso sta acquistando  una  coscienza  nuova  della  propria  ritualità.  Coscienza  che  sembra  essere  del  tutto acquisita – come abbiamo visto – dal teatro borghese antiborghese, che, infuriando contro il teatro ufficiale  della  borghesia  e  la  borghesia  stessa,  prende  di  mira  soprattutto  la  sua  ufficialità,  il  suo establishment, ossia la sua mancanza di religione. Il teatro dell'underground– come abbiamo detto – cerca di recuperare le origini religiose del teatro, come mistero orgiastico e violenza psicagogica: tuttavia in una simile operazione, l'estetismo non filtrato dalla cultura, fa sì che il reale contenuto in tale religione sia il teatro stesso, così come il mito della forma è il contenuto di ogni formalismo. Non  si  può  dire  che  la  religione  violenta,  sacrilega,  oscena,  dissacrante-consacrante  del  teatro  del Gesto  o  dell'Urlo,  sia  priva  di  contenuto  e  inautentica,  perché  è  riempita  talvolta  da  un'autentica religione del teatro.
Il rito di tale teatro è dunque un RITO TEATRALE.
(IL TEATRO DI PAROLA E IL RITO) 
42) Il teatro di Parola non riconosce come proprio nessuno dei riti qui elencati. Si rifiuta con rabbia, indignazione e nausea, di essere un RITO TEATRALE, cioè di obbedire alle   regole   di   una   tautologia   nascente   da   uno   spirito   religioso   archeologico,   decadente   e culturalmente generico, facilmente integrabile dalla borghesia attraverso lo stesso scandalo che esso vuole suscitare. 
Si  rifiuta  di essere  un  RITO  SOCIALE  della  borghesia:  anzi,  non  si  rivolge  nemmeno  alla borghesia e la esclude, chiudendole le porte in faccia. 
Non può essere il RITO POLITICO dell'Atene aristotelica, con i suoi "molti" che erano poche decine di migliaia di persone: e tutta la città era contenuta nel suo stupendo teatro sociale all'aperto. 
Non  può  essere  infine  RITO  RELIGIOSO,  perché  il  nuovo  medioevo  tecnologico  pare escluderlo, in quanto antropologicamente diverso da tutti i precedenti medioevi... 
Rivolgendosi a destinatari di "gruppi culturali avanzati della borghesia", e, quindi, alla classe operaia più cosciente, attraverso testi fondati sulla parola (magari poetica) e su temi che potrebbero essere tipici di una conferenza, di un comizio ideale o di un dibattito scientifico – il teatro di Parola nasce ed opera totalmente nell'ambito della cultura. 
Il suo rito non si può definire dunque altrimenti che RITO CULTURALE.
(RIEPILOGO)
43) Riepilogando dunque: Il teatro di Parola è un teatro completamente nuovo, perché si rivolge a un nuovo tipo di pubblico, scavalcando del tutto e per sempre il pubblico borghese tradizionale.
(RIEPILOGO)
43) Riepilogando dunque: Il teatro di Parola è un teatro completamente nuovo, perché si rivolge a un nuovo tipo di pubblico, scavalcando del tutto e per sempre il pubblico borghese tradizionale.
La  sua  novità  consiste  nell'essere,  appunto,  di  Parola:  nell'opporsi,  cioè,  ai  due  teatri  tipici della borghesia, il teatro della Chiacchiera o il teatro del Gesto o dell'Urlo, che sono ricondotti a una sostanziale unità: 
a) dallo stesso pubblico (che il primo diverte, il secondo scandalizza),
b) dal comune odio per la parola, (ipocrita il primo, irrazionalistico il secondo).
Il teatro di Parola ricerca il suo "spazio teatrale" non nell'ambiente ma nella testa.
Tecnicamente  tale  "spazio  teatrale"  sarà  frontale;  testo  e  attori  di  fronte  al  pubblico: l'assoluta  parità  culturale  tra  questi  due  interlocutori,  che  si  guardano  negli  occhi,  è  garanzia  di reale democraticità anche scenica.
Il  teatro  di  Parola  è  popolare  non  in  quanto  si  rivolge  direttamente  o  retoricamente  alla classe  lavoratrice,  ma  in  quanto  vi  si  rivolge  indirettamente  e  realisticamente  attraverso  gli intellettuali borghesi avanzati che sono il suo solo pubblico.
Il teatro di Parola non ha alcun interesse spettacolare, mondano ecc.: il suo unico interesse è l'interesse  culturale,  comune  all'autore,  agli  attori  e  agli  spettatori;  che,  dunque,  quando  si radunano, compiono un "rito culturale".
Note:
1 Antichi o moderni teatri con le poltrone di velluto. Compagnie teatrali, Stabili (Piccolo Teatro) ecc.
Note:
1 Antichi o moderni teatri con le poltrone di velluto. Compagnie teatrali, Stabili (Piccolo Teatro) ecc.
2 Cantine, vecchi teatri in disuso, secondi canali delle Stabili, ecc.
3 Con candore neofitico.
4 Da Čechov a Ionesco all'orribile Albee.
5 Lo stupendo Living Theatre.
6 Da Artaud al Living Theatre, soprattutto, e a Grotowski, tale teatro ha dato prove assai alte.
7 Non è detto, certo, che gli stessi gruppi culturali avanzati siano qualche volta scandalizzati e soprattutto delusi. Specie quando i testi siano a canone sospeso, cioè pongano i problemi, senza pretendere di risolverli.
8 Il testo, insomma, è in ciabatte, mentre l'attore, inconsapevole, è in coturni (per questo in Italia il teatro è impopolare anche presso la borghesia, che non vi riconosce le ciabatte della sua koinè dialettizzata).
9 Infatti gli unici casi in cui in Italia il teatro è tollerabile, sono quelli in cui gli attori parlano o il dialetto (il teatro regionale, specie quello veneto o quello napoletano, col grande De Filippo) o la koinè dialettizzata (il teatro di cabaret). Purtroppo però, generalmente, là dove c'è dialetto o koinè dialettizzata ci sono quasi sempre qualunquismo e volgarità.
10 Nessun uomo di teatro italiano (c'è qualche eccezione, mettiamo Dario Fo) si è mai posto finora questo problema, e ha  sempre  preso  per  buona  la  identificazione  tra  convenzionalità  orale  dell'italiano  e  convenzionalità  della  dizione teatrale, appresa dai più spelacchiati, ignoranti e esaltati maestri accademici. C'è il caso straordinario di Carmelo Bene, il cui teatro del Gesto o dell'Urlo, è integrato da parola teatrale che dissacra, e, per dirla tutta, smerda se stessa.
11 Ma anche il critico.
12 Almeno quella ufficiale, nata dal privilegio di andare a scuola.
13 Dioniso...
14 Balugina qui di nuovo la figura di Hitler, già evocata in altri commi di questo manifesto.
15 Il teatro antiborghese non potrebbe esistere: a)  senza  il  teatro  borghese  da  contestare  e  massacrare  (questo  è  il  suo principale scopo); b) senza un pubblico borghese da scandalizzare, sia pure per interposta persona.
16 Cosa che fanno, con molta buona volontà e spesso con buona fede, tutti gli attori seri: con deboli risultati critici, però. Infatti essi sono ottenebrati dall'idea tautologica del teatro, che implica materiali e stili storicamente diversi da quelli del testo preso in esame (se si tratta di un testo anteriore a Čechov o posteriore a Ionesco).
 
Nessun commento:
Posta un commento