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sabato 3 aprile 2021

La rabbia di Pier Paolo Pasolini e un'ipotesi di ricostruzione della versione originale del film.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



 
La rabbia di Pasolini
*****
Ipotesi di ricostruzione della versione originale del film di Pier Paolo Pasolini
di Lietta Tornabuoni, "La Stampa"
e
La rabbia di Pasolini
Da un'idea di Tatti Sanguineti l'ipotesi di ricostruzione della versione originale del film



1963. Pier Paolo Pasolini, attraverso i cinegiornali 'Mondo libero' di Gastone Ferranti e i materiali reperiti in Cecoslovacchia, Unione Sovietica e Inghilterra, realizza un film di montaggio che analizza polemicamente i fenomeni e i conflitti sociali e politici del mondo moderno. Durante la fase di montaggio, Pasolini cede alla richiesta del produttore di trasformare il film in un'opera a quattro mani con

Giovannino Guareschi, secondo lo schema giornalistico del "visto da destra visto da sinistra". Pasolini deve quindi rinunciare a parte del film per lasciare spazio all'episodio di Guareschi.

2008. Partendo dal testo del poeta e dalla collezione di 'Mondo libero', Giuseppe Bertolucci e Tatti Sanguineti provano a restituire all'opera di Pasolini i connotati dell'originale. La ricostruzione comprende: Introduzione di Giuseppe Bertolucci (2'), materiale inedito dell'archivio dell'Istituto Luce (cinegiornali di 'Mondo Libero', Settimana Incom, Opus Film; 16'), "La Rabbia" (edizione del 1963) (53') del Gruppo Editoriale Minerva RaroVideo, e l'appendice "L'aria del tempo" (12').

Anno 2008
Durata 76'
Nazione Italia
Produzione Cineteca del Comune di Bologna, Istituto Luce, Gruppo editoriale Minerva RaroVideo
Distribuzione Istituto Luce
Regia Pier Paolo Pasolini - Giuseppe  Bertolucci (realizzazione)
Tratto da un'idea di Tatti Sanguineti
Soggetto Pier Paolo Pasolini (1963) - Tatti Sanguineti (2008)
Sceneggiatura Pier Paolo Pasolini  (1963) - Tatti  Sanguineti, Giuseppe  Bertolucci (2008)
Montaggio Nino Baragli, Mario Serandrei, Pier Paolo Pasolini [collaborazione] (1963) – Fabio Bianchini (2008)
Con Giorgio Bassani (voce in poesia); Renato Guttuso (voce in prosa); Valerio Magrelli (letture della parte ricostruita); Giuseppe Bertolucci (letture della parte ricostruita)
Genere Documentario


"La rabbia di Pasolini" è, come dichiara il suo sottotitolo, un'ipotesi di ricostruzione, ed è allo stesso tempo un ritrovamento insperato, il ritorno inaudito d'una voce poetica e d'una forza visionaria che spalanca vertigini sul nostro presente, e un autentico risarcimento culturale.
L'ipotesi di ricostruzione 'restituisce' a Pasolini l'integrità della sua opera, con 16 minuti in più mai visti finora e una ricca appendice di approfondimento su l'aria del tempo.
Un 'inedito' pasoliniano, nel 2008? La storia comincia nel 1963. Pasolini, su commissione del produttore Gastone Ferranti, si mette all'opera intorno a un film che si chiamerà "La rabbia". Sarà un film-laboratorio, un film-saggio, il montaggio di immagini di repertorio che andranno a costituire un'immagine poetica e politica del mondo contemporaneo. Lavora sui cinegiornali della popolare serie 'Mondo libero', prodotta da Ferranti: decide di usare queste tracce visive di cronaca e storia recente, di interpolarle a immagini d'arte e di rotocalco, di sottometterle a un testo lirico che vibra di indignazione civile (voci recitanti quelle di Giorgio Bassani e di Renato Guttuso), di farne "un nuovo genere cinematografico". E' un esperimento intellettuale poderoso che bruscamente s'interrompe: il produttore decide di trasformare il film in un'opera a quattro mani, affidandone una parte a Giovannino Guareschi, secondo lo schema risaputo del "visto da sinistra visto da destra". Pasolini reagisce con irritazione, ma alla fine accetta e rinuncia alla prima parte del suo film per lasciare spazio all'episodio di Guareschi. Da qui il solco che si apre tra il testo poetico, più lungo e diversamente strutturato (oggi disponibile nei Meridani Mondadori), e il film com'è stato finora conosciuto, peraltro assai fugacemente: viene infatti ritirato subito dopo l'uscita.

Un film "respinto, snaturato, dimezzato" (Sanguineti), che rivede oggi la luce in virtù di scavo archeologico e passione culturale. L'idea prende vita dalla constatata discrepanza tra testo poetico e film; la parte iniziale del film, cui Pasolini dovette rinunciare, è stata ricostruita seguendo fedelmente le indicazioni del testo e scovando le immagini corrispondenti nella collezione di 'Mondo libero' conservata presso il Luce. La ricostruzione porta sedici minuti di nuove immagini (nuove voci recitanti, lo stesso Bertolucci e Valerio Magrelli): immagini dei funerali di De Gasperi, dei cannoni atomici, dell'Europa che nasce, della guerra in Corea, del paesaggio italiano, della televisione italiana, di "una violenta, irreversibile trasformazione sociale e culturale di cui Pasolini sarà il testimone più acuto e sofferto" (Roberto Chiesi). L'aria del tempo, che è anche il tempo del sistematico linciaggio mediatico ai danni del poeta, circola infine nei documenti d'epoca che chiudono "La rabbia di Pasolini", certe Settimane Incom che parlano di lui per irridere e demolire, e due rare interviste all'autore.

Note 
"La Rabbia di Pasolini" è stato montato nel Laboratorio L'Immagine Ritrovata della Cineteca di Bologna che ha eseguito anche la lavorazione in digitale; il Laboratorio ha inoltre restaurato l'edizione de "La rabbia" di Pier Paolo Pasolini e Giovannino Guareschi (1963) del Gruppo Editoriale Minerva RaroVideo. 16 minuti aggiunti di materiale inedito tratto dall'archivio dell'Istituto Luce (cinegiornali di Mondo Libero, Settimana Incom, Opus Film).

La critica
"Tolta forse la parte 'filosovietica', 'La Rabbia' scorre magmatico e profetico mescolando i funerali di De Gasperi e l'ode a Marilyn, Giovanni XXIII e i caduti di Cefalonia, la Guerra in Corea e le gare di ballo, l'incubo nucleare e l'avvento della tv, fonte di ogni futuro abominio, con una lucidità visionaria ribadita dalle interviste montate in appendice. Insieme ad alcuni allucinanti spezzoni di film e settimane Incom che testimoniano il linciaggio quotidiano cui era sottoposto Pasolini. Da non perdere."
Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero'

"Il motivo di attrazione del film è soprattutto la curiosità: tra l'altro, per l'abuso televisivo, il materiale di repertorio s'è fatto molto noto."


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Il film di Pasolini.

« ho scritto questo film, senza seguire un filo cronologico e forse neanche logico,
ma soltanto le mie ragioni politiche e il mio sentimento poetico».

La parola chiave è Libertà. E il film inizia con le immagini di un grave vulnus alla libertà, l’invasione dell’Ungheria nel 1956 da parte delle truppe sovietiche. Pasolini, mentre scorrono le immagini le commenta con poesie che vengono lette da Renato Guttuso.


Neri inverni d’Ungheria:
è scoppiata la Controrivoluzione.
Nere città d’Ungheria:
i fratelli bianchi uccidono.
Neri ricordi d’Ungheria:
i fratelli borghesi non perdonano.
Nera pace d’Ungheria:
chiedono sangue per le colpe di Stalin.
Nero sole d’Ungheria:
le colpe di Stalin sono le nostre colpe.

Se non si grida evviva la libertà umilmente
Non si grida evviva la libertà.
Se non si grida evviva la libertà ridendo
Non si grida evviva la libertà.
Se non si grida evviva la libertà con amore
Non si grida evviva la libertà.
Voi, figli dei figli gridate
con disprezzo, con rabbia, con odio evviva la libertà.
Perciò non gridate evviva la libertà.
Questo sappiate, figli dei figli.
Che gridate evviva la libertà con disprezzo, con rabbia, con odio

Nera serata di Parigi,
la borghesia francese va alla Bastiglia.
Neri boulevards di Parigi,
i suoi leaders marciano come colonnelli.
Neri presagi di Parigi,
la libertà è diventata un dolore.
Nero frastuono di Parigi,
Bideaut ha già in cuore il fascismo.
Nero futuro di Parigi,
la borghesia francese gridando muore.

Queste nevi erano dell’altr’anno,
o di mille anni fa, prima d’ogni speranza.
Sono madri nostre, figli, nipoti,
vecchi parenti nostri, queste figure identiche,
sopravvissute dai giorni del pianto – che piangono.
Il quarantatré, il quarantaquattro, essi
sono gli anni di questo biancore,
di questa emigrazione! Non erano trascorsi,
erano qui, con le loro indelebili nevi,
con le loro ereditarie lacrime.»
L’oppressione dell’Ungheria non deve far dimenticare ancora una volta l’oppressione coloniale degli stati europei. Nello stesso anno, Francia, Inghilterra e Israele tetano di impadronirsi del canale di Suez, suscitando la ribellione degli egiziani.

Funebri astati di Allah
Pattuglie egiziane sparano
Funebri silenzi di Allah
Miserabili uomini di colore sparano
Funebre sole di Allah
In nome di mille popoli sottoproletari


Ma la libertà è un principio che si diffonde nel mondo. È il turno dei popoli africani.

Scoppia un nuovo problema nel mondo
Si chiama colore.
Si chiama colore la nuova estensione del mondo
Dobbiamo annettere l’idea di migliaia di figli neri o marroni
Infanti con l’occhio nero e la nuca ricciuta.
Altre voci, altri sguardi, altre danze.
Tutto dovrà diventare familiare, ingrandire la terra.
Dobbiamo accettare distese infinite di vite reali
che vogliono, con innocente ferocia,
entrare nella nostra realtà.
Sono i giorni della gioia, i giorni della vittoria.

Gente di colore.
La Tunisia vive la liberazione
Si preparano anni di miseria, di lavoro, di errore
Gente di colore.
È nella speranza che l’uomo non ha colore.
Gioia dopo gioia
Vittoria dopo vittoria.
Gente di colore.
Il Tanganika è libero.
Una povera libertà di cui l’Europa può sorridere.
Gente di colore.
Un’altra nazione dell’Africa è indipendente.
Una libertà elementare,
con tutta la strada ancora da percorrere.
L’unico colore è il colore dell’uomo
Nella gioia di affrontare la propria oscurità
Gente di colore.
E nella vittoria che l’unico colore è il colore dell’uomo.
La vittoria costerà sudore.
I nemici sono fra gli stessi fratelli
La vittoria costerà terrore,
i fratelli attaccati al terrore antico.
La vittoria costerà ingiustizia,
i fratelli nella loro ferocia, innocenti.


Poi è la volta di Cuba (1960-62) e del tentativo americano di soffocare la sua rivoluzione

Forse solo una canzone poté dire
Cos’era il combattere a Cuba.

Combattere a Cuba.
Forse solo un ballo poté dire
Cos’era il combattere a Cuba.
Combattere a Cuba.
Era come combattere in mari inesplorati
Fatto di guerre selvagge
Combattere a Cuba.
Ora Cuba è nel mondo
Nei testi d’Europa e d’America
si spiega il senso del combattere a Cuba.
Una spiegazione feroce
Che solo la pietà può rendere umana
Nella luce del canto.
Il combattere a Cuba.

Morire a Cuba
Forse solo una canzone poté dire
Cos’era il morire a Cuba.
Morire a Cuba.
Era come morire a Napoli o Siviglia
Passo di decessi miserabili
Morire a Cuba.
Ora Cuba è nel mondo.
Nei testi d’Europa e d’America
si spiega il senso del morire a Cuba.
Una spiegazione feroce
Che solo la pietà può rendere umana
Nella luce del pianto.
Il morire a Cuba.

Voce dell’umorismo sciocco,
della paura della cultura,
scatenati, è il tuo momento
Tira, tira il tuo sospiro di sollievo
Voce della quotidiana volgarità.


Poi l’Europa. La lotta di classe, la cultura, l’intrattenimento, il consumismo.

Forse in molti paesi del mondo
Certo nel mio, che si chiama Italia,
il capitale si sente restaurato
il giorno che può ricominciare a comprare.
Comprare un operaio non costa nulla.
Basta far balenare alla nobiltà del suo cuore
Un riconoscimento di nobiltà.
È buon figlio, è buon padre
E vuole, disperato, anche lui essere spirito,
far parte dei festini di chi non vive di solo pane.
Può diventare cattivo come un cane fedele,
il disperato operaio bianco
perché sa, nel fondo della sua coscienza
di non essere degno.
E gli occhi gli brillano di una luce di fiele.
Per una bandiera rossa tradita,
un’effige di Dio ritrovata.
Ma l’oscurità della coscienza non richiede Dio,
bensì le sue statue.
La terribile forza dei farisei è non temere il banale e il ridicolo.
È con commuovente onestà che essi compiono io loro rito.
Sì, voce degli industriali
Voce della finta imparzialità.
Essi diventano poeti,
purché la poesia sia pura forma,
voce dell’incoercibile formalismo.


La democrazia: incoronazione di Elisabetta, elezioni americane, le forze armate.

Eh dolce regina,
commuovente sposa borghese, timida anche,
col suo complesso d’inferiorità
e la sua buona educazione
che le impedisce di dimostrarsi viva.
Eh, le riforme, stupendamente civili, certo,
ma quale sarà il futuro di una classe operaia
che oggi sciopera per il diritto all’ora del tè?

Duro, disadorno, severo è l’idillio.
Non teme ironia di poeti
Né incredulità di democratici
Ma c’è qualcosa di terribile nella prigionia del tempo,
nel dominio liberale e il presidente della storia.


La fede, la religione, il vaticano, l’elezione del papa. Giovanni XXIII

Un guerriero se ne va armato di silenzio
Verso là, dove non c’è più storia
Ah, nessuno di questi dignitari in lacrime
Saprà o vorrà mai sapere
Per quali necessità e per quali ragioni
La cristianità è diventata
Da religione di re religione borghese.
Seguono ora il borghesi
Coi loro fratelli sottoproletari
Il feretro del papa aristocratico,
come nella piazza di un grande e funebre paese.
Bruni negozianti romani
Popolane dallo sguardo epilettico di zingare,
pallidi burocrati italici
è la folla degli anni Sessanta
la marea del nostro secolo
che ha bisogno della religione
ancora disperatamente
per dare un senso unico al suo panico,
alla sua colpa, alla sua speranza.
Ci saranno fumate bianche per papi
figli di contadini del Ghana o dell’Uganda
per papi figli di braccianti indiani morti di peste nel Gange,
per papi figli di pescatori gialli morti di freddo nella terra del fuoco.
La lenta morte del mondo contadino che sopravvive popolando continenti
Lungo migliaia di guadi, di coste formicolanti di pescicani,
di isole carbonizzate dai vulcani aliterà
in queste fumate bianche la lentezza arcaica
della sua esistenza, giù nel futuro, lungo i decenni e i secoli.
Uguale al padre furbo e al nonno,
bevitore di vinelli pregiati,
figura umana sconosciuta ai sottoproletari della terra,
ma anch’essa coltivatore di terra,
il nuovo papa, nel suo dolce misterioso sorriso di tartaruga,
pare aver capito di dover essere il pastore dei miserabili,
perché è loro il mondo antico e sono essi che lo trascineranno
avanti nei secoli con la storia della nostra grandezza.
Sorride il pastor paganus,
e Renzo e Lucia si sposano lietamente davanti ai suoi occhi
Ormai anche gli archi barocchi sono loro
E i saloni d’oro di Don Rodrigo, e le grandi cattedrali.
Lo spirito è retaggio del mondo contadino
E tu sii il pastore del mondo antico
Che in quello spirito avito.
Queste sono le parole che l’angelo ha soffiato
All’orecchio del dolce papa dal misterioso, paterno testone campagnolo


L’URSS. Il comunismo russo dopo la rivoluzione di ottobre

Beati i figli i cui padri furono servi della gleba
Beati i figli che possono dire mio padre si è fatto grandi risate
Nel suo villaggio dove il padrone e i burocrati dello zar lo hanno fatto morire di fame per millenni.
La puritana violenza con cui rido,
la teatrale ingenuità con cui mi diverto nel mio villaggio, nella mia fabbrica è lui che me l’ha data
Beati i figli i cui padri furono eroi
Beati i figli che possono dire mio padre ha combattuto contro lo zar e il capitale
E la libertà che io ho me l‘ha data lui.
La terra che io semino e la fabbrica dove io lavoro me l’ha data lui.
I luoghi dove io godo la mia gioventù me li ha dati lui.
E io posso essere fiero di assomigliare a lui e pensare di assomigliargli per sempre.
Voglio godermi diligentemente la vita facendo le cose che mi sono state negate nei secoli
E che i giovani di provincia o di paese più ricchi di me per secoli hanno fatto
Voglio un po’ di danza, di mondanità, di spettacolo.
Tutto ciò che hanno avuto i padri ideali, non certo quelli carnali.
E sono fiero di rivestirmi poi dei miei poveri panni di operaio il mattino sotto il severo sole della mia provincia, del mio paese.
Tutto ciò che ebbero i iei padri ideali
E il mio padre carnale non ebbe e tanto desiderò, io lo voglio avere.
Voglio impadronirmi della cultura tradizionale,
voglio essere in possesso di ciò che è bello e nobile
e che per tanti secoli mi fu negato.
Voglio istruirmi con lo spirito di un volonteroso padre
Leggere come un padre giovane,
conoscere col cuore di un padre religioso
con obbedienza, perché sono il primo figlio istruito di una generazione che non ha avuto nulla
se non i calli nella mani e le pallottole del capitale nel petto.
E, ora che posso, per la prima volta nella storia della mia nazione
Io, giovane del popolo, voglio ascoltare la voce della cultura, della scienza, dell’arte.


L’Algeria e la lotta di liberazione. La Francia, terra della libertà si oppone con le armi all’indipendenza algerina.


Chi direbbe che il sentimento così profondo della libertà
Abbia vita in cuori che hanno visi così umili
Umili come lo sono ai margini del mondo
Dove si lavora la terra o si ruba
Vestiti con gli stracci dei padri
Umili visi di figli venuti al mondo
Senza spiegabile necessità.
Eppure, dietro questi visi
Di affamati o predoni
Cova quel sentimento terribile
Che la Francia chiamò libertà.
Un figlio qualsiasi,
che non ha che un viso,
intorbidito dai secoli,
viso di giovane assassino
di facchino gentile
parte dalla città e
tratto da una necessità
di cui non sa nulla,
cammina, cammina coi compagni
giunge al bosco nella montagna,
e là si arma, si prepara, si battezza
per la nuova, per l’eterna lotta.
L’acidità delle boscaglie al sole,
l’odore della montagna bombardata,
la lotta partigiana ora è là.
Ora è là che le pattuglie sudano.
Ora è là che il ragazzo ha il languore della morte.
Ora è là che è un disonore la pietà.

Ah Francia, l’odio!
Ah Francia, la peste
Ah Francia, la viltà.
Un piccolo aeroplano
Li porta in cielo,
e in cielo ronzano, ronzano, ronzano
l’odio, la peste e la viltà.
È la vendetta che ronza nel cielo, Francia,
contro chi nulla sa
e in sé ha la coscienza dell’universo intero.
Ronza, ronza, ronza nel cielo, Francia, la tua confusione.
Ronza nel cielo di una nazione
Che ha la sua forza nella sua umiltà.
Ronza nel cielo d’Algeria
Una crisi che ricrea la morte
E nella ricerca di una nova libertà
Vuole vittime la cui vittoria è certa.
Ah Francia, l’odio!
Ah Francia, la peste
Ah Francia, la viltà.
Un ronzio terribile, idiota, inverecondo
Una musica che finisce nel trauma di un bambino,
in un singhiozzo che squassa il mondo.

Sui miei stracci sporchi
Sulla mia nudità scheletrita
Su mia madre zingara
Su mio padre pecoraio
Scrivo il tuo nome.
Sul mio primo fratello predone
Sul mio secondo fratello sciancato
Sul mio terzo fratello lustrascarpe
Sul mio quarto fratello mendicante
Scrivo il tuo nome.
Sui miei compagni della malavita
Sui miei compagni disoccupati
Sui miei compagni manovali
Scrivo il tuo nome.
Libertà

Sui nomadi del deserto
Sui braccianti di Medina
Sui salariati di Orano
Sui piccoli impiegati di Algeri
Scrivo il tuo nome.
Sulle misere genti di Algeria
Sulle popolazioni analfabete dell’Arabia
Sulle classi povere dell’Africa
Sui popoli schiavi del mondo sottoproletario
Scrivo il tuo nome.
Libertà.

Gioia dopo gioia
Vittoria dopo vittoria
Gente di colore
L’Algeria è restituita alla storia
Gente di colore vive i giorni più belli della vita
Mai luce negli occhi sarà più pura
Mai gesti di felicità più cari.
Gente di colore, sono i giorni della vittoria
Di tutti i partigiani del mondo
Gioia, ma quanto inestinguibile terrore.
In mille parti del mondo
E nella nostra memoria.
La guerra non è cessata
Anche se non vogliamo ricordare
La guerra è un terrore che non vuole finire
Nell’animo, nel mondo.

Il mito di Marylin Monroe e quello della bellezza

Del mondo antico e del mondo futuro
Era rimasta solo la bellezza
E tu, povera sorellina minore,
quella che corre dietro i fratelli più grandi
e ride e piange con loro per imitarli,
tu sorellina più piccola
quella bellezza l’avevi addosso umilmente
e la tua anima di figlia di piccola gente
non ha mai saputo di averla
perché altrimenti non sarebbe stata bellezza.
Il mondo te l’ha insegnata
Così la tua bellezza divenne sua.
Del pauroso mondo antico
E del pauroso mondo futuro
Era rimasta solo la bellezza
E tu te la sei portata dietro
Come un sorriso obbediente.
L’obbedienza richiede troppe lacrime inghiottite.
Il darsi agli altri troppi allegri sguardi che chiedono la loro pietà.
Così ti sei portata via la tua bellezza.
Sparì come un pulviscolo d’oro.
Dello stupido mondo antico
E del feroce mondo futuro
Era rimasta una bellezza
che non si vergognava di alludere
ai piccoli seni di sorellina,
al piccolo ventre così facilmente nudo.
E per questo era bellezza.
La stessa che hanno le dolci ragazze del tuo mondo
Le figlie dei commercianti
vincitrici ai concorsi a Miami o a Londra.
Sparì come una colombella d’oro.
Il mondo te l’ha insegnata
E così la tua bellezza
Non fu più bellezza.
Ma tu continuavi a essere bambina
Sciocca come l’antichità,
crudele come il futuro.
E fra te e la tua bellezza
Posseduta dal potere
Si mise tutta la stupidità e la crudeltà del presente.
La portavi sempre dietro
Come un sorriso tra le lacrime
Impudica per passività
Indecente per obbedienza.
Sparì, come una bianca colomba d’oro.
La tua bellezza sopravvissuta dal mondo antico,
richiesta dal mondo futuro,
posseduta dal mondo presente
divenne un male mortale.
Ora i fratelli maggiori finalmente si voltano
smettono per un momento i loro maledetti giochi
Escono dalla loro inesorabile distrazione,
e ti chiedono: è possibile che Marylin
la piccola Marylin ci abbia indicato la strada?
Ora sei tu, quella che non conta nulla, poverina,
col suo sorriso,
e tu la prima, oltre le porte del mondo
abbandonato al suo destino di morte.

Sogni di morte
Ah! Figli! Erano mostri le madri
Lente fatalità che si compiono fuori dal mondo
Noi non siamo mai esistiti.
La realtà sono queste forme nella sommità dei cieli

La classe padrona della bellezza
Fortificata dall’uso della bellezza
Giunta ai supremi confini della bellezza
Dove la bellezza è soltanto bellezza.

La classe padrona della ricchezza
Giunta tanta confidenza con la ricchezza
Da confondere la natura con la ricchezza.
Così perduta nel mondo della ricchezza
Da confondere la storia con la ricchezza.
Così addolcita dalla ricchezza
Da riferire a Dio l’idea della ricchezza.
La classe della bellezza e della ricchezza
Un mondo che lascia fuori dalla sua porta
E la classe degli scialli neri di lana
Dei grembiuli neri da poche lire
Dei fazzoletti che avvolgono le facce bianche delle sorelle
Delle attese cristiane
Dei silenzi fratelli del fango e del grigiore dei giorni del pianto
La classe che dà supremo valore alle sue povere 1000 lire
E su questo fonda una vita
pena capace di illuminare
La fatalità del morire


La conquista delle spazio. Gagarin. La gara con gli USA.

Salgo nel cielo con un semplice cuore
Grande perché è grande la mia nazione.
Addio mondo di incerti padri e figli certi.
Volo a occidente, e il mio volo assorbe nel mio cuore buono
Il male che domina nel mondo.
Roma si libera, vista dall’altezza che è giudizio morale
Dal buio degli incensi
Come un gas disperso dalla brezza
Di uno spirito di puri sentimenti.
Volo a occidente
E il mio passaggio è come quello di una semplice rondine
Che annuncia che irrimediabile è il maggio.
Una civiltà laggiù trionfava.
Improvviso io ne annuncio l’agonia
A Parigi, a Londra frana una favola umana
Una grande storia col suo pensiero e la sua poesia.
Volo a occidente.
E alla mia vita il nemico che invade in pace il cielo
Washington trattiene il suo furore
Contro il popolo che avanza.
Ritrova un impeto di amore
Sotto il mio volo purificatore
Anche quel mondo senza speranza.
Riscendo a terra, tra i semplici cuori dei miei compagni,
grandi perché è grande la nostra nazione.
E con me porta la coscienza di un nuovo sole
Fino a oggi perduto nel futuro
E ora conquistato, vecchia speranza di imprevisto amore.


@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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