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mercoledì 18 febbraio 2015

L’INCARNAZIONE NELLE TERRE DELLA PRECARIETÀ: IL VANGELO SECONDO MATTEO DI PIER PAOLO PASOLINI

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


 

L’INCARNAZIONE NELLE TERRE DELLA PRECARIETÀ:
IL VANGELO SECONDO MATTEO DI PIER PAOLO PASOLINI
- P ETER C IACCIO -
ciclo Approdi di vita,
Fraternità ecumenica per le diversità Fratelli dell'Elpis
Chiesa valdese, Catania 28 gennaio 2007



"Io non credo che Cristo sia figlio di Dio, perché non sono credente, almeno nella coscienza. Ma credo che Cristo sia divino: credo cioè che in lui l’umanità sia così alta, rigorosa, ideale da andare al di là dei termini comuni dell’umanità. Per questo dico «poesia»: strumento irrazionale per esprimere questo mio sentimento irrazionale per Cristo".(1 )

Questo è un estratto della lettera importante, scritta a Lucio Caruso della Pro Civitate Christiana nel febbraio 1963, con cui Pasolini sostanzialmente chiede l’alleanza della Cittadella di Assisi. Pasolini aveva appena ricevuto il nulla osta della censura per "La ricotta", quarto episodio del film RoGoPaG,(2) pur con il divieto ai minori di 18 anni. Da lì a poco, il sostituto Procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Di Gennaro, ordinerà il sequestro de "La ricotta" per il reato di vilipendio alla religione di Stato.

Pasolini processato

Prima di affrontare Il vangelo secondo Matteo,(3) è bene soffermarsi sul caso de "La ricotta". Questo film racconta una giornata di lavoro sul set di un film sulla passione di Cristo nei prati dell’Acqua Santa, sulla via Appia a Roma. Protagonista è Stracci, un sottoproletario letteralmente morto di fame, che ingurgita una ricotta appena prima di essere messo in croce per interpretare il ruolo del buon ladrone. Stracci muore d’indigestione in croce nell’indifferenza totale della troupe. Il messaggio del film è oggi chiaramente il povero come Cristo in croce. Nel 1963, invece, pare che per molti il significato non fosse molto chiaro. Lo scandaloso comportamento della troupe, a partire dal regista (interpretato da Orson Welles), è interpretato non come critica feroce della società, ma come escamotage di Pasolini per prendere in giro Cristo. Il processo penale di primo grado si conclude in tempi sorprendentemente rapidissimi. Appena 28 giorni dopo il sequestro della pellicola, Pasolini viene condannato a quattro mesi di reclusione. La condanna è sospesa in attesa dell’appello, che nel maggio 1964 assolve Pasolini perché "il fatto non costituisce reato". La procura ricorre in Cassazione, la quale annulla nel febbraio 1967 la sentenza assolutoria. Il processo non ricomincia da capo grazie all’amnistia del 1966.(4) È curioso notare come molti cattolici del tempo difendono Pasolini: dagli amici della Cittadella di Assisi fino, addirittura, alla stampa democristiana dell’epoca. Il popolo infatti scrisse che "La ricotta" è "la migliore tra le cose da [Pasolini] finora realizzate" e che nel contrasto tra la commozione per la storia della crocifissione e l’atteggiamento blasfemo della troupe "l’episodio deriva una sua forza non trascurabile e anche una sua indiscutibile verità polemica".(5) Il procuratore Di Gennaro, nella sua requisitoria, dice: "sono sicuro che la vostra sentenza sveglierà i morti, richiamerà in vita e a dignità quei cattolici da sacrestia che hanno abdicato alla loro cultura per tema di esser tacciati di conformismo"(6) (e qui vediamo che Oriana Fallaci nelle sue ultime opere non si è inventata nulla di nuovo).

Arena conciliare

È estremamente interessante andare a vedere il dibattito che investì Pier Paolo Pasolini in quegli anni. L’asprezza e la polarizzazione della polemica va al di là della censura del non credente che manca di rispetto al credente cattolico. Questa è una vera e propria diatriba interna al cattolicesimo. E per cattolicesimo non intendo solo l’insieme dei credenti in Cristo che aderiscono alla Chiesa di Roma, ma anche tutto quell’ambiente culturale che si considera cattolico, pur essendo sostanzialmente ateo. Sembra un dibattito simile a quello odierno, in cui gli "atei devoti" accusano i preti di non fare più i preti, di tradire il cattolicesimo etc. Oggi c’è questo dibattito perché dopo qualche secolo la cultura cristiana e quella islamica sono tornate in stretto contatto. Al tempo di Pasolini, l’arena di questo dibattito feroce era il Concilio Vaticano II. Credo sia difficile per me e per i miei coetanei capire cosa voleva dire vivere quegli anni. Il Concilio di svolse e produsse decreti e costituzioni, approvò nuove importanti prassi, quali ad esempio la diffusione della Bibbia ai laici e la messa in lingua volgare. Ma poi, finito il Concilio, è iniziata la discussione sul suo significato e il magistero papale di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI ha imposto la propria interpretazione delle decisioni conciliari. Credo sia anche difficile immaginare cosa era l’Italia di quegli anni. Ora il paese è radicalmente cambiato e ci siamo dimenticati che l’Italia era un paese sottosviluppato che stava iniziando quello che probabilmente Pasolini avrebbe chiamato uno "sviluppo senza progresso". Occorre però fare questo sforzo mentale per andare all’Italia e al cattolicesimo del tempo per comprendere meglio Il vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini.

Secondo Matteo o secondo Pier Paolo?

Nel film sono almeno due gli elementi che balzano agli occhi. Il primo è la dedica "alla cara, lieta, familiare ombra di Giovanni XXIII", che palesemente inserisce il film nella polemica conciliare. Il secondo è la scelta delle location. Pasolini con l’aiuto della Cittadella di Assisi effettua un sopralluogo sui luoghi dove è ambientato il Vangelo di Matteo, in Terrasanta. Ne torna deluso e con la convinzione che non è lì che il suo film deve essere girato. I luoghi sono mutati radicalmente nel tempo, sono troppo moderni, e le potenziali comparse non gli sembrano avere i volti adatti per l’opera che sta per compiere. Si fa strada in lui l’idea di girare il film nel Meridione: è nei volti dei braccianti e nei paesaggi del Sud che Pasolini trova il perduto ambiente biblico. I Sassi di Matera diventano la scenografia "urbana" del Vangelo: infatti, non solo Gerusalemme è ambientata lì, ma anche gli altri luoghi abitati, eccetto quelli in riva al mare. Il paesaggio lunare dell’Etna, complice il bianco e nero della pellicola, diventa il deserto dove Cristo incontra e sconfigge Satana. Tra l’altro, con quest’ultima decisione, potremmo affermare che Pasolini riesce a coniugare le due tradizioni religiose ebraica e greco-romana, visto che i vulcani venivano considerati da questi ultimi come passaggio agli inferi. Spesso si dice che Il vangelo secondo Matteo di Pasolini è la trascrizione fedele del testo biblico, cui nessuna battuta è aggiunta o tolta. Sicuramente è la più fedele, ma alcuni momenti vengono modificati rispetto al testo biblico. Queste modifiche sono a noi utili per capire la comprensione di Cristo che aveva Pasolini. La modifica più notevole è la presenza della madre di Gesù sotto la croce, insieme al discepolo che Gesù amava. È Giovanni, non Matteo a darci questo particolare. Perché Pasolini proprio sul finale cambia vangelo? Possiamo fare alcune ipotesi. Il film fedele al testo, secondo Pasolini non poteva essere una semplice copiatura, bensì una rappresentazione della storia evangelica nella realtà odierna tenendo conto dei duemila anni di cristianesimo passati. La ricerca del puro racconto evangelico per Pasolini non passa per la cancellazione di tutta la storia cristiana. Ecco perché l’autore si prende questa licenza: ormai per tutti Maria era sotto la croce ed è difficile narrare la morte di Gesù in maniera diversa senza perdere una certa efficacia narrativa. Inoltre, Pasolini soffermandosi sul dolore della madre, evidenzia l’aspetto a lui più caro riguardo Cristo: la sua umanità. Il modo migliore di coinvolgere lo spettatore nella morte di un condannato è inquadrando il dolore della madre. Certamente colpisce la scelta del regista di chiamare la propria madre Susanna per interpretare la madre di Cristo. Potrebbe sembrare una scelta blasfema, egocentrica o almeno indelicata. Usare la propria madre per interpretare Maria porta automaticamente a pensare che l’autore in qualche maniera si immedesimi in Cristo. È certamente vero che, da un punto di vista teologico, nel prendere i peccati di tutti, è Cristo a immedesimarsi in ognuno e ognuna di noi. Ma non è questo il punto. Pasolini si considera perseguitato dal potere, dalla chiesa cattolica e dalla società borghese, e proprio in quegli anni viene messo alla gogna per "La ricotta", come fosse un capro espiatorio di quella parte della chiesa cattolica che spinge per il cambiamento. Quando Pasolini fu condannato in primo grado per vilipendio, egli fu talmente scosso dalla reazione di disperazione della madre, da telefonare al giudice per imputargli il turbamento della madre (unica caduta di stile nel lungo curriculum processuale subito per quasi tutta la sua vita). Non è un atto di megalomania da parte del regista. Egli ritiene che Cristo rappresenti tutti i perseguitati, perciò utilizzare la propria madre per la parte di Maria è un mezzo per affermare paradossalmente l’universalità della storia di Cristo. C’è un particolare interessante sulla via per il Golgota: la comparsa che ha il ruolo di Simone di Cirene, colui che prende la croce di Cristo, assomiglia in maniera impressionante proprio a Pasolini. Ad ogni modo, la presenza giovannea e non matteana di Maria sotto la croce può essere un particolare che pochi riescono a cogliere. Altre differenze tra il testo evangelico e la pellicola balzano agli occhi, in particolare la drastica riduzione dei momenti che più richiedono un apporto di fede. Sono infatti assenti la Trasfigurazione e gli accenni al ritorno glorioso del Cristo, mentre l’apparizione finale di Gesù ai discepoli e le guarigioni sono limitatissime (stranamente sono assenti i miracoli riguardanti donne). Dal discorso della montagna sono omesse le parti relative al matrimonio e al celibato. Il discorso in parabole è quasi del tutto eliminato. Il discorso escatologico è interamente omesso.

Un’opera onestamente accurata e schierata

Nell’ottima introduzione alla sceneggiatura del film, Morando Morandini interpreta l’eliminazione di queste parti come segno della parziale accettazione di Pasolini del messaggio biblico.(7) Mentre Gesù mantiene una tensione escatologica, perché annuncia che il Regno di Dio è autentico e attuale (hic et nunc), e allo stesso tempo deve ancora compiersi, "nel Vangelo di Pasolini c’è soltanto il primo [aspetto]. Il suo è, in senso teologico, un vangelo senza speranza. C’è il cielo che scende sulla terra, non la terra che va verso il cielo."(8) La sintesi di Morandini è sicuramente fondata. Tuttavia, ritengo che non si faccia giustizia a Pasolini nel definire laico il suo film, considerandolo come opposto a "cristiano", "cattolico" o altro. In tal modo si rischia di ridurre l’opera del grande intellettuale ad una polemica da teatrino italiano. Il vangelo secondo Matteo non sarebbe sopravvissuto se Pasolini avesse solamente voluto laicizzare il racconto evangelico. Rifacendomi alla citazione con cui ho iniziato, credo che il vangelo di Pasolini sia un’opera poetica, che scioglie con la poesia le parti che l’autore rifiuta di comprendere in quanto non credente. Questa è la forza dell’opera pasoliniana. Paradossalmente c’è voluto un non credente per rendere la storia di Gesù con rispetto e correttezza. I film su Gesù spesso sono dei polpettoni commerciali, che spettacolarizzano il Cristo e le sue azioni. In altre parole, Gesù viene spesso rappresentato come un superman, perché questo è l’unico modo in cui lo può realizzare chi crede (anche chi crede "più o meno") che Gesù sia Figlio di Dio. Statuario, dallo sguardo vitreo come Max von Sidow (La più grande storia mai raccontata) o Robert Powell (Gesù di Nazareth), indistruttibile come Jim Caviezel (La passione di Cristo), o addirittura così divino da non poter neanche essere inquadrato in volto (La tunica, Ben Hur). La rappresentazione poetica che Pasolini fa della vita di Cristo, come uomo allo stesso tempo semplice e straordinario, rispecchia fedelmente la semplicità del linguaggio evangelico. Il miracolo che avviene senza cori angelici in sottofondo rispetta quel pudore che Gesù stesso chiedeva alle persone che egli guariva. La sua passione vista attraverso gli occhi di Pietro, di Giuda e di Maria ricorda quello che è, anzitutto, un testo come il vangelo di Matteo: una testimonianza da tramandare. L’assenza di star del cinema, solitamente in fila per una parte in un film a tematica sacra (vuoi per fede, vuoi perché sono spesso film ad altissima diffusione e dagli incassi d’oro), fa compiere allo spettatore (soprattutto allo spettatore credente) una sana rilettura del testo matteano. A tal proposito, la caratterizzazione e la fisionomia dei personaggi è particolarmente interessante. Giovanni Battista magro, senza denti e stralunato riflette la descrizione di Matteo (3). La pinguetudine e apparente bonarietà dei due Erodi descrive perfettamente l’arroganza e la violenza del potere. La giovanissima età di Salomè e i sorrisi apparentemente affettuosi di Erodiade descrivono meglio di mille parole la banalità del male. Ma sono i volti, i primi e primissimi piani della giovane Maria, di Giuseppe, dei vari contadini, dei bambini, degli apostoli, che riflettono l’amore del regista per l’umanità (o almeno per quell’umanità sottoproletaria) e che trasmettono amore allo spettatore.

Qui c’è un altro punto interessante: l’interpretazione dei "minimi" di cui parla il vangelo di Matteo. Quando i discepoli discutono su chi sia il più grande tra di loro (Mt18), Gesù risponde:

"Se non cambiate e non diventate come questi bambini, non entrerete nel Regno dei cieli".

Nella relativa scena del film, viene inquadrato Ninetto Davoli, icona pasoliniana del sottoproletariato, che prende in braccio un bambino. Chi sono i bambini di cui parla Gesù secondo Pasolini? A mio parere, dall’inquadratura sembrerebbe che la risposta sia non solo i bambini in senso stretto, ma i "più piccoli", nel senso dei "più deboli", dei "più semplici". Lucio Caruso della Cittadella di Assisi scrisse ad Alfredo Bini, produttore del Vangelo:

"Per fare un film su Gesù occorre innanzitutto credere in Gesù, altrimenti ne viene un’opera fredda e accademica".(9)

Credo che possiamo concordare che il Vangelo di Pasolini non sia né freddo né accademico. Allora, Caruso si sbagliava quando riteneva che per fare un buon film su Gesù bisognava credere in lui. Certamente possiamo dire che la fede del regista e il risultato dell’opera sono elementi che fanno parte di piani diversi. Tuttavia sorge la domanda se sia sufficiente la genialità di Pasolini, senza l’apporto della fede, per aver reso così bene il vangelo di Matteo.

Un "evangelista" ateo per persone di fede

Mettere in dubbio le parole di Pasolini "non sono credente, almeno nella coscienza",(10) mi pare un’operazione da Inquisizione al contrario e, pertanto, non lo farei. Certo, succede qualcosa quando lo spettatore cristiano incontra Il vangelo secondo Matteo di Pasolini. Forse è proprio qui la genialità e la profondità di Pasolini. Per fare un film su Gesù occorre la fede in lui, ma invece di proporre la propria fede al pubblico, Pasolini stimola, sfida e smuove la fede dello spettatore. Pasolini fa un film onesto, nel senso che rispecchia la propria comprensione di Cristo, che non è una comprensione passionale, ma il frutto di un’analisi rigorosa del Vangelo di Matteo, come solo uno come lui poteva fare. La sua onestà e la sua analisi compiono il miracolo: il film suscita approvazione dai fedeli e dagli intellettuali cattolici. Non solo: il film così radicato nella realtà del sottoproletariato dell’Italia meridionale, viene visto e compreso in tutto il mondo come film universale (anche grazie alla colonna sonora "internazionale": Bach, Mozart e il Gloria africano). Pasolini è riuscito a entrare da protagonista nel dibattito del cattolicesimo conciliare, nonostante la condanna dell’omosessualità da parte della chiesa cattolica lo avesse emarginato (oltre ad essere sicuramente concausa della sua perdita della fede). E, allo stesso tempo, è riuscito a porre ai suoi compagni marxisti Cristo come figura imprescindibile per chi ha a cuore i "minimi" della terra.

Note:

1 "Sei lettere", in Pier Paolo Pasolini, Il Vangelo secondo Matteo - Edipo Re - Medea, Garzanti, Milano, 1991, p. 17.

2 Ro.Go.Pa.G, regia Roberto Rossellini, Jean-Luc Godard, Pier Paolo Pasolini, Ugo Gregoretti, It.-Fr., 1963, dur. 112’. Il titolo è dato dalle iniziali dei registi.

3 Il vangelo secondo Matteo, regia Pier Paolo Pasolini, It.-Fr., 1964, dur. 142’.

4 Anna Maria Guadagni (ed.), Il processo Pasolini, Supplemento a L’Unità, Roma, 18 maggio 1994, pp. 159.

5 P.V. ,"Quattro registi per Ro.Go.Pa.G. - Il cinema guarda all’industria" in Il popolo, 26 febbraio 1963, riportato in Il processo Pasolini, cit., p. 61-62.

6 Citato in Il processo Pasolini, cit., p.19

7 Morando Morandini, "Introduzione" a Pier Paolo Pasolini, Il Vangelo secondo Matteo - Edipo Re - Medea, Garzanti, Milano, 1991, pp. I-VIII.

8 Ibidem, p. III.

9 "Sei lettere", cit., p. 19.

10 Ibidem, p.17.
 

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Curatore, Bruno Esposito

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