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sabato 21 febbraio 2015

Pier Paolo Pasolini - La luce di Caravaggio

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

 

 

La luce di Caravaggio

Saggi sulla letteratura e sull’arte, Tomo II, Meridiani Mondadori, Milano 1999


 
Tutto ciò che io posso sapere intorno al Caravaggio è ciò che ne detto Longhi. È vero che il Caravaggio è stato un grande inventore, e quindi un grande realista. Ma che cosa ha inventato il Caravaggio? Nel rispondere a questa domanda che non mi pongo per pura retorica, non posso che attenermi a Roberto Longhi. Il Caravaggio ha inventato: primo: un nuovo modo che secondo la terminologia cinematografica si dice profilmico, intendo con questo tutto ciò che sta davanti alla macchina da presa: il Caravaggio cioè ha inventato tutto un mondo da mettere davanti al cavalletto nel suo studio: tipi nuovi di persone, nel senso sociale a caratteriologico, tipi nuovi di oggetti, tipi nuovi di paesaggi.
Secondo: ha inventato una nuova luce: al lume universale del Rinascimento platonico ha sostituito una luce quotidiana e drammatica. Sia i nuovi tipi di persone e di cose che il nuovo tipo di luce, il Caravaggio li ha inventati perché li ha visti nella realtà. Si è accorto che intorno a lui - esclusi dall’ideologia culturale vigente da circa due secoli – c’erano uomini che non erano ore del giorno, forme di illuminazione labili ma assolute, che non erano mai state riprodotte e respinte sempre più lontano dall’uso e dalla norma, avevano finito col divenire scandalose, e quindi rimosse. Tanto che probabilmente i pittori, e in genere gli uomini fino al Caravaggio probabilmente non le vedevano nemmeno.
La terza cosa che ha inventato il Caravaggio è un diaframma (anch’esso luminoso, ma di una luminosità artificiale che appartiene solo alla pittura e non alla realtà) che divide sia lui, l’autore, sia noi, gli spettatori, dai suoi personaggi, dalle sue nature morte, dai suoi paesaggi. Questo diaframma, che traspone le cose dipinte dal Caravaggio in un universo separato, in un certo senso morto, almeno rispetto alla vita e al realismo con cui quelle cose erano state percepite e dipinte, è stato stupendamente spiegato da Roberto Longhi con la supposizione che il Caravaggio dipingesse guardando le sue figure riflesse in uno specchio. Tali figure erano perciò quelle che il Caravaggio aveva realisticamente scelto, negletti garzoni di fruttivendolo, donne del popolo mai prese in considerazione, ecc., e inoltre esse erano immerse in quella luce reale di un’ora quotidiana concreta, con tutto il suo sole e tutta la sua ombra: eppure… eppure dentro lo specchio tutto pare come sospeso come a un eccesso di verità, a un eccesso di evidenza, che lo fa sembrare morto.
Posso amare criticamente la scelta realistica del Caravaggio nel ritagliare nei personaggi e negli oggetti il mondo da dipingere; posso amare, ancor più, criticamente, l’invenzione di una nuova luce dove far accadere gli immobili avvenimenti. Tuttavia quanto al realismo occorre una buona dose di storicismo per individuarlo in tutta la sua imponenza: non essendo io un critico d’arte, e vedendo le cose in un prospettiva storica falsa e schiacciata, tutto sommato a me il realismo del Caravaggio mi sembra un fatto abbastanza normale, superato lungo i secoli da altre, nuove forme di realismo. Quanto alla luce, posso apprezzarne l’invenzione stupendamente drammatica, ma per una mia particolare forma estetica – dovuta chissà a quali manovre del mio inconscio - non amo le invenzioni di forme. Un nuovo modo di sentire la luce mi entusiasma molto meno che un nuovo modo di sentire mettiamo il ginocchio di una madonna sotto il manto o lo scorcio del primo piano di un santo: amo le invenzioni e le abolizioni dei chiaroscuri, delle geometrie, delle composizioni. Di fronte al caos luminoso del Caravaggio resto ammirato ma un po’ staccato (se è la mia opinione strettamente personale che qui si vuole conoscere). Ciò che mi entusiasma è la terza invenzione del Caravaggio: cioè il diaframma luminoso che fa delle sue figure delle figure separate, artificiali, come riflesse in un specchio cosmico. Qui i tratti popolari e realistici dei volti si levigano in una caratteriologia mortuaria; e così la luce, pur restando così grondante dell’attimo del giorno in cui è colta, si fissa in una grandiosa macchina cristallizzata. Non solo il Bacchino è malato ma anche la sua frutta. E non solo il Bacchino, ma tutti i personaggi del Caravaggio sono malati, essi che dovrebbero essere per definizione vitali e sani, hanno invece la pelle macerata da un bruno pallore di morte.





Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi

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