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sabato 25 luglio 2015

Pier Paolo Pasolini - Ricordi in forma di versi dell’ultimo ragazzo di vita

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Ricordi in forma di versi dell’ultimo ragazzo di vita 
Aldo Colonna 

Pecetto. Sono lontani i tempi della marrana, ora Silvio Parrello - er Pecetto - è pittore e poeta, un baluardo contro l'oblio


“Erano più di una cin­quan­tina, e inva­sero il pic­colo spiazzo d’erba sporca intorno al tram­po­lino: per primo partì il Mon­nezza, biondo come la paglia e pieno di cigo­lini rossi, e fece un car­pio con le sette bel­lezze: gli anda­rono die­tro Remo, lo Spu­do­rato, il Pecetto,il Ciccione…”questo il modo in cui Paso­lini in “Ragazzi di vita” introduce Pecetto, un border-line che ne diverrà negli anni a venire, inaspettatamente, una sorta di aedo ome­rico. ‘Pecetto’ per­ché il padre faceva il cal­zo­laio ed usava la pece per impa­stare e fis­sare le suole allo spago. E prima di tor­nare alla vita civile a fare er car­zo­laro era finito al con­fino a Ven­to­tene insieme a San­dro Per­tini per anti­fa­sci­smo. In verità Sil­vio Par­rello –que­ste le coor­di­nate ana­gra­fi­che al riparo del nick-name– è appar­te­nuto a una fauna mista di viventi sepa­rati da una linea di con­fine che divide da sem­pre i som­mersi e i sal­vati. Per motivi che nean­che la socio­lo­gia qual­che volta rie­sce a spie­gare data un’adolescenza vis­suta nella ban­lieue in una pro­mi­scuità molto poco let­te­ra­ria e in con­ti­guità con una fauna disan­co­rata dalla mensa dell’acculturazione e da un pro­getto di vita basato sulle regole, Pecetto si è ritro­vato dalla parte dei ‘sal­vati’. Per­ché Mon­te­verde, attra­ver­sata dalla malin­co­nia della let­tera P, ha alle­vato molti figli: da una parte i Pinna, i Proietti, i Pelosi, i Pla­cidi, l’anima nera del ter­ri­to­rio dall’altra Pecetto appunto e, perché no?, un arti­sta come Dino Pedriali, allievo di Man Ray ed acco­lito di Andy Wha­rol, quello stesso Pedriali che aveva immor­ta­lato il poeta nella sua casa di Chia e di cui rese testi­mo­nianza un libro foto­gra­fico ormai introvabile.

Pecetto sco­pre pre­sto la pit­tura ed è la cosa di cui si è meno par­lato di lui, un’attitudine innata soprat­tutto se si pensa ad un appren­di­stato asso­lu­ta­mente auto­di­dat­tico. La sua pit­tura prende le mosse dai mac­chia­ioli per appro­dare, attra­verso Rous­seau Il Doga­niere e Kan­din­skij, a Marc Chagall.
Di Cha­gall ha il passo gio­ioso e leg­gero di una uma­nità in fuga da un con­te­sto pro­saico, quasi un ane­lito, da una mar­rana che in tempi eroici aveva costi­tuito il fon­dale di una rap­pre­sen­ta­zione dove aveva fatto irru­zione la tra­ge­dia e la per­dita dell’innocenza, per que­sto virato in sug­ge­stioni oni­ri­che che resti­tuis­sero lo scem­pio di un pro­grom cosacco o, nello spe­ci­fico, l’alienazione delle realtà periferiche.

Eppure, se non si vorrà pre­scin­dere dalla sua essenza autoriale, dalla sua individualità, dovremo prima o poi sepa­rarlo –foss’anche per un attimo– dal mondo paso­li­niano che lo ha espresso e ricor­darci di lui come un pit­tore di talento, un pic­tor maxi­mus che ha attinto alle corde e ai chia­ro­scuri di un tes­suto urbano degra­dato per librarsi in voli pin­da­rici ma che gli con­sen­tono la leg­ge­rezza di una gazza. Dovremmo, prima o poi, ripor­tarlo alla sua reale dimen­sione che non è quella, neces­sa­ria­mente, di poeta cieco ma piut­to­sto di un ama­nuense alla corte dei Medici.

Pecetto è, anche, un poeta, un poeta che usa quar­tine baciate, con inva­dente e pro­gres­siva naїveté dove l’oggetto del suo inte­resse è sem­pre il suo famoso men­tore che fre­quentò per anni prima che quello assur­gesse ad una noto­rietà pla­ne­ta­ria. Osses­si­va­mente il verso inciampa sulla notte di novem­bre di 40 anni fa, sui sicari, sui com­plici isti­tu­zio­nali, sul degrado dei Ser­vizi che invece di pro­teg­gere la società civile le remano con­tro per favo­rire l’insediamento di uno Stato paral­lelo. Forse i suoi versi più disar­manti sono quelli più lon­tani dall’esperienza letteraria, quelli che guar­dano ad una sorta di ideale Tim­bouc­tou ora rasa al suolo dal cemento: ”La nizza i carrettini/la scuola crollata/il bagno giù ai piloni/è sto­ria ormai passata”.

Esce oggi, per i tipi di Art e Muse, David and Mat­thaus Edi­zioni, “Poe­sie e pen­sieri per Paso­lini”, un libro defi­nito erro­nea­mente ‘sag­gio’, ma piut­to­sto una miscel­la­nea di scritti che spa­ziano dal ricordo per­so­nale alla poe­sia, fino ad arri­vare all’invettiva sotto forma di denun­cia frutto di una sua per­so­na­lis­sima inda­gine durata anni e nella quale dipana in modo ica­stico una matassa ingar­bu­gliata dalla Ragion di Stato. Perché, come dice sem­pre con can­ti­le­nante ester­na­zione, “la verità non sta nelle aule dei Tri­bu­nali ma va ricer­cata nelle patrie galere”. Sono decine le figure che si sono avvi­cen­date nel suo stu­dio di via Oza­nam, spesso amici , agenti altre volte che lo tene­vano sotto con­trollo per inda­gare se lui sapesse i ‘nomi’ dispe­rando che poi li facesse. Per­ché il suo pic­colo stu­dio da bohème è stato fatto segno di ladri comuni e arci­gni dop­pio­petti che lan­cia­vano di tanto in tanto un input, ogni volta una sorta di memento mori a pre­scin­dere solo nel caso che. Sono lon­tane le nuo­tate nel Tevere allor­ché a brac­ciate lar­ghe Pecetto tagliava il fiume in diagonale, controcorrente, affian­cato da Pier Paolo per andare a rubare l’uva sull’altra sponda, quella sotto la Basi­lica di San Paolo. Ci sono, immortalate nel libro, gesta epi­che che ci ricor­dano Zampanò, come quella di Paso­lini che sol­leva una mucca: ”Una mucca sollevata/sul monte di Splendore/una forza smisurata/forse più di un lot­ta­tore”. E qui si fa fatica a sepa­rare l’epica e il sogno dalla realtà. Ma, d’altronde, le gesta di Ulisse non costi­tui­scono forse un impian­tito fan­ta­stico che intro­duce alla deco­di­fi­ca­zione di una realtà altri­menti non decrit­ta­bile? La memo­ria di Pecetto è por­ten­tosa e lo porta a decla­mare pres­so­ché l’intera opera poe­tica del suo Mae­stro che recita con enfasi e com­par­te­ci­pa­zione. E in que­sto ci ricorda Cic­ciu Busacca, il can­ta­sto­rie che ci racconta, solo per fare un esem­pio, la sto­ria di Sal­va­tore Giu­liano con stru­menti più imme­diati del sag­gio poli­tico espo­nen­dosi più aper­ta­mente alle rimo­stranze e alla minac­cia. Come un bat­ti­tore libero, senza più paura né speranze.

Il suo stu­dio diventa così una sorta di sancta sanc­to­rum dove tutto comin­cia e tutto si ricom­pone, una sorta –que­sta sì– di memento mori al con­tra­rio dove è lui a sfi­dare il Potere, a dire ‘io so’ pur non sapendo i nomi. Estem­po­ra­nea­mente anche Pelosi gli fa visita in un ten­ta­tivo fuori tempo mas­simo di chie­dere ed otte­nere un impro­ba­bile per­dono, come fa recan­dosi al tem­pio colui che cerca di mon­dare i pro­pri pec­cati. Fatto sta che que­sto per­so­nag­gio ati­pico, fuori dalle regole e asso­lu­ta­mente non irreg­gi­men­ta­bile rimane oggi una sorta di baluardo, molto meglio di quei magi­strati che si aggi­rano come lemuri ‚da anni, intorno a un caso che NON deve essere risolto. Ma è que­sto l’atout mag­giore del Potere: far diver­tire i can­ta­sto­rie che girino per i paesi gio­cando all’invettiva e sop­pri­merli poi quando sco­prono sicari e man­danti. Pro­prio come è suc­cesso a Pep­pino Impa­stato. Il tema dell’ oblio è il pre­fe­rito dal Potere. Quando la Giu­sti­zia non può o non deve fare il suo corso i lun­ghi anni tra­scorsi con­cor­rono ad avve­le­nare i pozzi, a ren­dere i con­torni di un avve­ni­mento sbia­diti, a ren­dere l’oggettività di un avve­ni­mento delit­tuoso incol­ti­va­bile. Pecetto si oppone a tutto questo, è il baluardo che con accenti acco­rati ancor­ché inespressi, con la pas­sione estrema per la denun­cia civile si oppone alla palude che avanza. E, accorato, è come se capisse che il suo tempo è sca­duto, inter­ro­gan­dosi su chi potrà rac­co­gliere il testi­mone che regi­stri lo scem­pio e l’imbarbarimento: ”Quel che furono bambini/ora è gente tramontata/i famosi grattacieli/sembran favola inventata”.


"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


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