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mercoledì 16 febbraio 2022

Pasolini invita il pubblico a non vedere Teorema - Conferenza alla mostra di Venezia 1968 - LA STAMPA, venerdì 6 Settembre 1968

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro






Pasolini invita il pubblico a non vedere Teorema
Anno 102 - Numero 202 
LA STAMPA 
Venerdì 6 Settembre 1968
Venezia, 5 settembre.
 
(Trascrizione curata da Bruno Fraccaroli)

Dal nostro inviato speciale

Sta per accendersi lo schermo per la proiezione del film Teorema quando il suo autore, Pier Paolo Pasolini, sale sul palcoscenico: il film, egli annuncia, si proietta contro la sua volontà, perciò coloro che vogliono solidarizzare con lui contro questa decisione della Mostra, sono invitati ad uscire. Ciò è avvenuto nella sala grande del Palazzo del Cinema, stamane, all'inizio della proiezione riservata ai critici. All'appello di Pasolini, dieci o venti tra il pubblico abbandonano la sala al seguito di P.P.P.; ma i più rimangono. Teorema si proietta senza incidenti. Ma due ore dopo, conferenza stampa esplicativa. Sotto le piante, nel parco d'un grande albergo del Lido, 

P.P.P., in piedi sopra un tavolo risponde al tiro incrociato di critici e cineasti delle più varie estrazioni: contestatori, antì-contestatori, rivoluzionari, ecc. 

« Come mai », 

   domanda il critico Paolo dì Valmarana, del giornale de II Popolo: 

« come mai nel film c'è un personaggio che prima muore e poi lo si vede vivo di nuovo, anzi, intento al proprio seppellimento? ». 

   P.P.P.: « Non potrei rispondere, per non usare uno sgarbo a coloro che per solidarietà con me non hanno visto il film. Ma Valmarana è un amico, quel personaggio rivive perché la morte è un'altra forma di vita ». 

   Regista Massobrio, contestatore: « Buffone, e noi che abbiamo disertato la sala? ». 

   P.P.P.: « Io non sono un maleducato ». 

   Giornalista: « Al suo invito, Pasolini, ha risposto solo una piccola parte dei critici. Lei pensa che coloro che hanno visto il film l'abbiano visto in omaggio a lei o per farle dispetto? ». 

   P.P.P.: « Quelli che sono rimasti in sala lo hanno fatto per ragioni professionali. Non li posso condannare, ma sarebbe stato meglio se fossero usciti. Ringrazio coloro che sono usciti, chiedo scusa a coloro che han visto il film! ». « Dapprincipio, — continua P.P.P., — avevo deciso di spedire il film alla Mostra perché Chiarini m'aveva promesso che sarebbe stato un Festival senza premi, senza polizia, e che si sarebbe tenuta la costituente del cinema, tutte cose che non sono avvenute. E' per questo che poi ho ritirato Teorema ». 

   Franco Rossellini, produttore del film, intervenendo: « Siamo stati tutt'e due d'accordo, Pasolini ed io, a decidere di mandare il film a Venezia. Poi, Pier Paolo lo ha ritirato per ragioni associative. Siamo in posizioni differenti, anche se continuiamo ad essere amici. Siamo tutt'e due persone bene educate. I film, d'altro canto, si fanno per essere proiettati ». 


   Cineasta francese, contestatore: «Mi spieghi, Pasolini, se è contento che il suo film viene proiettato sotto la protezione della polizia, che lei ha esaltato in una poesia dì alcuni mesi fa... ». 

   P.P.P.: « Lei non ha letto o ha letto male quella poesia! ». 

   Gidion Backman, critico: « Ci può spiegare, in concreto, quali sarebbero le sue proposte per il nuovo statuto del Festival? ». 

   P.P.P.: « Di regolamenti non me ne intendo, ma penso che se lo Stato finanzia una mostra, questa mostra deve essere una manifestazione culturale. Se i produttori si vogliono fare un festival con film commerciali, se lo paghino, come si pagano i "caroselli " in televisione! ». 

   Franco Rossellini, produttore: « Non sono d'accordo! Io sono un produttore e... ». 

   P.P.P.: «Naturalmente, quando parlo di produttori mi riferisco alla categoria nel suo insieme, non alla persona del produttore qui presente ». 

   Cineasta francese, corrente rivoluzionaria: « Perché, se Pasolini voleva veramente che il suo film non si proiettasse, stamane non s'è attaccato al sipario, non ha strappato lo schermo, come hanno fatto i registi francesi al Festival di Cannes, per interromperlo? ». 

   Regista Maselli, contestatore: « La nostra associazione ha scelto il metodo della occupazione pacifica, che esclude la tattica del disturbo, che giudichiamo goliardica e poco seria. Per noi la battaglia consisteva nel costringere la mostra a svelare le sue contraddizioni. C'è stata la mobilitazione di millecinquecento poliziotti intorno al Palazzo del Cinema. Ora s'è chiarito che la Mostra non è degli autori, ma dei produttori. Questo è un risultato positivo. Comunque, la nostra battaglia è appena incominciata. La continueremo In altra sede ». 

   Altro cineasta francese: «Lei doveva scegliere, Pasolini, una posizione più radicale ». 

   P.P.P.: « Lei è uno di quegli uomini che pretende dagli altri la santità, per mettere a posto la sua coscienza! ». 

   Il cineasta francese di cui sopra: « No, non ho alcuna cattiva coscienza. Io, il suo film, Pasolini, non l'ho visto! ». 

   « Perché avevi dell'altro da fare! », gli grida un collega francese

   Un cineasta francese: « Stamane ha pregato i critici di allontanarsi dalla sala in segno di protesta. Farà altrettanto anche stasera con il pubblico normale? ». 

   P.P.P.: « Sì, stasera intendo invitare il pubblico a non entrare in sala! ». 

Così è finita la dimostrazione del più difficile teorema pasoliniano: questo suo pendolare va e vieni tra la Mostra e l'antimostra, culminato nell'autoboicottaggìo (simbolico) finale. 

   Sì corre da Chiarini. « Pier Paolo Pasolini, se voleva davvero ritirare il suo film, doveva dirmelo in tempo, e non aspettare che io lo avessi già messo in catalogo. Io dirigo una mostra cinematografica, e non un circo equestre. Apprezzo Pasolini per il suo talento, ma non posso seguirlo nelle sue capriole ». 

   Soggiunge Chiarini: « Adesso Pasolini dice che questa è la "Mostra dei poliziotti"; vuol dire che è la sua mostra, dato che ha esaltato i poliziotti in una sua poesia, chiamandoli "figli del popolo" ».

Comunque la serata al Lido, che si preannunciava stamane così tempestosa, è trascorsa del tutto tranquilla. Pasolini, partito nel primo pomeriggio per Roma con promessa di rientro per l'ora dello spettacolo, non s'è invece fatto vedere. I contestatori, che avevano preannunciato una dimostrazione con cartelli davanti al Palazzo, sono pure scomparsi. Il XXIX Festival s'avvia alla conclusione tra i sussulti. Anche la censura ci s'è m'essa. Il film di Bernardo Bertolucci, Partner, in programma per domani, è stato bloccato per via di audaci scene d'omosessualità; tuttavia, il Festival veneziano (per tradizione, ma non per legge) gode d'una specie di franchigia in campo di pubblica decenza, per cui il film potrebb'essere forse ugualmente proiettato, riservandosi al pubblico normale gli opportuni colpi dì forbice. Anche il Galileo di Liliana Cavani, a quel che sembra, non ha ottenuto il placet a motivo del rogo, ritenuto troppo raccapricciante, di Giordano Bruno; sarà vietato ai minori di 14 anni.
g.gh.

Proiettato (malgrado le contestazioni) il film più atteso della Mostra
Il poetico « Teorema » di Pasolini
arduo film di un marxista cristiano

(Trascrizione curata da Bruno Fraccaroli)

 

(Dal nostro inviato speciale) Venezia, 5 settembre

In una famiglia della haute industriale milanese, il babbo, la mamma, il figlio, la figlia e la fante sono conosciuti « biblicamente » da un essere sovrannaturale che ha la maschera «lontana » di Terence Stamp. Effetti sconvolgenti per tutti; ma negativi ossia profani per i primi quattro che sono incarcerati nella borghesia, sublimi per la fante (Laura Betti) che il marxismo cristiano di Pier Paolo Pasolini dignifica a santa. Chi ha letto il libro di Teorema sa come Pasolini abbia padroneggiato l’arrischiattissimo tema della conoscenza del divino attraverso la mediazione della carne con la sua forza di scrittore a più piani stilistici; al paragone, il film che lo stesso autore ne ha tratto è molto più semplice, lascia cadere, tra gli altri, il motivo sotterraneo dell’incesto. Nel cinema entrano diaframmi materiali che impongono discrezioni agli spiriti seri. Ora che Pasolini regista abbia avuto la mano leggera era quasi doveroso; ma la cosa straordinaria è che codesta levità sia appunto la bellezza del film. Altri registi che sappiano richiamare sul cinema un altro cielo, non ne conosciamo.

Diciamo questo per la purezza di parabola morale che Teorema raggiunge nella prima e più ardua parte; per il carattere sacrale di quei cinque « connubi » allineati e l’interno trasformarsi di quella villa di ricchi in cenobio. La seconda parte è presa dalle reazioni dei cinque dopo che l’ospite li ha lasciati. Niente di drammatico nella serva che, essendo stata posseduta nell’intimo, parte a razzo per il suo paese dove opererà portenti; non così nei padroni che attraverso le strette dell’angelo hanno preso coscienza del proprio vuoto e ora ci ricadono. Ma non potranno più essere quelli di prima, e la signora si fa adescatrice di maschi, il ragazzo pittore astratto, la ragazza cade in catalessi, e il capofamiglia francescanamente si spoglia della fabbrica e dei panni senza che perciò la borghesia da lui rappresentata esca dalla sua tragica « impasse ». A lui che nudo bruco urla selvaggiamente in un deserto biblico (questo simbolo torna spesso), il film dedica l’ultima immagine.

I molteplici effetti del passaggio dell’ospite, pur portando cose molto belle (la santa di paese), ci sono parsi meno riusciti del passaggio stesso. Qui si mescolano con qualche disordine la mistica populistica, le astrattezze, le polemiche pasoliniane e anche qualche impura lusinga spettacolare come lo sfrenamento erotico della virtuosa signora borghese. Ma non è poco che un film sia più pienamente espresso proprio sulle più ardue cime del suo argomento, e che nel caso particolare, attraverso un giudizioso processo di alleggerimento, i significati poetici del libro si siano riversati nel film. Strappa l’elogio Silvana Mangano per il tagliente furore di quella sua « madre » sbloccata e poi ribloccata, e così la Betti per la sua trascendente ottusità.

Dentro le intenzioni del regista sono anche Stamp, Massimo Girotti, Anne Wiazemsky, Andres José Cruz e il puntuale Ninetto Davoli, un folletto postelegrafonico. Bene anche la fotografia a colori di G. Ruzzolini e la musica di E. Morricone con largo ricorso alla « Messa di requiem » di Mozart. Ci scusiamo di rincantucciare in un periodo il greco Kieron di Demostene Theos, che attraverso la discutibile tessitura di un « giallo » esalta le idealità democratiche contro il « regime dei colonnelli ». Onore alle buone intenzioni.

Leo Pestelli




Curatore, Bruno Esposito

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