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giovedì 17 febbraio 2022

Pasolini in tribunale a Venezia - «"Teorema" è un'opera scandalosa ma soltanto in senso ideologico» La Stampa, 10 novembre 1968

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Pasolini in tribunale a Venezia
«"Teorema" è un'opera scandalosa ma soltanto in senso ideologico» 

 La Stampa, 10 novembre 1968

Pasolini in tribunale a Venezia difende il suo film «"Teorema" è un'opera scandalosa ma soltanto in senso ideologico» Il regista ha detto che le scene incriminate vanno viste alla luce di un racconto simbolico - I rapporti erotici dei personaggi sono l'unico modo di comunicazione autentica La pellicola è stata proiettata ieri mattina in un cinema veneziano per giudici e difensori 

(Dal nostro corrispondente) 

Venezia, 9 novembre. 

Denunciato, a Roma, dall'avvocato Enrico Biamonti, e citato a comparire a Venezia, in tribunale, per difendersi, e difendere il suo film Teorema dall'imputazione di oscenità in alcune scene, Pier Paolo Pasolini, questa mattina, ha assistito, accanto agli avvocati romani Adolfo Gatti ed Emanuele Golini, suoi difensori, al film incriminato. Nella sala del cinema veneziano erano i tre giudici (in platea) e il pubblico ministero Luigi Weiss (in galleria). Dopo la proiezione Pasolini, dal banco degli imputati in tribunale, ha risposto per un'ora al presidente Giuseppe Toti e ai giudici Achille Gradelli ed Enrico Franciosi, parlando un po' di se stesso e giustificando i punti ritenuti osceni del suo Teorema. Al giudice il regista ha detto: 

«Ritengo che neppure isolate, staccate dal contesto, per il quale sono essenziali e necessarie, le scene incriminate siano oscene». 

La frase, più tardi, in una risposta al pubblico accusatore, ha avuto una aggiunta: 

« ... Forse inutili, forse brutte ». 

Pasolini, ricordato che esiste l'alienazione, aveva all'inizio spiegato le intenzioni del suo Teorema con queste parole: 

«Il mondo contemporaneo mi costringe a vivere in uno stato di inautenticità che vedo con occhio pietoso, come mostrano le scene iniziali: è constatazione e non condanna. In questo mondo di inautenticità vedo misterioso l'autentico. Il rapporto tra autentico e inautentico è per contraddizione impossibile in termini logici, usuali, quotidiani. Cioè, sul piano della comunicazione linguistica il giovane ospite (nel film) non avrebbe potuto farsi capire, penetrare nell'anima dei protagonisti. Infatti, non parla, non li convince con le parole. E allora c'è con loro un rapporto d'amore ed è per questo che tutto il film è simbolico. I protagonisti con cui il giovane s'è messo in rapporto, quando lui se ne va via, sono completamente trasformati. Tuttavia, sia pure in misura diversa, non sono capaci di concepire l'autenticità che è venuta loro. Quindi l'irruzione della cultura nel mondo autentico li mette in crisi, crisi che tuttavia è una forma di salvezza». 

Questo Teorema secondo Pasolini. Quanto alla difesa delle scene incriminate fatta da Pasolini, il Tribunale ha appreso che il regista non le ha mai concepite, né poi viste, come erotiche, scandalose, oscene e neppure impudiche, ma essenziali e necessarie al contesto di un film allegorico, e non naturalistico. Quando il presidente gli ha chiesto se ritenesse funzionale anche la scena dell'incontro tra la protagonista e un giovane da essa adescato in strada, Pasolini ha risposto 

« Se non avesse avuto un particolare violento, ma non imbarazzante, la scena sarebbe stata priva di quell'emozione, di quella forza che era necessaria per raccontare il caso di questa donna in relazione alla sua ripresa spirituale» 

(la donna, dopo avere adescato alcuni giovani cerca infatti rifugio e riscatto in una chiesa). 

In un'altra scena accusata c'è il padre di famiglia che vacilla, alla stazione, davanti a un giovanotto seduto. Alla richiesta di risposte che illuminino, Pasolini ha questo da dire: 

«I calzoni attillati non glieli ho imposti io. Venisse vestito come voleva. A me interessava l'espressione, la faccia. Non aveva tratti volgari. Lui, in Vangelo secondo Matteo, era stato un apostolo. Durante la ripresa gli dissi soltanto " Alzati e cammina". Luì non sapeva nemmeno di che cosa sì trattasse. L'operatore non aveva istruzioni particolari sul punto (che non era sempre il viso) su cui puntare, far indugiare l'obbiettivo ». 

Poi: 

« Mi sono sentito più vicino a me stesso facendo il film che quando scrìssi il libro ». 

Questo, dopo che il presidente gli aveva chiesto spiegazioni sulla frase, scritta nella presentazione al libro nella quale Pasolini afferma che l'opera non gli è riuscita scandalosa quanto lui la intendeva («scandalosa», ha specificato oggi Pasolini, in senso estetico, ideologico, non erotico). Con Pasolini è imputato il produttore del film, Donato Leoni, che oggi all'udienza non c'era. Il cancelliere si chiama Destino. 

Prossima udienza il 23 novembre



Curatore, Bruno Esposito

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