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lunedì 22 marzo 2021

Pasolini, Salò o la rappresentazione del Potere - di Maria Vittoria Chiarelli.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Salò o la rappresentazione del Potere:
Pasolini, senza speranza, imbraccia la cinepresa come un combattente.




Opera dura, cinica, brutale, crudele, agghiacciante, rivoltante, da parte di un Autore, Pier Paolo Pasolini, che non possiede affatto queste connotazioni nel suo substrato umano e culturale, che proviene da tutt'altra formazione, forte nella mitezza esistenziale, narciso che si specchia nel lago della sua cultura umanistica per attingere le fonti del suo pensiero sempre analitico, tanto incline a discernere, a separare, a distinguere, da farlo sembrare profetico: invero si tratta di capacità intellettuale a collegare elementi anche lontani nel tempo, fatti e fenomeni e sviscerare attraverso un'argomentazione stringente le "prede" della sua esperienza culturale articolata,

e se le smembrava, sul piano della scrittura civile e politica, pervenendo al nucleo essenziale del problema affrontato, a livello 
filmico la sua semiologia applicata è implacabile, sia che si tratti di opere magmatiche, sia che si proponga di realizzare opere perfette dal punto di vista formale, come Salò o Le centoventi giornate di Sodoma, ispirato al testo del marchese De Sade, il cui racconto delle perversioni sessuali, ha reso impraticabile , anche perché censurato, la lettura. Pasolini , in un'autointervista, lo definisce "il grande poeta dell'anarchia del potere", a cui le vittime sono totalmente soggiogate, schiavizzate ad un sesso visto come obbligo e bruttezza. Infatti è noto che Pasolini trasferisce De Sade nella Repubblica di Salò, durante la fase finale della dittatura fascista, perché il periodo repubblichino è una metafora perfetta del potere in assoluto. La trama del film è costruita intorno alle volutamente macchinose e terribili vicende dei Tre Gironi, quello delle Manie, della Merda, del Sangue, ( più un Antinferno ) secondo la 
rappresentazione dantesca utilizzata anche da De Sade. I "registi" sono in realtà quattro rappresentanti del potere, suddiviso in settori: la casta (il Duca), il potere ecclesiastico, ( il Vescovo), il potere giudiziario ( il Presidente della Corte d'Appello), il potere economico ( il Presidente della Banca Centrale), coadiuvati da tre Megere, tre "gentili" e "raffinate" signore, accompagnate nei loro racconti da una pianista: rappresentano il perbenismo borghese, che pervade con il suo insopportabile olezzo l'atmosfera mollemente soffusa e sofisticata, contraltare in stridente contrasto con le perversioni commesse. Il potere nella sua anarchia decide di essere maschera grottesca, imperturbabile sfinge nell'usare i corpi a proprio piacimento, fino a renderli talmente soggiogati da trasformarli in loro propaggini, complici del suo sistema, basato su una ritualità rigida e ripetitiva esattamente come nei gironi infernali, immaginati da Dante e attuati con meticolosità aberrante in tutti i campi di concentramento della storia che ha perso ogni ambizione evolutiva e di progresso, ingessata nella sua immobilità. Il potere nutre la sua insaziabile avidità di accumulazione di atti e comportamenti indotti, ma pretende devozione, per cui si concede atteggiamenti viscidi, 
mollicci, brutalmente amabili. Quante volte, nelle parate organizzate per osannare i sistemi totalitari, abbiamo visto i dittatori accarezzare bambini, appuntare medaglie sul petto dei propri sottoposti, militari o anche operai schiavizzati, salutare con "paterna" indulgenza i contadini, prima di strapparli alla terra e farli massacrare in carneficine assurde. La figura retorica dell'iperbole diventa la cifra preferita di ogni manifestazione del potere che periodicamente ha bisogno di soddisfare i suoi appetiti vampireschi di sangue e così si nutre delle sue vittime, può persino arrivare ad "inventarsi" dei nemici, delle schiere di oppositori, di scorgere complotti dappertutto o allacciare ambigue alleanze, usarle o eluderle a seconda di opportunità calcolate, di negare l'evidenza, di ricattare, di vagheggiare imperi dove "non tramonta mai il sole". Il Male si traveste da Bene, pretende ogni identificazione, può tutto, gli si deve tutto, può concedere qualunque cosa, e in un delirio di onnipotenza far addirittura credere che siano conquiste libere, volute dal popolo, che si specchia riconoscendosi nel "capo". Questa è una forma classica di potere che ha i suoi retaggi nel passato, pertanto ben identificabile, in quanto, soprattutto in Occidente le Eumenidi hanno da secoli ormai contrastato le Furie, per usare sempre le metafore mitologiche di Pasolini nel suo splendido lavoro teatrale "Pilade". Ma è in Porcile, sia opera teatrale che film nel 1969, che il Poeta realizza la forma che sarà ponte diretto verso Salò: la separazione tra individuo e Potere è netta ed incolmabile. Cos'è l'individuo? Nulla, nel suo contorcersi di verme impotente nelle sue trasgressioni, rese inutili dalla solitudine in cui è costretto, diverso, reietto, ma bisognoso di nutrirsi all'ombra di quel potere che lo sopporta, lo aliena, nella disperazione delle ossessioni, anch'esse ripetitive e spogliato di ogni possibilità di autentica ribellione.


Dopo ogni soglia superata dalla Ragione, non rimane altro al "ribelle" che sparire dal mondo del "Sig.Herdhitze" e del "Sig. Klotz" e "del loro contrario". Il povero Julian non era mai entrato nel "gioco" del potere, non aveva mai preso una decisione vera, radicale, se non quella della sua ossessione e da quella ossessione è letteralmente sbranato: i porci, oggetto della "passione amorosa" di Julian Klotz, sono stati la valvola di sfogo del suo potere infimo, così somigliante a quello dei magnati tedeschi nei confronti degli Ebrei. I magnati del potere economico capitalista così simili ai maiali, come li ha raffigurati Grosz. Julian sparisce divorato dai suoi maiali: di lui non resterà nulla, neppure un pezzetto e...il Potere chiederà il silenzio. Nessuno dovrà sapere.

La mossa vincente del Potere di tutti i tempi: non sapere, fagocitare tutto prima che emergano prove, che siano perseguiti i colpevoli. Ai contestatori estremi non rimane altro che l'ebbrezza della gioia nella morte, di essere eliminati dal gioco perverso. Il giovane cannibale prima di essere punito con una morte atroce pronuncerà le sue uniche parole:
« Ho ucciso mio padre, ho mangiato carne umana, ed ora tremo di gioia. »
Pasolini attraverso le sue opere che hanno percorso i linguaggi e le forme dirompenti dall'interno, esprimibili attraverso di essi, è stato tra gli Autori più efficaci e più radicalmente contestatori del Potere, poiché ha reso visivi i contrasti labirintici di manipolazioni del Male che, in quanto incarnato nella natura umana, sopprime ogni tensione morale verso il Bene, che pur esiste e costituisce la sola forza creatrice, quella del vero rifiuto razionale e religioso, nella direzione del sacro, di ogni compromesso suicida con il sistema che manipola corpi e coscienze, in quanto compito programmato del potere è quello che prevede che gli uomini non abbiano più "problemi di coscienza".
Perfetto vero? Una macchina ad orologeria però, perversa nella sua presunta perfezione: esploderà prima o poi!
Anche se per ancora molto tempo, i Poeti "contestatori viventi" saranno come Jan Palach, in "Bestia da stile" , forse il più disincantato tra i drammi di Pasolini che ormai è convinto che la funzione della Poesia sia esaurita. Uscire di scena "ebbro d'erba e di tenebre"?

I meccanismi del vecchio potere paleoindustriale, ancora riconoscibile e capace di generare al suo interno germi reali rivoluzionari, si sono tramutati in altro, sbarazzandosi delle istituzioni obsolete di cui si serviva per asservire con forme ancora più subdole, di accettazione dell'esistente, creduto come il migliore dei mondi possibili, frutto di rivendicazione di diritti che, in realtà, sono stati concessi dall'alto, perché funzionali alla mercificazione operata dal consumismo.
Quest'ultimo si è presentato come la soddisfazione dei bisogni, come tolleranza, come permissività: il principio di autorità, contro il quale i figli della borghesia si erano scagliati è diventato un boomerang lesivo della libertà di coscienza. In effetti che farsene della coscienza se è molto più facile vivere senza? L'aspetto tragico è che non ci si accorge di non averla, anzi si è convinti di scegliere, di aver raggiunto diritti prima inimmaginabili.
Una nuova forma di dittatura, la più feroce, fondata sui feticci del potere, contrabbandata come libertà.
Attraverso Salò, Pasolini punta lo sguardo spietatamente al fine di smascherare il gioco: la repubblica di Salò è un pretesto, è il vecchio potere insulso, grottesco, quello della "banalità del male" di Hannah Arendt. Ma Salò è soprattutto la metafora dell'anarchia del potere della "Storia finita", quella avara di speranze, quella che pretende che tutti siano complici e consenzienti , quella che farà gridare tutte le sue vittime nel tunnel senza sbocco, senza luce : "Dio, perché ci hai abbandonati?"
Terrorismo ideologico da parte di Pasolini?
No, credo, invece, si tratti della più pessimistica analisi della storia umana che un intellettuale possa aver mai affrontato, perché faceva i conti con la visione del "dopo", la "Dopostoria", secondo le categorie del Poeta.
Conosciuto il Male, originatosi dal conformismo degli individui organizzati in società, che a sua volta ha generato il razzismo e la fobia contro tutto ciò che non è stabilito, con rigidi codici e regolamenti, ci può essere una via d'uscita? La prefigurazione di "un mondo sempre più brutto" può essere superata?
Nel 1975 Pasolini continua il suo lavoro di disamina: gli Scritti Corsari costituiscono la semiologia attraverso cui "leggere" ed interpretare i "corpi" perché, manipolando questi, si arriva nel contempo a manipolare le coscienze.
Dirà durante le riprese di Salò in un' intervista, riportata nel bel film di Giuseppe Bertolucci, "Pasolini prossimo nostro":
"Nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole. E ciò che il potere vuole è completamente arbitrario o dettato da sua necessità di carattere economico, che sfugge alle logiche razionali. Io detesto soprattutto il potere di oggi. Ognuno odia il potere che subisce, quindi odio con particolare veemenza il potere di questi giorni. È un potere che manipola i corpi in un modo orribile, che non ha niente da invidiare alla manipolazione fatta da Himmler o da Hitler. Li manipola trasformandone la coscienza, cioè nel modo peggiore, istituendo dei nuovi valori che sono dei valori alienanti e falsi, i valori del consumo, che compiono quello che Marx chiama un genocidio delle culture viventi, reali, precedenti. Sono caduti dei valori, e sono stati sostituiti con altri valori. Sono caduti dei modelli di comportamento e sono stati sostituiti da altri modelli di comportamento. Questa sostituzione non è stata voluta dalla gente, dal basso, ma sono stati imposti dal nuovo potere consumistico, cioè la nostra industria italiana pluri-nazionale e anche quella nazionale degli industrialotti, voleva che gli italiani consumassero in un certo modo, un certo tipo di merce, e per consumarlo dovevano realizzare un nuovo modello umano".


Un nuovo modello umano che corrisponde ad una borghesizzazione generalizzata, all'istruzione media, al linguaggio televisivo, ai comportamenti omologati: il nuovo tipo umano è il "borghese piccolo piccolo" , consumatore di rapporti mercificati: oggi precarizzato, nevrotico nell'ansia di uno standard di vita che non è più assicurato a causa della perdita di diritti sul lavoro, compensati da liberalizzazioni di vario genere che si sovrappongono spesso ad un substrato non ancora realmente emancipato.
Pasolini opera un distinguo tra il fascismo repubblichino di Salò e il nuovo fascismo della società consumistica che di liberale non ha più nulla e che ai nostri giorni avremmo connotata come neoliberista:
"L'Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo. Essere laici, liberali, non significa nulla, quando manca quella forza morale che riesca a vincere la tentazione di essere partecipi a un mondo che apparentemente funziona, con le sue leggi allettanti e crudeli. Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società".
In un'intervista di Massimo Fini sull'Europa del 26 dicembre 1974 ,in riferimento al film di Nico Naldini, "Fascista" affermerà:
" Io credo, lo credo profondamente, che il vero fascismo sia quello che i sociologhi hanno troppo bonariamente chiamato la "società dei consumi". Una definizione che sembra innocua, puramente indicativa. E invece no. Se uno osserva bene la realtà, e soprattutto se uno sa leggere intorno negli oggetti, nel paesaggio, nell'urbanistica e, soprattutto, negli uomini, vede che i risultati di questa spensierata società dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un vero e proprio fascismo. Nel film di Naldini noi abbiamo visto i giovani inquadrati, in divisa... Con una differenza, però. Allora i giovani nel momento stesso in cui si toglievano la divisa e riprendevano la strada verso i loro paesi e i loro campi, ritornavano gli italiani di cento, di cinquant'anni addietro, come prima del fascismo.

Il fascismo, in realtà, li aveva resi dei pagliacci, dei servi, e forse in parte anche convinti, ma non li aveva toccati sul serio. Nel fondo dell'anima, nel loro modo di essere. Questo nuovo fascismo, questa società dei consumi, invece, ha profondamente trasformato i giovani, li ha toccati nell'intimo, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di pensare, di vivere, altri modelli culturali. Non si tratta più, come all'epoca mussoliniana, di un'irregolamentazione superficiale, scenografica, ma di una irregolamentazione reale che ha rubato e cambiato loro l'anima. Il che significa, in definitiva, che questa "civiltà dei consumi" è una civiltà dittatoriale. Insomma, se la parola fascismo significa la prepotenza del potere, la "società dei consumi" ha bene realizzato il fascismo".
La nuova dittatura ha colonizzato ciò che non era colonizzabile: il "corpo".
Il corpo appartiene ai regimi, è proprietà delle dittature, per cui, negli Stati con regime repressivo conclamato, si manifesta con la privazione della libertà e con la tortura, come avviene in Turchia, in Egitto, in molti Paesi mediorientali, ma è una pratica non disdegnata neppure dai Paesi democratici, negli oscuri meandri dell'istituzione carceraria o respingendo coloro che fuggono da situazioni di guerra o di miseria, mantenendoli in situazioni disumane o, peggio, trattandoli come merce di scambio.
Il corpo umiliato è sempre stato l'emblema dell'esercizio del potere in tutte le epoche storiche, la sua arma di ricatto, ma la tragedia delle democrazie è stata quella di aver fatto passare per libertà quello che non lo era affatto, di aver usato "contro il neocapitalismo armi che in realtà portano il suo marchio di fabbrica, e sono quindi destinate soltanto a rafforzare il suo dominio".
Si può uscire da Salò, alla fine? O siamo irrimediabilmente soggiogati dal potere lì rappresentato? Se si guardano le foto delle riprese del film, si può osservare Pasolini che non ha l'intenzione di abbandonare la lotta: non è ripiegato su se stesso, è chi delle proprie ossessioni ne fa uno strumento di conoscenza e di lotta civile. Pasolini era in una fase senza speranze ed illusioni, ma non può farne a meno: è un combattente nato e la cinepresa è ben puntata sullo scenario sempre più doloroso e contraddittorio della realtà, in cui sarà certamente più difficile estirpare il cancro del Male, ma il senso rimane pur sempre nella lotta disperata che invera la vita, fosse anche un unico gesto di ribellione vera, come quello del giovane che muore con il pugno alzato.
È importante, alla luce dell'analisi di Pasolini che negli anni Settanta, aveva già prefigurato l'evoluzione dello sviluppo neoliberista , avere completamente coscienza dello stato di cose e dell' "essere tutti in pericolo", ovvero in un pericoloso miscuglio di bene e di male, come le vittime di Salò : quasi un commiato da parte di una voce che ha gridato nel deserto, ma il cui "urlo" durerà fino alla fine dei tempi.
" Il potere è un sistema di educazione che ci divide in soggiogati e soggiogatori. Ma attento. Uno stesso sistema educativo che ci forma tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri. Ecco perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo. Se ho tra le mani un consiglio di amministrazione o una manovra di Borsa usa quella. Altrimenti una spranga. E quando, uso una spranga faccio la mia violenza per ottenere ciò che voglio. Perché lo voglio? Perché mi hanno detto che è una virtù volerlo. Io esercito il mio diritto-virtù. Sono assassino e sono buono".
(dall'ultima intervista rilasciata a Furio Colombo, la sera prima del 2 novembre 1975 ).





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Curatore, Bruno Esposito

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