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mercoledì 18 febbraio 2015

Pier Paolo Pasolini professore. Un mestiere esigente

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


 


Pier Paolo Pasolini  professore. Un mestiere esigente
Mauro Grimoldi
Tracce N. 10 > novembre 2005
Per sette anni Pasolini insegnò italiano nel suo Friuli. Un’esperienza che si riflette nel racconto Romàns. Dove si narrano le vicende del cappellano don Paolo e dell’insegnante comunista Renato. Le due facce dell’anima tormentata del poeta

«Io sono pieno di una domanda a cui non so rispondere» (P.P. Pasolini, Teorema, 1968)

Trent’anni fa moriva Pier Paolo Pasolini; e il modo ancora offende. Pasolini impuro, tormentato, controverso e dolente. «Sono "bloccato", caro don Giovanni, in un modo che solo la Grazia potrebbe sciogliere. La mia volontà e l’altrui sono impotenti... Forse perché io sono da sempre caduto da cavallo: non sono mai stato spavaldamente in sella (come molti potenti della vita o molti miseri peccatori): sono caduto da sempre, e un mio piede è rimasto impigliato nella staffa, così che la mia corsa non è una cavalcata, ma un essere trascinato via, con il capo che sbatte sulla polvere e sulle pietre. Non posso né risalire sul cavallo degli Ebrei e dei Gentili, né cascare per sempre sulla terra di Dio» (lettera a don Giovanni Rossi, direttore di Pro Civitate Christiana, 27 dicembre 1964). Proprio di questa terra di Dio si vuole parlare, quel Friuli che gli fu materno, il Friuli di Susanna Colussi, maestra elementare e madre di Pier Paolo e Guido, il fratello, partigiano della Osoppo, massacrato dai partigiani della Garibaldi presso le malghe di Porzus nel febbraio del 1945. Ci rimase dal 1942 per sette anni, in Friuli, e insegnò anche: l’italiano a scuola e il friulano nell’Academiuta di lengua furlana. Veramente la terra di Dio, per la madre; per lui, forse, la terra di Pietro che pianse amaramente al canto del gallo («Ah, dolce religione, del resto tante volte tradita, nell’uomo in cui ti sei inaridita, nasce la pazzia» da Poesia in forma di rosa, Pietro II, Milano 1976).

Entusiasmare i ragazzi

C’è un racconto, si intitola Romàns, come il nome di un villaggio contadino friulano, in cui sono narrate le vicende di don Paolo, cappellano di paese, e di Renato, insegnante comunista di scuola media; i due lembi, se così si può dire, dell’anima lacerata di Pasolini. In questa parte d’Italia, tra il 1947 e il 1949, il giovane sacerdote, arrivato da poco, mette su un doposcuola per i ragazzi del borgo, in una specie di ripostiglio in fondo alla sala del cinema parrocchiale. Nel racconto di questa impresa, come nel dialogo fitto tra don Paolo e Renato, si riflettono le esperienze del Pasolini insegnante di quegli stessi anni, sensibile ai metodi pedagogici della "scuola attiva" e dell’autogoverno e nel contempo così acuto da percepire la natura profonda del fenomeno educativo: «Ho letto qualcosa dei moderni metodi scolastici (l’attivismo) che si valgono appunto di "mezzi" che non siano la pura relazione oratoria dell’insegnante, sacrificando la tradizionale autorità di quest’ultimo per la partecipazione attiva dei ragazzi. È essenzialmente giusto, però... per far studiare i ragazzi volentieri, "entusiasmarli", occorre ben altro che adottare un metodo più moderno e intelligente. Si tratta di sfumature, di sfumature rischiose ed emozionanti». Sono le sfumature della libertà, del Mistero, dell’imprevedibile. «Il metodo della Montessori e dei positivisti ha certo le sue buone qualità: ma questo suo credere alle applicazioni esteriori e ai miglioramenti graduali e prevedibili, questo suo ottimismo che non calcola il mistero e l’incongruenza che sono in fondo le concrezioni della libertà... Cambiando appena i termini, lo stesso difetto è implicito nel pensiero educativo degli idealisti, anch’essi non tengono conto in concreto delle contraddizioni, dell’irrazionale, del gratuito e del puro vivente che è in noi. Calcolare tutto questo fa invece parte dell’applicazione di una pedagogia veramente positiva, che è difficile presentare nei termini di un testo scolastico, e che è la competenza vivente di chi vive nel cerchio continuamente mobile dello spirito, gli occhi sempre puntati sul gioco della Provvidenza».

Solitudine e sofferenza

L’educazione, perciò, non può che essere amore, e amore rischioso, perché si tratta di consegnare tutto quello che siamo, tutto quello che abbiamo ricevuto nelle mani, libere fino al rifiuto, di un altro. «Può educare solo chi sa cosa significa amare, chi tiene sempre presente la Divinità». Ma qui don Paolo vacilla e trema di incertezza, sotto il peso mortale della "cosa" che lo assilla (lo stessa "cosa" che assilla Pier Paolo: «... Non ho mai accettato il mio peccato, non sono mai venuto a patti con la mia natura e non mi ci sono neanche abituato. Io ero nato per essere sereno, equilibrato e naturale: la mia omosessualità era in più, era fuori, non c’entrava con me» (Lettera all’amica Silvana Mauri). «Poveri ragazzi! - scrive don Paolo nel suo diario -. Perché li illudo d’amore? Perché li tengo sempre rivolti verso una Presenza che non è altro che detta, pronunciata, nominata?». Pier Paolo abbandona qui la traiettoria del sacerdote, solo e umiliato, e si indirizza verso la prospettiva politica di Renato: «Come spiegarle che Cristo dicendo: conforta gli ammalati, sfama gli affamati ecc., per noi del nostro tempo, voleva dire: fate delle riforme di struttura?» (quasi le stesse parole si ritrovano in una lettera scritta nel 1954 dall’autore a Carlo Betocchi). La reazione di don Paolo è debole: egli intuisce "l’astrazione" ideologica presente nelle affermazioni dell’insegnante comunista, ma non sa contrapporre che solitudine e sofferenza: «L’imitazione di Cristo è un’esperienza che non si può saltare, e ogni uomo deve portarla in fondo da solo, ogni uomo deve digerire da solo la sua sofferenza». «La mia malattia - scrive ancora Pasolini a Silvana Mauri nel marzo 1949 - consiste nel "non mutare"».

Il canto della misericordia

Ma come si può cambiare senza il canto della Misericordia? (Oh ciant, oh ciant lizèir, tra il còur e il còur dal sèil se tu i ti tas li sèjs da la vita a si sièrin. Oh canto, oh canto leggero, tra il cuore e il cuore del cielo, se tu taci le ciglia della vita si chiudono.). E c’è Misericordia senza il popolo che da lei nasce? («Vittoria della Pasqua è il popolo cristiano» disse don Giussani). Ma Pasolini non sa, non può, non vuole(?) credere a questo: spinto da "tetro entusiasmo" dichiara: Il pòpul al era il furmìnt ch’a no’l mòur. Adès al scumìnsia a murì. (Il popolo era il frumento che non muore. Adesso comincia a morire). E pensare che nel 1953 lo stesso uomo scriveva questi versi:

Il Signòur ni à vistùt di ligrìa e pietàt
na corona di amòur a ni à mitùt tal ciaf.
Il Signòur l’à vulùt sbassà duciu i mons
implenà li valadis fa dut vualìf il mond,
parsè che il so popul cuntènt al camini
par la quieta ciera dal so quiet distìn.
Il Signòur lu saveva che tal nostri còur
davòur dal nustri scur a era il So luzòur.

[Il Signore ci ha vestiti di allegria e pietà, una corona di amore ha messo sul nostro capo. Il Signore ha voluto abbassare rupi e monti, colmare le vallate, fare uguale tutto il mondo, perché il suo popolo contento cammini per la quieta terra del suo quieto destino. Il Signore lo sapeva che nel nostro cuore, dietro il nostro scuro, c’era il Suo chiarore.]

Avesse potuto vedere, avesse potuto ascoltare il canto popolare della Misericordia, sarebbe forse toccato anche a lui vivere l’inizio profetico di un compimento, che aveva saputo anticipare in versi preziosi come un dono, come un’eredità:

Tal còur di un frut
Al à suspiràt! Diu al à suspiràt!
li stelis a balavin di contentessa
li montagnis e li rojs a balavin
i franzej e i lùjars a balavin.
I fili di erba a balavin
a balavin i lièurs, al soreli,
a balavin i viers tai seàj
i spics a balavin l’erbarosa a balava.
Li fantassinis a balavin
e i zòvins di domènia a balavin
la flama ta la ciasa a balava
i medicàrs e le gravis a balavin
Diu al àò ciaminàt par ciera
e sot il So piè la erba
e sot il So piè la erba
e Diu sot il So piè la erba
Diu al à ciaminàt tra li zemis
e un rosignòul al sigava
e un rosignòul al sigava
e a sigavan i rosignòj.
Diu al à ridùt
e la ploja ta li violis
la ploja ta li violis
e la ploja ch’a balava ta li violis!...

[Nel cuore di un fanciullo ha sospirato! Dio ha sospirato! Le stelle ballavano di contentezza, le montagne e le rogge ballavano i fringuelli e i lucherini ballavano. I fili d’erba ballavano, ballavano le lepri, al sole, ballavano i vermi nei ciglioni, le spighe ballavano l’erbarosa ballava. Le giovinette ballavano, e i giovani di domenica ballavano, la fiamma della cucina ballava, i campi di medica e le ghiaie ballavano. Dio ha camminato per terra e sotto il Suo piede l’erba, e sotto il Suo piede l’erba, e Dio, sotto il suo piede l’erba. Dio ha camminato tra i germogli, e un usignolo gridava, e un usignolo gridava, e gridavano gli usignoli. Dio ha riso, e la pioggia sulle viole, la pioggia sulle viole, e la pioggia che ballava sulle viole!...]



@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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