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martedì 29 dicembre 2020

Vi odio cari studenti La tavola rotonda organizzata dall’”Espresso” il 16 giugno 1968 sulla poesia di Pier Paolo Pasolini ll Pci ai giovani

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


Ritaglio prima pagina 


Vi odio cari studenti 
La tavola rotonda organizzata dall’”Espresso” 
il 16 giugno 1968 sulla poesia 
di Pier Paolo Pasolini ll Pci ai giovani


Al dibattito, diretto da Nello Ajello, parteciparono, oltre a Pasolini, Vittorio Foa all'epoca segretario della Cgil, Claudio Petruccioli segretario nazionale della Fgci e due delegati del Movimento studentesco.

L’argomento di questo dibattito è una poesia di Pier Paolo Pasolini dal titolo “Il Pci ai giovani”, che pubblichiamo in questa stessa pagina e che uscirà fra una decina di giorni su “Nuovi Argomenti”. Al dibattito, diretto da Nello Ajello, partecipano, oltre a Pasolini, l’on. Vittorio Foa segretario della Cgil, e Claudio Petruccioli, segretario nazionali della Federazione giovanile comunista.

Due delegati del movimento studentesco, da noi invitati nella sede dell’“Espresso” per partecipare a questa tavola rotonda, si sono limitati a leggere una dichiarazione in risposta alla poesia di Pasolini, rinunciando per il resto a intervenire nella discussione. Ecco la loro dichiarazione.
Primo studente. A parere del movimento studentesco, un discorso ed un’azione politica rivoluzionaria dovrebbero svolgersi non nella sede dell’“Espresso”, ma sulle barricate e nelle fabbriche occupate. Il movimento studentesco è, pertanto, dispostissimo ad incontrarsi con Pasolini ma nelle sedi per cui passano il discorso e l’azione politica rivoluzionaria.
Secondo studente. Abbiamo deciso di non infierire su Pasolini dato che la sua poesia è stata smentita dalla storia. Tuttavia pensiamo che Pasolini, prima di scriverne un’altra, debba conoscere un po’ meglio i giovani di cui parla, andando per esempio sulle barricate (le occasioni non mancano, in tutta l’Europa), oppure leggere qualche riga. Citeremo un classico, per brevità, perché i classici sono chiari e risparmiano parole inutili. Lenin, ai primi del secolo, scriveva nel “Che fare? ”: «La dottrina del socialismo è sorta da quelle teorie filosofiche, storiche, economiche, che furono elaborate dai rappresentanti colti delle classi possidenti, gli intellettuali.
Dal punto di vista della posizione sociale, i fondatori del socialismo scientifico contemporaneo, Marx e Engels, erano degli intellettuali borghesi. Anche in Russia, la dottrina teorica della socialdemocrazia sorse del tutto indipendentemente dallo sviluppo spontaneo del movimento operaio. Essa sorse come risultato naturale e fatale dello sviluppo del pensiero tra gli intellettuali socialisti rivoluzionari. Nell’epoca della quale ci occupiamo, cioè verso il 1895, non soltanto questa dottrina ispirava completamente di sé il programma del gruppo “Emancipazione del lavoro”, ma aveva conquistato la maggioranza della gioventù rivoluzionaria della Russia».
Vorremmo inoltre che Pasolini rivolgesse speciale attenzione a questa frase: «Avevamo dunque contemporaneamente un risveglio spontaneo delle masse operaie, risveglio alla vita ed alla lotta cosciente, e la presenza di una gioventù rivoluzionaria che, armata della teoria socialdemocra- tica, nutriva il desiderio ardente di avvicinarsi agli operai». Qui finisce la citazione.
Quanto ai poliziotti, beh, Pasolini dovrebbe sapere che cos’è lo Stato. E se non lo sa, dovrebbe leggersi “Stato e rivoluzione”, di Lenin, dove si spiega abbastanza chiaramente come fa un’infima minoranza di sfruttatori a dominare più classi sfruttate. E a questo punto, i rappresentanti del Movimento debbono alzarsi, perché hanno da fare all’Apollon, che è una fabbrica occupata. Ci stanno aspettando.



Ajello. 
La poesia di Pasolini chiama in causa il movimento studentesco, la classe operaia e il partito comunista. Il movimento studentesco ha risposto con la citazione dal “Che fare? ”. Sentiamo ora l’opinione degli altri.

Foa. 
La poesia non mi piace, la trovo molto brutta. Però essa è anche interessante: non tanto per ciò che dice sugli studenti o sul movimento operaio, ma per ciò che rivela su Pasolini. Pasolini ha una visione immobilistica della lotta di classe e del movimento operaio. Non capisce gli studenti appunto perché non sono oggi gli operai: la classe operaia non è più quella della metà degli anni ’50, è un’altra cosa, completamente diversa.
Pasolini parla di operai che non sanno l’inglese e il francese, e al massimo si danno da fare per imparare qualche parola di russo; io vorrei ricordare che oggi, nelle grandi città del Nord, migliaia e migliaia di operai giovani vanno a scuola la sera e imparano le lingue, apprendono le tecniche, studiano le discipline umanistiche. Ed è proprio per questo che essi hanno trovato un terreno abbastanza omogeneo con gli studenti.

Petruccioli. 
Più che non capire la classe operaia, a mio parere Pasolini la ignora. Nel pensiero di Pasolini la classe operaia non c’è e non c’è mai stata. C’è una divisione dell’umanità in ricchi e poveri, in gente che puzza o non puzza: è sintomatico in questo senso la parte della poesia dedicata ai poliziotti.
Gli sfugge un fatto importante, cioè questo: che il ruolo politico degli strati sociali non è legato alla loro “miserabilità” ma alla loro collocazione concreta nel processo produttivo e quindi alla possibilità di acquisire una coscienza rivoluzionaria.
Per lo stesso motivo Pasolini sbaglia il giudizio sugli studenti, i quali non si possono giudicare dal loro status d’origine, dal fatto che sono in gran parte figli di borghesi, ma solo dal ruolo che assumono oggi nella dialettica sociale e dai loro concreti comportamenti. Insomma Pasolini concepisce le classi sociali come entità poetiche contrapposte: i Poveri e i Ricchi. Vede la classe operaia
sempre in chiave populista, il che non gli consente di capire neppure gli studenti. È vero, il movimento studentesco è composto di gente che in gran parte è di estrazione sociale borghese, ma ciò dimostra appunto che l’egemonia borghese sulla società attuale è in crisi. A sua volta il movimento operaio organizzato cerca di acquistare un’egemonia su questi strati che abbandonano la borghesia, ma ci riesce solo in parte.

Pasolini. 
Tutto quello che avete detto a proposito della mia poesia dipende dal fatto che si tratta d’una poesia brutta, cioè non chiara. Questi brutti versi io li ho scritti su più registri contemporaneamente: e quindi sono tutti “sdoppiati” cioè ironici e autoironici. Tutto è detto come tra virgolette.

Ajello. 
Allora, niente di quello che c’è in questa poesia va preso alla lettera, né il pezzo sui poliziotti, né quello sugli operai…

Pasolini. 
Il pezzo sui poliziotti è un pezzo di “ars retorica”, che un notaio bolognese impazzito potrebbe definire una “captatio malevolentiae”: le virgolette sono perciò quelle della provocazione. Tra virgolette sono anche, per esempio, i due passi riguardanti i vecchi operai che vanno la sera in cellula a imparare il russo, e l’evoluzione del vecchio, acciaccato Pci. A parte il fatto che questa figura di operaio e di partito comunista corrispondono anche alla realtà, qui in questa mia poesia, sono figure retoriche e paradossali: provocatorie. Foa mi dice che la classe operaia non è più quella che io descrivo. Ma io (provocazioni a parte) credo che anche Foa si sbagli, si fa delle illusioni. La classe operaia è evidentemente cambiata, ma si tratta di piccole minoranze del Nord. Qui a Roma, per quello che mi risulta, non è cambiato quasi nulla rispetto agli anni ’50, né nei luoghi di lavoro né nelle cellule comuniste. Foa mi accusa di immobilismo. Potrebbe darsi che io abbia assunto una specie di fittizio immobilismo come forma, sempre provocatoria, di discussione polemica.
Mi spiego meglio: il vero bersaglio della mia collera non sono tanto i giovani, che ho voluto provocare per suscitare con essi un dibattito franco e fraterno; l’oggetto del mio disprezzo sono quegli adulti, quei miei coetanei, che si ricreano una specie di verginità adulando i ragazzi. Pubblico questi brutti versi per significare quanto segue: ho passato la vita a odiare i vecchi borghesi moralisti, e adesso precocemente, devo cominciare a odiare anche i loro figli, non robot ma ribelli, detraendo dal loro numero solo quei pochi che avranno il mio disgraziato destino, e forse un destino ancora peggiore, dato che i loro compagni di vita moltiplicheranno per mille il moralismo dei loro padri…

Foa. 
La poesia una volta pubblicata, è una cosa che va per conto suo, e chi la legge non sa nulla dei canoni interpretativi del suo autore. La sua poesia, Pasolini, cade in mezzo a una determinata società e in un determinato momento: un momento nel quale i giovani, nonostante le sue illusioni, sono in gravissime difficoltà. Parlo degli studenti e parlo della gioventù operaia: a mio giudizio è in corso un’operazione congiunta per isolare il movimento giovanile. È in atto un grosso sforzo che ricorre a tutti i mezzi: non escluso il tentativo, per fortuna fallito, di mobilitare contro i giovani le organizzazioni operaie e sindacali. È un pogrom, quello che si prepara, non necessariamente di sangue, ma un pogrom. Ebbene, in tutto questo concorso di forze che cerca d’isolare i giovani mancava la voce d’un poeta. E la voce del poeta è venuta, per accusarli di essere in malafede, d’essere dei piccolo-borghesi. Come può sostenere, Pasolini, che Valle Giulia è stato un episodio di lotta di classe rovesciata? Che importanza ha se i poliziotti sono poveri e provengono da tuguri contadini? I soldati del Governo Provvisorio che, nel luglio del 1917, cacciarono in galera i bolscevichi, li bastonarono e li costrinsero ad emigrare, non erano anch’essi dei poveri contadini con la divisa puzzolente in lotta contro i borghesi della direzione bolscevica?

Ajello. 
A me pare che la poesia “Il Pci ai giovani” sia perfettamente in linea con la precedente produzione letteraria di Pasolini. Il suo idolo, la sua materia poetica, non è la classe operaia ma il sottoproletariato. Lei, Foa, è d’accordo?

Foa. 
Ma anche il sottoproletariato cambia, Pasolini dovrebbe saperlo. Quei giovani operai del Nord che vanno a scuola, e che ancor prima degli studenti hanno affrontato la polizia, a Milano, a Torino, a Valdagno, quegli operai che occupano da venti giorni le ferriere di Bari sono in buona parte ex sottoproletari meridionali. Sono coscienti che la loro condizione di sfruttati pone un problema di classe e di potere. I giovani d’oggi hanno sempre presente l’esigenza d’una riforma radicale delle strutture sociali in cui vivono. Sono giovani studenti e sono giovani operai…

Petruccioli. 
È in corso una manovra pericolosa: basta guardare i giornali della grande borghesia. Io mi fido dei giornali della grande borghesia: individuano subito qual è il pericolo principale per la classe che rappresentano. E che cosa stanno facendo oggi questi giornali? Fanno di tutto per evitare l’incontro tra il movimento studentesco e le organizzazioni operaie, presentando di volta in volta gli studenti come dei borghesi o come dei cinesi. Perciò la poesia di Pasolini è sbagliata e inopportuna: se l’obiettivo dei nostri avversari è di dividere le nostre forze, allora dobbiamo chiarire subito qual è l’obiettivo nostro: operarla questa saldatura, ottenerlo questo incontro.

Ajello. 
Pasolini, lei è stato definito “il poeta del progrom”. Come si difende?

Pasolini. 
Che la mia poesia venga fraintesa non m’importa niente. Fraintesa o no, intanto noi siamo qui a parlare, e in termini non canonici. Almeno io, voi non so. Nella mia poesia io dico: voi studenti, siete figli di papà, e vi odio come odio i vostri papà. Ma questo perché lo dico? Ecco: fino alla mia generazione compresa, i giovani avevano davanti a sé la borghesia come un oggetto, come un mondo separato. Potevamo guardare la borghesia, così, oggettivamente ci era offerto dallo sguardo posato su di essa da ciò che non era borghese: operai o contadini. Per un giovane di oggi la cosa si pone diversamente: per lui è molto più difficile guardare alla borghesia oggettivamente attraverso lo sguardo di un’altra classe sociale. Perché? Perché la borghesia sta trionfando, sta rendendo borghesi gli operai da una parte e i contadini dall’altra. Insomma, attraverso il neo-capitalismo la borghesia sta per diventare la società stessa, sta per coincidere con la storia del mondo.

Petruccioli. 
Come si fa, oggi, a dire che la borghesia tende a coincidere con la storia del mondo? Guardiamo il Vietnam e i popoli del Terzo mondo, la Francia e la classe operaia europea, i neri d’America, gli studenti. Sono queste le forze che attualmente fanno la storia con le loro idee e le loro lotte: e sono contro la borghesia.

Ajello. 
E lei, Foa? Pensa anche lei che il neocapitalismo abbia, come Pasolini, un’enorme capacità di assorbire e neutralizzare le energie e le coscienze?

Foa. 
Sì, lo penso anch’io, e so che la scuola è uno degli strumenti a disposizione del neocapitalismo, forse il più importante. Ma il movimento studentesco e quello operaio lottano contro questa situazione. È qui la vera novità di oggi rispetto a ieri. Oggi noi assistiamo a un processo rivoluzionario, o almeno ne cogliamo i sintomi, iniziali ma chiarissimi; e vediamo che a questo processo la classe operaia e il movimento studentesco partecipano concordemente. Quando gli operai francesi occupano la fabbrica, chiudono a chiave il direttore (non perché sia cattivo, anzi dicono che è un brav’uomo e non ha nessuna colpa a incarnare il potere), innalzano la bandiera rossa e suonano l’Internazionale, ci troviamo di fronte a una situazione che non ammette dubbi. Lei, Pasolini, mi chiami pure passionale: ma a questo punto io gli uomini li giudico a seconda se stanno da una parte o dall’altra.

Pasolini. 
No, lasciatemi chiarire. Io sono decisamente dalla parte degli operai francesi che hanno occupato la fabbrica e chiuso a chiave il direttore. Ma mentre l’operaio quando si muove ed occupa una fabbrica fa la rivoluzione, lo studente, quando occupa una università, fa soltanto la guerra civile. Bisogna che abbiamo ben chiara la distinzione tra le due cose. Per questo io dico agli studenti: «State attenti, tra voi e gli operai la concordia è impossibile. Aceto e olio non si mescolano». Ho assistito il giorno 8 maggio a un indimenticabile duetto Scalzone-Longo. È noto che in questi ultimi tempi gli studenti hanno capito che bisogna ricordarsi degli operai e sono andati a manifestare a braccetto. Cosa che ha avuto l’unico effetto di dare delle insincere ispirazioni ai titolisti dell’“Unità” e di dimostrare quanta differenza ci sia tra la faccia e il corpo di uno studente e la faccia e il corpo d’un operaio.

Ajello. 
Sarebbe forse opportuno che Pasolini precisasse meglio perché la rivolta degli studenti si trasforma in guerra civile e non in rivoluzione.

Pasolini. 
Perché la massa degli studenti “dissenzienti” vogliono fare le riforme in un giorno anziché in un decennio, e vogliono che siano mille anziché una. Questi nobilissimi Pierini non vogliono accettare pedissequamente il sistema, pretendono di comandarlo. E questo che cosa significa? Significa che la borghesia si schiera nelle barricate contro se stessa, che i “figli di papà” si rivoltano contro i “papà”. La meta degli studenti non è più la rivoluzione ma la guerra civile. Ma, ripeto, la guerra civile è una guerra santa che la borghesia combatte contro se stessa…

Foa. 
Pasolini, mi permetta di rivolgerle, ancora una volta, una critica personale. Lei si lamenta dello strapotere presente e futuro della borghesia, teme i mostruosi inganni del neocapitalismo che cattura e corrompe tutti. Ma contemporaneamente scrive una poesia contro gli studenti e la presenta come una lirica “di provocazione”, “di autocritica” e così via. Vuole che si discuta di questa poesia, che ci si scagli contro di essa, purché se ne parli. Critica se stesso, sollecita la critica degli altri contro di sé, si contraddice. Con quale risultato? Di valorizzare il suo prodotto in termini di mercato. Questo per quanto riguarda la parte commerciale. Dal punto di vista politico la sua ode rappresenta un aiuto offerto agli avversari del movimento studentesco, un aiuto pesante. Perciò io direi che prima di scagliarsi contro il sistema, bisogna vedere fino a che punto se ne è prigionieri. Il primo esperimento va fatto di fronte allo specchio.

Pasolini. 
Mi è difficile rispondere. Dovrei fare un processo a me stesso, stendere un’autoconfessione. Dovrei spargere le viscere su questo tavolo.
La cosa è molto complicata. Per quanto mi riguarda, non mi ero reso affatto conto, fino a ieri, del valore dirompente di questa ode, né avevo pensato a valorizzarla. Tornando agli studenti, penso che solo se la loro autocritica sarà completa, severa, rigorosa, giusta, allora il loro movimento potrà affiancarsi veramente agli operai.

Ajello. 
Vogliamo vedere allora se e fino a che punto il movimento studentesco l’ha fatta, questa autocritica? Lei, Petruccioli, cosa ne pensa?

Petruccioli. 
Secondo me tutti i problemi che abbiamo discusso finora sono presenti all’attenzione del movimento studentesco. Tranne qualche piccola frangia, nessuno nel movimento afferma che la rivoluzione prima la facevano gli operai ed oggi la fanno gli studenti. Quello che si ricerca è la via originale di una rivoluzione socialista che comprenda la classe operaia e i suoi alleati, tra cui gli studenti progressisti.

Pasolini. 
Io sbaglierò, la mia sarà una visione poetica, ma mi pare che questo non sta avvenendo. In Francia, da una parte vedo gli operai, dall’altra gli studenti. Con qualche caso isolato di contaminazione.

Ajello. 
I rappresentanti del movimento studentesco che abbiamo invitato a commentare la poesia di Pasolini hanno citato due brani del “Che fare? ” di Lenin e sono andati via. Lei, Pasolini, ha poi meditato su quei brani?

Pasolini. 
Le citazioni che fanno gli studenti sono sbagliate, il piccolo-borghese di cui parlava Lenin esisteva mezzo secolo fa. Oggi non c’è più. Il piccolo-borghese di oggi non ha più nonni contadini ma bisnonni e forse trisavoli; non ha vissuto un’esperienza antiborghese, rivoluzionaria, ma sperimentato la vita neo-capitalistica, i problemi dell’industrializzazione totale. I giovani di oggi non si rendono conto di quanto sia repellente un piccolo-borghese di oggi…

Ajello. 
Vorrei chiedere a Petruccioli, che è un comunista, che effetto gli ha fatto leggere sulla “Pravda”, due settimane fa, una dura scomunica degli studenti ribelli di Parigi, dei seguaci di Marcuse e così via.

Petruccioli. 
Ho già commentato sull’“Unità” l’articolo della “Pravda”. Il suo errore fondamentale era di non tener conto del clima politico in cui cadeva, del fatto che proprio in quei giorni, ad esempio, il “Corriere della Sera” pubblicava grossi titoli come “Operai contro studenti in Francia”. Ma anche se non ci fossero episodi di questo genere, noi comunisti dobbiamo lavorare per rendere possibile la saldatura fra operai e studenti. In Italia stiamo lavorando in questa direzione.

Pasolini. 
Allora, voi comunisti, siete d’accordo con me che esiste una differenza sostanziale, quasi di natura, tra studenti e operai?

Petruccioli. 
Il movimento operaio organizzato ha mezzo secolo di vita, il movimento studentesco è appena nato. C’è una differenza di linguaggio, di tradizione oltre che di origine sociale e di robustezza teorica.

Foa. 
Non c’è soltanto questa differenza storica di cui parla Petruccioli, c’è anche un’azione dell’avversario di classe, specifica, costante, insistente, demagogica, per operare la frattura tra studenti e operai. La sua ode, Pasolini, si unisce al coro.

Pasolini. 
Ma io non seguo nessuna tattica politica. Se sbaglio non me ne importa nulla. Non sono mica un uomo politico, io.

Ajello. 
Ma lei, Pasolini, non diceva poco fa che tutta la sua opera in versi è poesia politica?

Pasolini. 
È la politica di un non-politico, di uno scrittore non iscritto a partiti.

Petruccioli. 
Ma insomma, che cosa vuol dire Pasolini con la sua poesia? Che gli studenti devono uccidersi come movimento studentesco? Che il piccolo-borghese deve negare il suo essere piccolo-borghese per diventare rivoluzionario? Su questa esigenza siamo tutti d’accordo. Cominciamo allora a vedere che cosa fanno in realtà gli studenti. Il loro slogan principali è “No alla scuola dei padroni”. Essi cercano il rapporto con la classe operaia, vogliono una radicale trasformazione della società borghese, un superamento della civiltà occidentale. Ecco ciò che gli studenti fanno, ecco ciò che sono.

Pasolini. 
Questa è la loro volontà. Questo è quello che vogliono. Quello che sono in realtà è molto diverso: sono dei borghesi, dei figli di papà rimasti tali e quali ai loro padri. Parlano come i loro padri, hanno un senso legalitario della vita, sono profondamente conformisti. Vorrei comunque rivolgervi una domanda: che differenza c’è, secondo voi, tra uno studente e un intellettuale? Per me sono la stessa cosa. E sarebbe l’ora che gli studenti smettessero di autodefinirsi studenti. Che interesse hanno? Si chiamino intellettuali”. Tutti sanno che l’università, in Italia, è un’istituzione classista. Chi si definisce studente fa sorgere, immediatamente, il sospetto d’essere l’esponente di una classe retriva.

Petruccioli. 
Mi sembra un po’ inutile mettersi a discutere sulle parole. A Roma, nei giorni successivi ai fatti di Valle Giulia, un rappresentante del movimento studentesco tenne una specie di comizio rivolto ai poliziotti. «Noi vogliamo un’università in cui possano andare anche i vostri figli», questo era il succo del suo discorso. Era un appello significativo. A mio parere, nella università, come nella società, l’integrazione tra studenti e operai non è affatto impossibile. Se pensassimo che è impossibile, allora dovremmo esortare gli studenti a mettersi da parte, ad abbracciare la causa della borghesia che li ha messi al mondo, senza creare confusione. Dovremmo ricacciarli indietro. Finiremmo per creare una nuova categoria di “indesiderabili”. Non più i “dannati della terra”, ma i dannati della nascita.


 Fonte: Pasolini.net


Prima pagina Espresso”  il 16 giugno 1968



Curatore, Bruno Esposito

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