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sabato 5 settembre 2015

Pasolini - Le ceneri di Gramsci

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


 

Le ceneri di Gramsci
 
 
Pubblicata nel 1957, questa raccolta di poesie rappresenta il punto piu' alto della poesia pasoliniana. Consiste in undici poemetti: L'Appennino, Il canto popolare, Picasso, Comizio, L'umile Itailia, Quadri friulani, Le ceneri di Gramsci, Recit, Il pianto della scavatrice, Una polemica in versi, La terra di lavoro.

Le ceneri di Gramsci costituisce, nel panorama letterario del Novecento, un'opera fondamentale che rifiuta i toni della poesia novecentesca. Anticipando e negando le neo-avanguardie, Le ceneri di Gramsci si rifanno a una tradizione precedente, anche nella forma metrica, costituita da poemetti in terzine.Un'opera di impegno civile e sperimentalismo formale in cui il poeta rappresenta in tutta la loro drammaticita' le contraddizioni, consapevolmente vissute, del proprio pensiero.
"C'e' del carduccianesimo, senza dubbio, in Pasolini: nell'enfasi troppo frequente del discorso, nello stesso piglio populistico e giacobineggiante. Ma si tratta di un carduccianesimo generalmente filtrato attraverso la lezione di Giovanni Pascoli, un poeta verso il quale Pasolini dimostra di avere piu' di una conoscenza umana e letteraria
(......)

L'umile Italia e' composta in strofe di dieci novenari. La famosa La mia sera e' composta di strofe di sette novenari, piu' un senario di chiusura, che rima con il penultimo novenario. Altre analogie ci permettono in questo caso di pensare ad un rapporto ancora piu' stretto, ad una lettura diretta del testo pascoliano. Nell'umile Italia troviamo: "leggera e' la gioia" (e sembrerebbe espressione tipicamente pascoliniana); ne La mia sera: "una gioia leggera". In Pascoli: "Che voli di rondini intorno! che gridi nell'aria serena!"; in Pasolini il motivo delle rondini volanti e stridenti sulle piazze italiche e' ripreso e ampliato nella terza e quinta strofa".(1)

Con queste parole Alberto Asor Rosa nel suo Scrittori e popolo in riferimento all'"eccesso di tensione" presente nei primi componimenti dell'opera: L'Appennino, Canto popolare, Umile Italia, e i riferimenti letterari di Pasolini.

Ma e' sul presunto populismo di Pasolini che si incentra l'anilisi di Asor Rosa:

"E' da osservare, innanzi tutto, che il populismo pasoliniano fa ora un altro passo innanzi verso una coerente completezza. Se la fase dei primi poemetti aveva rappresentato per lo scrittore il passaggio da un populismo istintivo a un populismo cosciente, ora il populismo comincia a caricarsi di un preciso significato politico. Dietro l'ideologia del populismo si profila la presenza di una cultura, che si fa garante e in un certo senso testimone oggettiva, storica della visione pasoliniana di popolo. Si fanno i nomi di Croce e Gobetti, quasi a testimoniare la comparsa di una dimensione morale; si fa, soprattutto, il nome di Gramsci, e dietro o in Gramsci s'individua la funzione attiva, rivoluzionaria, di un'ideologia marxista".(1)

Alle accuse di populismo cosi' Pasolini risponde su Vie Nuove:

"[....] Salinari mi chiama, senza mezzi termini, senza appello, 'populista'. Ebbene, se egli usa questo termine nel senso in cui lo usa Lenin, in una concreta situazione storica, per definire un concreto movimento storico (quello che vedeva la rivoluzione come un prodotto delle classi contadine, al di fuori della guida delle aristocrazie operaie), rifiuto natuaralmente di essere definito 'populista'. Sarei un imbecille se pensassi che la Rivoluzione si puo' fare a Melissa, senza Modena. Ma se Salinari usa il termine populista, nel senso che ormai la parola ha preso correntemente, cioe' nel senso di 'marxista che ama il popolo di un amore preesistente al marxismo, o in parte al di fuori di esso', allora potrei anche accettare tale definizione"(7)

"I campi del Friuli (con questo titolo il poemetto Quadri friulani apparve su "Officina") si aprono sotto il segno della mitologia friulano-materna "amata con dolcezza e violenza, torbidamente e candidamente", del "regresso" all'"incantevole paesaggio" dell'adolescenza, "oggetto di accorata nostalgia". Ma quella mitologia originaria - secondo un processo che si segue lungo tutto il curriculum pasoliniano - tende subito a svilupparsi in una serie di reincarnazioni: che tuttavia sono ancora, qui, le piu' tenere ed elusive. Riaffiora cioe' l'antico nesso tra "religione" della giovanile "passione", intenerimento pascoliano e simpatia evangelico-populista per gli umili, che era stato al centro della prima fase dell'Usignolo della Chiesa Cattolica (comprendente poesie scritte tra il 1943 e il 1949, ma pubblicato nel 1958). E si delinea una mitica civilta' contadina segnata da un miracolo irripetibile, che attraverso la raffinata e sapiente esegesi dei colori e delle immagini di Zigaina, ricostituisce un intatto mondo estetico-viscerale.

Sara' nella seconda meta' del poemetto, all'insorgere del constrasto con la storia, che Pasolini attingera' alla dolorosa consapevolezza della sua grande stagione: l'incapacita' a scegliere una nuova "misura", l'angosciata impotenza che trova sbocco solo nei "sorgivi sogni dell'esistenza", la sensazione crescente della loro vanita', la problematica insomma del poemetto delle Ceneri di Gramsci torna qui a riaprire ferite profonde. Ma ormai Pasolini non tenta neppure una estrema difesa di quei sogni, e guarda con una tensione sterile e disperata al "sicuro" mondo di valori razionali e storici dei quadri di Zigaina, nei quali la mitica civilta' friulana si trasforma alla fine in una societa' di "uomini interi", inserita con il suo lavoro e le sue lotte in uno sviluppo storico dal "sereno futuro". E anche se il poemetto torna a perdere la forza nel finale (limitando i vasti echi del conflitto pasoliniano), la ristorante consapevolezza della vanita' di quel mito e della propria incapacita' di conversione alla storia, approda a pensieri di morte che sembrano segnare il passaggio dalle Ceneri di Gramsci alle poesie del 1956, dalla penetrazione del proprio "dramma irrisolto" alla penetrazione della propria disperazione come unico modo di sopravvivere. Certo, Pasolini aspira a una "purezza" e a una "vita" che denunciano pur sempre il suo tenace mondo originario, e rovescia sostanzialmente la mitologia friulano-adolescenziale in un'altra mitologia, quella di una maturita' inattingibile (motivo dominante di tanti versi dell'Usignolo della Chiesa Cattolica) Ma qui e altrove va colta soprattutto la crisi che il mondo esterno, il "grande mondo", la storia, aprono nella sua coscienza, e che egli accetta di vivere senza elusioni".[8]


Le ceneri di Gramsci e il poemetto centrale dell'opera; composto nel 1954 ne rappresenta il punto piu' alto.
Cosi' Pasolini nelle note alla fine del volume:

"Gramsci e' sepolto in una piccola tomba del Cimitero degli Inglesi, tra Porta San Paolo e Testaccio, non lontano dalla tomba di Shelley. Sul cippo si leggono solo le parole: 'Cinera Gramsci', con le date"(4)

Il poemetto si apre con un inizio lento con ritmo cadenzato. Vi e' contrasto tra il laico cimitero in cui e' sepolto Gramsci e lontano battere delle incudini, dal quartiere popolare di Testaccio, non lontano da li', ma gia' un altro mondo, un'altra vita. Il Gramsci di quel cimitero non e' quello della prigionia, della lotta, ma "non padre, ma umile fratello"(2), quindi indifeso e solitario. E' riscontrabile in questa idealizzazione di Gramsci la figura del fratello partigiano assassinato: anch'egli giovane e indifeso. Ma il centro del poemetto si sposta sulla figura del poeta, mentre Gramsci viene "preso, ripreso e abbandonato piu' volte con un ritmo spezzato quasi a testimoniare la difficolta' di una precisa definizione.(....) Come se il poeta, volgendo lo sguardo direttamente su di se', acquistasse maggior forza, maggior interesse".(1)

Il popolo assume una valenza di sincerita', quasi religiosa:

"Lo scandalo del contraddirmi, dell'essere
con te e contro di te; con te nel cuore,
in luce, contro te nelle buie viscere;
del mio paterno stato traditore
- nel pensiero, in un'ombra di azione -
mi so ad esso attaccato nel calore
degli istinti, dell'estetica passione;
attratto da una vita proletaria
a te anteriore, e' per me religione
la sua allegria, non la millenaria
sua lotta: la sua natura, non la sua
coscienza; e' la forza originaria
dell'uomo, che nell'atto s'e' perduta,
a darle l'ebbrezza della nostalgia,
una luce poetica: ed altro piu'
io non so dirne, che non sia
giusto ma non sincero, astratto
amore, non accorante simpatia.."(2)

Gramsci rappresenta una dimensione storica, a cui il poeta si riferisce, ma che non intende come portatrice di progresso, che vede esclusivamente nella vitalita' prorompente del popolo.
Il pianto della scavatrice e' un lungo pometto in cui si fondono il ricorrente tema del tormento interiore del poeta, e il dramma di una societa' aberrante. Il pianto della scavatrice e' l'emblema di uno sviluppo che e' anche, e soprattutto, sofferenza per un futuro che si compie attraverso la lacerazione del passato. Un progressivo sviluppo che non avra' mai fine, portatore, quindi, di nuove ferite e nuove sofferenze. La scavatrice lancia il suo urlo quasi umano; ma in realta' e l'urlo del passato che muore.
"La notizia di cui si parla in questi versi, e che ne costituisce il trauma, e' l'annuncio, datomi da Attilio Bertolucci, della denuncia "per oscenita'" del mio romanzo Ragazzi di vita".(4)
Con queste parole lo stesso Pasolini spiega nelle note finali del volume il poemetto Recit.

"Mi aspettava nel sole della vuota piazzetta
l'amico, come incerto... Ah che cieca fretta
nei miei passi, che cieca la mia corsa leggera.
Il lume del mattino fu lume della sera:
subito me ne avvidi. Era troppo vivo
il marron dei suoi occhi, falsamente giulivo....
Mi disse ansioso e mite la notizia.
ma fu piu' umana, Attilio, l'umana ingiustizia
se prima di ferirmi e' passata per te,
e il primo moto di dolore che
fece sera del giorno, fu pel tuo dolore".(3)

In Comizio Pasolini ricorda il fratello Guido, assassinato in circostanze particolarmente tragiche e laceranti durante la lotta partigiana.

"Mio fratello Guido, dopo un anno di eroica lotta partigiana nelle file della "Osoppo", e' caduto sui monti della Venenzia Giulia nel febbraio del 1945"(4)

"E in questo triste sguardo d'intesa,
per la prima volta, dall'inverno
in cui la sua ventura fu appresa,
e mai creduta, mio fratello mi sorride,
mi e' vicino. Ha dolorosa accesa,
nel sorriso, la luce con cui vide,
oscuro partigiano, non ventenne
ancora, come era da decidere
con vera dignita', con furia indenne
d'odio, la nuova storia: e un'ombra,
in quei poveri occhi, umiliante e solenne....
Egli chiede pieta', con quel suo modesto,
tremendo sguardo, non per il suo destino,
ma per il nostro.... Ed e' lui, il troppo onesto,
il troppo puro, che deva andare a capo chino?
Mendicare un po' di luce per questo
mondo rinato in un oscuro mattino?"(5)

In La terra di lavoro il motivo centrale e' rappresentato dalla condanna degli "operai, che muti innalzano, nel rione dell'altro fronte umano".(6) Questo distacco, questa impossibilita' di comunicare e' anche innocenza di quella coscienza popolare che in questi versi viene esaltata:

"Gli e' nemico chi straccia la bandiera
ormai rossa di assassini,
e gli e' nemico chi, fedele,
dai bianchi assassini la difende.
Gli e' nemico il padrone che spera
la loro resa, e il compagno che pretende
che lottino in una fede che e' ormai negazione
della fede".(6)

Per Quadri friulani, come scrive lo stesso Pasolini: "questi versi sono stati scritti per una mostra del pittore Giuseppe Zigaina a Roma"(4)

Una polemica in versi:

"Sul n. 6 della rivista Officina usciva un mio scritto intitolato "La posizione", dove, quasi a concludere, si leggeva: "Quanto al posizionalismo, per cosi' dire, tattico dei comunisti, o nella fattispecie dell'Unita' o de Il contemporaneo, sarebbe atto da Maramaldo, in questo momento, infierire. La crudezza e la durezza ideologico-tattica di Salinari e altri era viziata da quello che Lukàcs - in una intervista concessa a un inviato appunto dell'Unita' durante i lavori del congresso del PCUS - chiama prospettivismo. L'ingenua e quasi illetterata (e anche burocratica) coazione teorica derivava dalla convenzione che una letteratura realistica dovesse fondarsi su quel prospettivismo; mentre in una societa' come la nostra non puo' venire semplicemente rimosso, in nome di una salute vista in prospettiva, anticipata, coatta, lo stato di dolore, di crisi, di divisione." Questo passo ha suscitato una reazione, certo sproporzionata presso la redazione de Il contemporaneo, che con illazioni poco generose (a cui generosamente, poi, si e' assunto l'incarico di rispondere Calvino, su Il contemporaneo stesso) mi ha attaccato in una sua rubrica polemica".(4)

"Una polemica in versi sembra spostare nettamente, fin dall'inizio, il tono e l'oggetto del discorso: essa nasce nel clima dei drammatici fatti che seguirono al "Ventesimo Congresso", tra l'estate e l'autunno del 1956. Non ha caso la critica, all'apparire della raccolta delle Ceneri di Gramsci che comprendeva tutti questi componimenti, cosi' come aveva assimilato tout court I quadri friulani (questo il nuovo titolo dei Campi del Friuli in volume) alla fase che precede le poesie del "dramma irrisolto", lasciandosi ingannare dalla collacazione della raccolta stessa; analogamente aveva considerato Una polemica in versi come l'esempio piu' tipico di una discussione ideologica e di una polemica politica che restano che restano al di qua di un discorso poetico. Commettendo in tal modo (dai vari e diversi punti di vista) un duplice errore. Giacche', se in una parte di questo poemetto prevale un tono troppo scopertamente e talora enfaticamente sentenzioso, ragionato e polemico nei confronti del partito comunista, in generale affiorano al di la' di cio' alcuni motivi fondamentali della ricerca poetica pasoliniana: in primo luogo, la reincarnazione della sua mitologia originaria in una mitologia popolare (l'"allegro" e tragico sottoproletariato dei romanzi) tutta intrisa di privata "passione". Ed e' questo semmai il vero limite. Ma ancora una volta Pasolini riesce a superarlo (in piu' punti del poemetto) nella visione doloroso di un "popolo oppresso" abbandonato a se stesso con le sue aspirazioni nascenti, che sembra preludere alla disperata visione di un mondo popolare ormai perduto e irrimediabilmente respinto fuori dalla storia, con la sua rivolta cupa e silenziosa (anche quando e' festosa e gridata): motivo gia' affiorato in precedenti pagine narrative e poetiche, che ispirera' tuttavia in modo piu' intimo La terra di lavoro. Un altro livello, cioe', di quella progressiva crisi delle mitologie originarie e delle loro reincarnazioni, che si approfondisce nel progressivo misurarsi del poeta con il "grande mondo".

Nelle poesie del 1956, in generale, la "svolta" del "Ventesimo congresso" e i tragici fatti che lo seguirono, inducono Pasolini a un riesame profondo di se stesso, complicando - tra cadute e arricchimenti - la poetica del "dramma irrisolto", della contraddizione "implacata", della condizione di "segnato" e "diviso" tra vecchio e nuovo mondo (privato e storico). Il 1956, in sostanza, dopo avergli dato luminose speranze, finisce per rendere la sua disperazione assoluta, totale, insanabile, ma non lo porta a ripiegarsi su se stesso, bensi' ad una sempre piu' acuta penetrazione della sua stessa disperazione e della sua crisi irreversibile che attraversa le sue mitologie.

Ma un discorso particolare va condotto sulla originalissima operazione linguistica e metrico-stilistica delle poesie raccolte nelle Ceneri di Gramsci; operazione in cui la poetica del dentro-fuori si manifesta con tutta la sua carica innovativa, esprimendosi a tutti i livelli della scrittura nel segno dell'antitesi, della contraddizione, della "sineciosi".

Estetismo novecentesco ed estetismo della "cattiva prosa", immagini squisistamente miniate e immagini crudemente naturalistiche, parole preziosi e termini di derivazione popolare-gergale, sperimentazioni postermetiche e sperimentazioni neorealistiche, descrittivismo paesistico e discussione ideologica, sfogo atuobiografico e contemplazione abbandonata della realta' "poeticismo" e "impoeticita'", tentazione lirica e "impegno" narrativo, struttura chiusa del poemetto e del verso di tradizione prenovecentesca (la terzina, l'endecasillabo, la rima) e irrazionale disfrenamento che ne rompe l'ordine: ecco i termini estremi di una sperimentazione arditissima che, presi separatamente, possono essere considerati egualmente "ritardati" o "inautentici", frutto di tradizioni esaurite o di un programmatico volontarismo, ma che arrivano a creare una "miscela" dirompente e nuova laddove Pasolini, sotto la spinta della sua contrastata tensione razionale e gramsciana, sappia penetrarli e viverli come momenti in un autentico dramma"..[8]

 
(1) Alberto Asor Rosa - Scrittori e popolo - il populismo nella letteratura italiana contemporanea - Einaudi
(2) Pier Paolo Pasolini - Le ceneri di Gramsci - Garzanti
(3) Pier Paolo Pasolini - Recit - Garzanti


(4) Pier Paolo Pasolini - Note al volume Le ceneri di Gramsci - Garzanti
(5) Pier Paolo Pasolini - Comizio - Garzanti
(6) Pier Paolo Pasolini - La terra di lavoro - Garzanti
(7) Pier Paolo Pasolini - da un articolo su Vie Nuove del 9 novembre 1961 intitolato "una polemica su politica e poesia", raccolto in Le belle bandiere - Editori Riuniti
(8) Gian Carlo Ferretti - "Officina", cultura, letteratura e politica negli anni cinquanta - Einaudi

 

Fonte:
http://pigi.unipv.it/_PPP/Lec.html




@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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