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domenica 13 dicembre 2020

Pier Paolo Pasolini - Dal Vero, 1952 ( L'Unità, narratori di ieri e di oggi ).

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



"Dal vero" (1953-54) apparve su L'Unità del 15 luglio 1952, privo del collage dantesco che lo precedeva

[...]

E quella fronte c'ha 'l pel così nero
… … … …; e quell'altro ch'è biondo...
Suo cimitero da questa parte hanno
con Epicuro tutt'i suoi seguaci,
che l'anima col corpo morto fanno.
E l'altro, cui pareva tardar troppo,
gridava: « Lano, sì non furo accorte
le gambe tue alle giostre del Toppo! »
Luogo è in Inferno detto Malebolge,
tutto di pietra di color ferrigno...
Di qua, di là, su per lo sasso tetro
vidi demon cornuti...
come che suoni la sconcia novella,
I' m'accostai con tutta la persona
lungo 'I mio duca, e non torceva li occhi
dalla sembianza lor ch'era non bona.
… e vidivi dentro terribile stipa
di serpenti, e di sì diversa mena
che la memoria il sangue ancor mi scipa.
Più non si vanti Libia con sua rena;
ché se chelidri, iaculi e faree
produce, e cencri con anfisibena,
né tante pestilenze né sì ree
mostrò già mai con tutta l'Etiopia
né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe.
Al fine delle sua parole il ladro
le mani alzò con amendue le fiche...
Con sei occhi piangea, e per tre menti
gocciava 'l pianto e sanguinosa bava...
… mentre che la speranza ha fior del verde.


Collage da Dante
( Pier Paolo Pasolini - da Ali con gli occhi azzurri ).


[...]

ma arricchito di un ultimo paragrafo ("La sera scendeva su San Lorenzo..."). Verrà pubblicato da Garzanti nel 1965 all'interno del volume miscellaneo "Alì dagli occhi azzurri". Ora in: Tutte le Opere > "Romanzi e racconti, vol. 2, 1962-1975", Meridiani Mondadori 1998, pp. 437-445.

Daniele Cenci
  
Pier Paolo Pasolini - Dal Vero, 1952 
( Narratori di ieri e di oggi ).
L'Unita / domenica 15 luglio 1962

(Trascrizione curata da Bruno Esposito)


La gran facciata del Penitenziario si staccò e cominciò lentamente a spostarsi indietro. Gialla, nuda, giganteggiava, retrocedendo, tra i muraglioni, gialli, nudi anch'essi, in fondo a cui cominciò ad emergere l'altra ala, come un enorme parallelepipedo. Man mano che quei due edifici, bucherellati da centinaia di finestre, restavano indietro, si isolavano sempre più contro il cielo lattiginoso, e contro l'agro li intorno spelacchiato: senza un albero per quanto potesse spaziare lo sguardo.

A destra comparve e restò subito indietro, ruotando, la garitta vuota e scrostata come una latrina: col gesto di due carabinieri sbragati sulla polvere, il fucile tra le gambe, e sopra rulla breve ascesa, anch'essa ruotante, un quadro ronzante di vita popolare, con ragazzini, stracci, cani: che sparirono tra le case da arabi, a un piano e di calce.

II Penitenziario continuò a rimpicciolire, giallognolo, e dopo che furono passati radendo gli argini impolverati, comparve di faccia, sulla gran depressione dell'Aniene, un vasto digradare di prati formicolanti, come cimiteri, di fiori , un cavallo marrone col lunghissimo collo teso su quei fiori, e, in fondo, spalmata.su tutto l'orizzonte, quant'era lunga, Roma.

Su quella visione di Roma, o piuttosto dei quartieri tiburtini, da Monte Sacro, Pietralata, giù giù fino a Tor de' Schiavi, il Prenestino, Centocelle,. con miriadi di case come scatole di scarpe, e baracche, e torracce, l'autobus si inchiodò. . .

« A fattori, — disse Claudio, il liberante — che ce 'o fai er bijetto? »

« Come, no », fece il fattorino>>.

« Vedemo un po' qqua, a quanto ce 'o metti? »

« Famo venti lire, va »

« Che te va de scherzà? E quanno 'e rimedio io, venti lire? »

« Aòh, a me me 'o venghi a ddi? »
« A me nun me va de pagà! »

« Fa un pò come te pare, a morè, dopo sò affari tua, dopo ».

« E paga, dàje, a Cla' » fece allora Sergio il compare del liberante.

« E famme contrattà un pochetto, no? — fece Claudio — Mbè, famo na tredicina de lire, a fattori? »

« Ammappete, fijo bello, te 'a passi male, si nun me sbajo! » zagaiò il fattorino.

Sergio si stufò: « Auffa, già me so stufato, ssa, a Clà. Caccia ste quaranta lire, namo ».

<< Ahio, quant'è cattivo questo — disse il fattorino —. Che, le ha lassate a casa 'e pistole, a pischè? »

« Stamo aggravati, fattori — confessò Claudio —. Questo e dù anni che nun lavora, e io sorto adesso de bottega!»

Dato ch'era appena sortito de bottega, Claudio era tutto felice, e si stava godendo le prime dolcezze delIa vita in libertà, tanto che avrebbe preso di petto alla malandrina pure un sasso, per mettersi a chiacchierare, se non avesse incontrato un fattorino della ATAC o qualche altro dritto. Cacciò magnanimo dalla saccoccia le quaranta lire, prese i biglietti, e si spinse con l'aria d'un bocchissiere un po' groncio tra i sedili, seguito pigramente da Sergio, che si guardava stanco intorno con la sua faccia di maomettano.

 « Sbragàmise qqua, a Sè » fece  Claudio.

« Sbragamise qqua » fece Sergio.

Dal fondo dell'autobus il fattorino si  Intromise: « Tutta festa oggi, eh? ».

« Come, no » ammise Claudio.

« Quale festa, quale festa, ma si nun  pagamo manco li ciechi! » disse Sergio,  con I'occhio perso.

« E lèvate, a Sè » — ribattè il compare  — « che tu dichi cosi perchè nun ce se stato llà ddentro! Ma mmejo n'anno  ssenza na lira e magnà da li frati,  stacce, che un ciorno ssolo llà dentro...».

« E' regolare » concluse il filosofo  laggiù, col berrettino pargulo sugli occhi,  contando gli spiccioli.


Tutt'a un botto Claudio e Sergio zomparono in piedi, e gettandosi sui vetri della cabina del conducente, cominciarono a picchiarvi con le nocche.

II conducente che con la matita sullo orecchio stava consultando alteramente il listino degli orari, e facendo a mente i suoi calcoli, voltò di sguincio la faccia gialla e nera, e fissò con freddezza quei due sciammannati. Ma essi eran troppo di buon umore per capire che tra la gente libera ci fosse qualcuno che non gliene importasse un cavolo della libertà e anzi c'avesse li nervi. Senza badare all'espressione scura del conducente, gli fecero allegramente cenno di partire, di mettere in moto l'autobus, di accendere il motore, sfoderando tutti i' numeri della loro mimica sanlorenzina.

II conducente, dietro i vetri come un'immagine sacra sotto la campana, li riguardò ancora un poco: poi alzò di scatto l'avambraccio fino a. portare la mano con le dita serrate all'altezza della bocca e del naso, e agitandola quivi con un gesto secco e insolente d'interrogazione.

Neanche al gran gesto napoletano della dritteria nazionale, i due pivelli s'arresero.


 
Claudio grido: « Dàje, a conducè, fai finta che metti in moto er motore».

« E daje, che te possino ammaitte! » insistette Sergio.

E il fattorino, dal fondo dell'auto: « See, quello ve manna ormi tutt'è ddue! »


Che succedeva? Tre ragazze, vestite dei più accesi colori che si possano stampare, negli abiti in vendita, bell'e fatti, alle bancherelle di Piazza Vittorio, stavano correndo su dalla strada del Penitenziario, tutte affannate per tema di perdere l'autobus, con le facce rosse come cocomeri.
Visto che il conducente non gli dava retta, i due misero testa, spalle e braccia fuori dal finestrino, guardando tutto quel ben di Dio che veniva avanti ballonzolando sotto il sole dolce come l'olio.



« Forza, a morette, — si accorò Claudio — dàje che mò I'auto parte! »

E Sergio: « Ammappele, quanto corono, dàje che famo la bella! »

II fattorino invece si mise a cantare:
lo stongo carcerato e mamma more... 
Vojo mori pur io prima 'e sta sera, 
oi carceriere mio, oi carceriere...

« A fattori — gridò Claudio — che te va de sfotte?...

« lo stongo carcerato .. » ricominciò il fattorino. « E arioccace! »

Le tre ragazze salirono, scottanti e sospirose dentro l'autobus, tutte felici d'averlo preso. Si guardavano e ridevano: poi un pò alla volta gli passo l'affanno e il prurito del riso, e andarono a mettersi a sedere sui sedili sgangherati, facendosi aria con le mani.

Claudio e Sergio andarono a mettersi seduti appresso a loro, e cominciarono a darsi ai madrigali; e non si sarebbe potuto dargli torto, se, con il gran poeta di Roma, si sarebbe potuto dir delle pischelle:

Uh, bene mio, che brodo de pollanche
Je metterebbe addosso un par de
branche
da nun faje resta manco la pelle.

Ma Ilautobus fece davvero la bella, si scrollò tutt'a un botto, ebbe un rumore di ferrivecchi in contrasto con la aria ufficiale del suo conducente: e si lanciò, radendo le grandi praterie con frane di papaveri e margherite, giù per la strada di Casale dei Pazzi.

Volarono a destra e a sinistra i pezzi di agro pinguemente nutriti dall'Aniene, scuri e caldi, ronzanti al sole; volarono le casette costruite a metà e già abitate, volarono le villette e i vecchi casali...

« A Sè, — fece Claudio — dimme un pò, come se comporta la Inesse? »

« Che, me lo domandi, a Clà — nspose Sergio — Er zolito, che si la vedo me vie voja da daje na pignate in faccia... ».

« Mo' con chi se la fa? »

<< Cor Palletta, lla ».

<< Chi Palletta? >>

« Er fijo de sora Anita, lla, quella che c'ha er banco a Piazza Vittorio .. Quer roscietto, un po' fusto, che te posso ddi... ».

« Ah, ho ccapito... Be, con quer brutto li s'e messa? »

« Che voi fa? Ma mò cambia... »

« Che, stacca ancora tutte 'e sere a 'e sei? »

« Come no? »

« Stassera 'a vado a trova .. »

<< Me fai rabbia, me fai. Ma che c'ha che te sfagiola tanto, me 'o voi ddi? >>

« Aoh, me sfagiola ».

Claudio si mise a pensare con che faccia beata all'incontro di quella sera con la Ines, e se non era lei, qualche altra ragazza di San Lorenzo, di quelle che conosceva da pischello, che era uguale. Si sbragò meglio sul sedile, e, come se stesse solo, si mise a cantare...

lo stongo carcerato e mamma more
— voj mori pur io prima 'e sta sera
— oi carceriere mio, oi carceriere,..

Teneva la testa ritratta fra lo spalle, le corde del collo gli si erano tirate, e le narici gli si aprivano e gli si chiudevano sulla bocca che mostrava la sua intera dentiera di cavallo: e scuoteva leggermente il capo, come per secernere meglio la passione che ci metteva a cantare.

Alia fermata di Ponte Mammolo l'autobus si riempi di gente. Poi imbocco la Tiburtina, passò sopra l'Aniene, e punto dritto verso Roma.

Presso i due malandrini s'era venuto a mettere all'impiedi, leggendo superbamente il Corriere dello Sport, un giovanotto pettinato alla Rudi, con le scarpe bianche di quelle bucherellate, un vestito a righe bianche e nere e la argentina gialla. Claudio lo smicciò per un pezzo senza farsi capire, guardando le novità che andavano di moda quell'estate. Poi, dopo aver ben bene allumato, si nascose e diede una gomitata a Sergio, che se ne stava, canticchiante, sui sedile, col fazzoletto annodato alia malandrina, e la faccia negra e lucente, come ce l'aveva dipinto Caravaggio.

« A Sè, — fece Claudio — me vojo fà una de quelle camice a buchi che vanno de moda st'anno, e un paro de scarpine bianche llà... »

« Ammappete, voi fa proprio I'acchittone, voi fa, beato tte! »

« Quale beato, quale beato, see... Tengo na fame addietrata... ».

Si morse le nocche delle dita, facendo « mmh », gettò uno sguardo affamato alle « rose de fuego » che gli stavano accanto, e l'occhio guardandole gli si punto fuori dal finestrino...

« Te ricordi, a Sè? » si accorò.

« De che? »

«Qqua, quanno ch'eramio regazzini...».

« Mbè?».

« Che ce stava er circo, giu a Pietralata... che noi eramio scappati de casa...».

Si era parato davanti, dalla sinistra, tra montarozzi e spianate, il Forte di Pietralata, brulicante davanti dei fez rossi dei bersaglieri, con una tromba in mezzo al cortile che suonava il rancio.

Sergio e Claudio, piccoletti, scappati di casa, se n'erano venuti da quelle parti, come magnanimante ricordava Claudio, e se n'erano stati un par di settimane, digiunando o magnando qualche cipolla o qualche persica grattata ai mercatini, oppure un pò di cotiche fregate dalla borsa di qualche commare... Se n'erano iti di casa cosi, perchè gli piaceva di divertirsi... Dai bersaglieri rimediavano da fumare...

Poi trovarono da dormire sotto la tenda di un cocomeraro, sopra i cocomeri, il cocomeraro aveva un maiale, dalle parti di Bagni di Tivoli, e visto che facevano buona guardia ai cocomeri, li mandò a sorvegliare il maiale: anzi, il maiale e un coniglio... Che tremarella la notte nella campagna disabitata, dentro la capanna... Dormivano con una mazza sotto la testa... Una mattina la madre del cocomeraro era venuta li, li aveva mandati a Bagni a comprare del pane, e intanto, approfittando che non c'erano s'era pappata il coniglio...

Trovarono gli ossicini interrati davanti alia baracca...

A Pietralata, che il cocomeraro li aveva cacciati via a causa del coniglio, avevano lavorato in un circo... coi leoni .. litigando coi maschietti concorrenti della borgata .. Una sera era scappata Rondella, la cavalla maremmana, e via per prati e mucchi di immondezza, lungo le rive dell'Aniene...

L'autobus arrivò in fondo alla Tiburtina, passò sopra il cavalcavia tra fischi di treni, e andò a ormeggiare, nella gran caciara, al capolinea del Portonaccio. Bianchicci, nel gran biancore del giorno, brillavano i lumini del Verano. L'11 era pronto. Claudio e Sergio zomparono giù dall'auto, tagliarono gridando e ridendo tra la ressa, balzarono sul tram già in corsa, e restarono attaccati al predellino, sempre più schiamazzanti, mentre la vecchia vettura risaliva sferragliando il lungo viale che rasente i muraglioni del cimitero portava a San Lorenzo.

Tutti smandrappati, con l'aria del quartiere che gli scapigliava la chioma, appesi in fondo al grappolo che si accalcava al predellino, volavano verso casa. Ammazza, quant'è bella la vita, mica pei micchi, ma per quelli che le soddisfazioni sanno prendersele... come loro due... Mentre alzavano moina Claudio pensava a se stesso con la camicia a buchi e le scarpine bianche, all'Ambra Jovinelli o nella rotonda di Ostia, con la Inesse o qualche altra ragazza che gli veniva dietro: a completare il quadro della sua bellezza...

Intanto, sotto i muraglioni del Verano, passava nella luce invetrita, qualche coppia, un vecchio, o un garzone in piedi sul sellino spingeva allaccato il suo triciclo su per la salita... E loro due, la mano a imbuto contro la bocca, li sfottevano...

« A nannaccio, nannaccio, a pampuzzzo... ».

« Fra dù anni sei bona pure subito! ».

« A dondolina... ».

«Nun je dà retta, e dopo dò che so' stato io... ».

« Se seguiti cosi quando lo pij marito?... ».


« Che, stai a sputa li pormoni, a pische? ».


« Daje, che mò arivi... ».


« See, quanno affitta quello... ».


Intanto ecco venire avanti le prime case brune di San Lorenzo, le prime strade rossicce, ecco profilarsi in fondo e ingrandirsi sempre più, biancheggiando, l'arco di Santa Bibiana, e poi il vecchio giardinetto in mezzo al quale sfilavano, gesticolanti, le più allegre compagnie della ragazzaglia sanlorenzina, acchittata per la sera, le panchine e le aiuole col verde delle vecchie estati.

La sera scendeva su San Lorenzo come un temporale: per le strade geometriche intorno alla piazza dei giardini, si sentivano le saracinesche abbassarsi con schianti improvvisi; ombre di ragazzi correvano con le bottiglie del latte, e i garzoni lanciavano a tutta forza i loro tricicli in mezzo alla confusione di gente che rincasava svelta come se, appunto, fuggisse un improvviso scroscio di pioggia.

L'aria era più sporca, torbida, che buia, i fanali di una macchina, già accesi, aspri, bruciavano a una curva, sull'asfalto ancora chiaro e diurno: pareva che un vento carico di odori e di umidità sbattesse le finestre, le porte a vetri, agitasse gli alberelli morti dei giardinetti, e mettesse in allarme tutto il rione: invece era la calmissima ora della cena che stava scendendo.

Pier Paolo Pasolini
 L'Unita / domenica 15 luglio 1962



Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi

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