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martedì 29 dicembre 2020

Valle Giulia 1° marzo 1968, guerra civile.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Valle Giulia 1° marzo 1968, guerra civile.



Manifestar significar per verba non si poria
ma per urli sì
e anche per striscioni; o canzoni;

Sono venuti a rifare il mondo
e, manifestando, se ne dichiarano all’altezza
La forza è nella virilità, come una volta
Ma la gentilezza è perduta

Qualunque cosa si manifesti
altro non viene manifestato che la forza
sia pure la forza dei destinati alla sconfitta (1)

Tutto ciò che non si può significar per parole
non è che pura e semplice forza –
Ma quanta innocenza nel non sapere questo!
Quanto bisogna essere giovani per crederlo!

Poiché la libertà è incompatibile con l’uomo
e l’uomo in realtà non la vuole, intuendo che non è per lui,
quanti obblighi io mi sono inventato invecchiando
per non essere libero!
Va bene, ma i più ingenui, i più inesperti, i più semplici,
i più giovani, di tali obblighi se ne inventano ancor di più,
anzi, venendo al mondo, la prima cosa che fanno è adattarsi a questo;
trionfalmente;
facendo credere a se stessi e agli altri
che si tratta di obblighi necessari a una nuova libertà.
La realtà è che un ragazzo sceso qui dal nulla, e del tutto nuovo, lui,
fa subito in modo di difendersi contro la vera libertà (2)
E soprattutto un ragazzo che conosce e accetta i doveri;
ed egli manifesta la forza della sua accettazione,
meravigliosa adulazione del mondo.

Rinasce sempre, attraverso l’obbedienza, la grazia
e può darsi, può darsi…
Obbedire ai doveri della rivoluzione! Manifestando!

Per quanto fitta sia la trama dei doveri di un anziano
qualcosa in essa si è lacerato
e io infatti intravedo l’intollerabile faccia della libertà;
non avendo più grazia e forza
ho cercato allora di difendermi sorridendo, come appunto
i vecchi, che la sanno lunga –
Ma la libertà è più forte: sia pure per poco
essa vuole essere vissuta –

È un valore che distrugge ogni altro valore
perché ogni valore non è che una difesa
eretta contro di lei;

e i valori, appunto, sono sentiti specialmente dai semplici;
dai giovani
(solo in essi, appunto, l’obbedienza è grazia);

è sulle loro schiere che contano i Capi per andare avanti,
sulle loro pulite, innocenti schiere –
Semplicità e gioventù, forme della natura,
è in voi che la libertà è rinnegata

attraverso una serie infinita di doveri,
puliti, innocenti doveri, a cui, manifestando
si grida con aria minacciosa obbedienza,
ché i semplici e i giovani son forti (3)
e non sanno ancora di non poter tollerare la libertà.
-----
(1) Di qui, lo speciale, commovente trionfalismo.
(2) Che, forse, al nulla lo ricondurrebbe?
(3) Anche se non sono che minoranze, sia pur numerose.


Pier Paolo Pasolini,
19 aprile 1970
(Aprile dolce dormire)




Il 29 febbraio 1968 gli studenti occupano la facoltà di architettura. Il rettore, Pietro Agostino D'Avack, chiede l'intervento della polizia che sgombera la facoltà e decide di presidiarla. In risposta gli studenti decidono di fare una manifestazione attraverso un’ autoconvocazione e si danno appuntamento per il giorno dopo a piazza di Spagna.

1° marzo 1968

Ore 9: circa 5.000 studenti universitari, assistenti, docenti, studenti dei licei e degli istituti tecnici con i libri sotto il braccio,radunati in piazza di Spagna, gridano:
 << La scuola è nostra: a noi e ai professori servono le bliblioteche, gli istituti, le aule che ora sono invase dai poliziotti. Il rettore che ha chiamato la polizia, deve andarsene. Andiamo noi all'università, tutti insieme...>>

Ore 10: il corteo si muove per il centro di Roma: via Babbuino, piazza del Popolo, via Flaminia, diritti fino a Valle Giulia che è deserta . Il Ninfeo di Valle Giulia, Villa Borghese, Piazza Bolivar e le gradinate che salgono alla facoltà di Architettura - improvvisamente si riempiono di studenti e professori e di fronte, proprio all'ingresso della facoltà, gli schieramenti di polizia e carabinieri. La testa del corteo spinge per entrare: << Lasciateci entrare nella nostra università>>.


Ore 11: si alza il primo manganello e colpisce con rabbia; per un attimo tutti fermi, poi la prima carica contro gli studenti. Di solito, a questo punto, gli studenti scappano e in breve tutto è terminato, ma questa volta qualcosa non va secondo il solito copione. Gli studenti si organizzano e mentre la testa resiste alla carica, le retroguardie iniziano a portare fuori dalla mischia gli studenti feriti ed iniziano i primi trasporti all'ospedale. Tutto intorno il traffico è praticamente bloccato: lunghe file di autobus, tram, auto, formano una cortina metallica nella quale si apre un solo corridoio per permettere ai mezzi di soccorso di portare i feriti in ospedale. Il suono dei clacson viene in breve coperto dalle sirene dei mezzi della polizia che arrivano in rinforzo agli agenti già impegnati negli scontri.

Gli scontri dureranno ore con centinaia di feriti tra tutti e due gli schieramenti e oltre 200 studenti portati in questura.

Chi c'era in piazza?

Oltre a polizia e carabinieri, c'erano studenti con nessun orientamento politico, studenti con orientamento politico di estrema sinistra, ma la parte più "militare" dei manifestanti era composta da giovani di orientamento di estrema destra, come quelli di Avanguardia Nazionale ed altri gruppi. Questa fotografia della piazza mostra un movimento composito che condivide punti rivendicativi dettati da convenienze comuni e non, certamente, convinzioni ideologiche dettate da coscienza di classe di appartenenza: quindi, un fritto misto.



Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia Nazionale: 

“La mattina del 1 marzo 1968, di fronte alla facoltà di Architettura di Valle Giulia a Roma, c'era un impressionante schieramento di polizia agli ordini del commissario della squadra politica Umberto Improta. Da piazza di Spagna stava per arrivare un corteo di studenti fermamente intenzionati a rioccupare la facoltà. Improta era lì per impedirlo ad ogni costo.
Nel corso di quella mattinata, anche la federazione del PCI, tramite il dirigente romano Renzo Tricelli aveva tentato di convincere gli studenti a terminare la loro manifestazione in piazza di Spagna.
Noi, invece, in sintonia con i filo-cinesi, eravamo riusciti a far proseguire il corteo fino a Valle Giulia.
Gli studenti avevano già occupato la facoltà il 2 febbraio, insieme a quella di Lettere. Personalmente ero contrario a qualsiasi tentativo di occupare nuovamente, perché sarebbe stato come mettersi in trappola. Quello che volevo era arrivare al confronto con la polizia.
In previsione degli scontri, già la sera prima, avevamo allertato non soltanto gli studenti di Caravella, controllata da noi di Avanguardia, ma anche tutti i militanti dell'area. Ai nostri camerati della facoltà di Medicina era stato chiesto di costruire punti di appoggio per assistere eventuali feriti: avremmo cosi evitato ricoveri che avrebbero potuto portare al fermo o all'arresto.
Sulla scalinata che porta alla facoltà c'era Massimiliano Fuksas insieme con alcuni suoi colleghi. In precedenza in Avanguardia, ora Fuksas militava a sinistra.
Lo chiamai da parte e gli dissi che dovevano allontanarsi dalla scalinata: non era il posto migliore per affrontare la polizia. Massimiliano e i suoi compagni si spostarono. In quel momento però arrivò il corteo, molto più numeroso di quanto mi aspettassi.
 Subito scoppiò un primo tafferuglio con alcuni iscritti della CGIL fatti arrivare da Trivelli per riportare indietro i manifestanti che avevano lasciato piazza di Spagna. Il tentativo ebbe l'effetto contrario: radicalizzò la decisione degli studenti di restare. Fu in quel momento che le forze dell'ordine caricarono. Ed ebbe inizio quella che sarebbe passata alla storia come la "Battaglia di Valle Giulia".
In principio fummo noi camerati a reggere da soli l'urto con le decine di uomini che Improta ci aveva scagliato addosso. Ma subito dopo si unirono a noi tutti gli altri studenti, indipendentemente dal colore politico.
E furono scontri ravvicinanti, sassaiole, camionette incendiate, avanzate e ritirate "a elastico" che misero in difficoltà poliziotti e carabinieri.
I nostri militanti di Avanguardia erano stati addestrati allo scontro di piazza. Usavamo uno schieramento il cui vertice a cuneo anticipava il resto del gruppo che, approfittando dell'attenzione concentrata sul primo urto, si apriva come scoppio di granata in piccoli gruppi che attiravano gli avversari su più lati. Con rapidi movimenti si sottraevano a contatti prolungati e con improvvisi spostamenti obbligavano il fronte avversario a disunirsi e difendersi su più versanti.
Sul campo, ogni scelta tattica veniva affidata ai responsabili dei differenti nuclei. Questa pratica era scaturita dalla necessità di affrontare fisicamente forze superiori alle nostre. Applicammo a Valle Giulia queste misure con risultati decisamente positivi. Avevamo attivisti capaci e riuscimmo a tenere il campo per molte ore.
Noi di Avanguardia, ripiegammo per ultimi, coprendo la ritirata della massa degli studenti. Subimmo qualche ferito ma nessun morto. L'operazione aveva avuto l'esito desiderato: il Movimento era con noi a Valle Giulia e non con i riformisti di Trivelli in piazza di Spagna.
Durante quelle ore memorabili non c'era stata alcuna distinzione tra fascisti e antifascisti, ma un'unità tra le differenti componenti politiche che si stringevano intorno a un nuovo sogno rivoluzionario.
Le conseguenze politiche furono dirompenti. Valle Giulia aveva dato al movimento l'immagine di una protesta-lotta contro il sistema e sconfisse, almeno temporaneamente, le manovre del PCI, che voleva sindacalizzare la lotta degli studenti.
Non a caso la FGCI subiva una continua emorragia di iscritti, mentre da molte città provenivano attestati di stima e solidarietà a Caravella.


(Fonte L'Aquila ed Il Condor). 



Oreste Scalzone in una intervista: 

[...]
Cosa pensa di Delle Chiaie?

«Sono solito parlare in modo critico di sistemi e non di singoli, ma quando si tratta di uomini pubblici con responsabilità come le sue, un giudizio è doveroso. Credo – anche sulla base di un riscontro pratico, dettaglio sintomatico – sia un pessimo personaggio».

Quali riscontri?

«Lui e Mario Merlino hanno fatto circolare falsità come quella che, prima di Valle Giulia, loro avessero preso contatto col Comitato d’agitazione d’ateneo alla Sapienza, e che, quindi, quella fosse stata un’impresa comune. Un episodio che mostra inequivocabilmente l’indole manipolatrice di questo personaggio che ama rimestare nel torbido».

I fascisti con Valle Giulia non c’entrano?

«Basta aver letto, che so… Malaparte, per sapere che in una piazza in tumulto può esserci di tutto. Certo è che, se c’erano i fascisti, il movimento non se ne accorse».

 Che differenza c’era tra ribelli di sinistra e di destra?


«Molti giovani, anche per opporsi a un antifascismo trasformatosi in regime, diventarono fascisti pensando di ribellarsi all’ordine costituito. La ritengo una forma, certo malintesa – un tragico equivoco – di ribellione vera. Delle Chiaie con loro non c’entra, la cosa peggiore è che abbia lavorato per i servizi segreti del Paraguay di Stroessner».
[...]


(Camillo Giuliani, Calabria ora, 28 settembre 2012). 





<<...L’unica coincidenza oggettiva della rivolta dei giovani è infatti quella del delinearsi, secondo un disegno ormai chiaro e ineluttabile, dello « sviluppo » capitalistico, secondo le norme scaturite dalla sua grande rivoluzione interna: l ’Applicazione della Scienza, in uno sconfinato proliferare delle fonti di produzione e quindi dell’ansia di consumo. Ora, questo nuovo mondo che verso la fine degli Anni Sessanta si andava delineando come l’intero futuro umano, non aveva più alcun rapporto possibile col marxismo. Tra capitalismo tecnologico e umanesimo marxista si andava delineando una vera e propria diacronia storica: una effettiva incommensurabilità. Il mondo
tecnologico, attraverso una mutazione psicologica degli operai, tendeva ad inglobare sostanzialmente anche la lotta di classe. A far discutere del salario il padrone e l’operaio come da borghese a borghese. (i figli degli operai sono oggi mille volte più « borghesi » dei loro padri). L’urlo di dolore del ’68 è probabilmente dovuto alla coscienza, non ancora venuta alla luce, di questo. Dell'asservimento del marxismo a uno « sviluppo » storico in realtà voluto interamente dalla società borghese: oppure dell’impossibilità di un dialogo rivoluzionario dell’umanista marxista col qualunquista tecnocrate, trionfalmente proiettato verso l’avvenire. L’equivoco di una Rivoluzione imminente, pressoché
millenaristica, del periodo sessantottesco, ha creato per l'intellettuale e l ’uomo di cultura il dovere dell’intervento politico immediato. Dell’accettazione della teoria della preminenza dell’azione dei giovani, del loro moralismo rivoluzionario, del loro assoluto utilitarismo per cui tutto doveva essere in funzione di quella « Rivoluzione dell’indomani » in cui, con tanta ingenuità e presunzione, essi credevano. Molti intellettuali sono stati al gioco, un po’ in buona fede, un po’ per viltà, ma soprattutto a causa di un vero e proprio errore politico. Era chiaro come il sole che di Rivoluzioni, di lì a un giorno, non ce ne sarebbero state. Il PCI lo sapeva benissimo...>>

@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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