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sabato 6 marzo 2021

Pasolini ci direbbe... di Gianni D'Elia

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

 
 

Pasolini ci direbbe...
di Gianni D'Elia
"l'Unità" 11 novembre 2008

Forse, l’unico modo per ricordare Pasolini e il suo delitto del 2 novembre 1975, è quello di chiederci che cosa oggi egli direbbe e farebbe, in questa Italia. L’unico modo davvero pasoliniano sarebbe continuarne l’ossessione politica, che negli ultimi anni il poeta concentrò sulla radice stragista dello Stato, su quella economia politica delle stragi, che riempie le carte postume di Petrolio, il romanzo incompiuto uscito nel 1992, nonché gli Scritti corsari e luterani. L’Italia del 2008 presenta ancora la «questione democratica» come centrale, nel succedersi degli scandali economici, finanziari, sportivi, bancari, di spionaggio politico e fiscale, di dossieraggio, come ai tempi del Sid privato di Cefis e del generale Miceli: non è cambiato il modo di fare politica oscura e dietro le quinte di pubblici poteri civili e militari e di cartelli economici e industriali, con raccolta di dati attraverso la manipolazione informatica e lo smistamento politico criminale, al servizio segreto delle varie fazioni in lotta. 

Forse, Pasolini ci direbbe che non basta la riforma dei Servizi Segreti di oggi, ma che occorre abolire il Segreto di Stato di ieri, perché finalmente gli italiani sappiano la verità, o semplicemente perché la dicano finalmente delle parole ufficiali: gli italiani non sanno ancora niente né del delitto Mattei, né del delitto De Mauro, né del delitto Pasolini, né delle stragi da Piazza Fontana a Bologna, eccetera. Senza un moto di opinione generale, di discussione nazionale, questa riforma dei Servizi calerebbe sempre dall’alto, senza memoria e soprattutto senza fedele rendiconto del passato, di ciò che è veramente accaduto dopo il delitto di Moro, davvero dimenticato e offeso dalla esaltazione morale degli ex amici e senatori a vita, come Andreotti e Cossiga, quando di essi Moro ci ha lasciato un ritratto impietoso e mai lavato dai dubbi e dai sospetti di feroce cinismo e autoassolvimento ipocrita. Tolto il segreto, tutti questi delitti collegati squillerebbero, come telefoni nel vuoto dei misteri (e ministeri). Forse, Pasolini ci parlerebbe anche del proprio delitto, confermando la ritrattazione di Pino Pelosi (7 maggio 2005), che si era accusato dell’assassinio sotto minaccia e ricatto dei veri assassini, un gruppo di fascisti e di mafiosi mai ricercati e mai trovati. Un delitto politico, su mandato politico dei potentati economici e politici, a cui dava molto fastidio il lavoro in corso del poeta. O forse Pasolini ci mostrerebbe semplicemente il suo corpo straziato e ci direbbe: non vi pare la strage di un corpo solo? Non vi pare la perizia e il referto di un corpo esploso, anche se soltanto selvaggiamente bastonato e schiacciato? Non vi pare che il mio corpo parli degli anni '70 e delle stragi più di qualunque discorso? Non potrebbe essere il corpo dell’ultima vittima di Piazza Fontana, il mio, o il primo segnale della strage di Bologna? Eccolo, il mio corpo sbranato dai bombaroli: il cuore scoppiato; il fegato lacerato in due punti; dieci costole fratturate, fratturato lo sterno; un’orribile lacerazione tra il collo e la nuca; ferite sulle spalle, sul torace, sui lombi, con il segno dei pneumatici della mia macchina sotto cui sono stato schiacciato; le orecchie tagliate a metà, e quella sinistra divelta, strappata via; il naso appiattito deviato verso destra; la mascella sinistra fratturata; le dita della mano sinistra fratturate e tagliate; nerolivide e rosse di sangue anche le braccia, le mani; la faccia deformata dal gonfiore, nera di lividi, di ferite; i capelli impastati di sangue, sulla fronte escoriata e lacerata; quando questo corpo venne ritrovato, giaceva disteso bocconi, un braccio sanguinante scostato e l’altro nascosto dal corpo... Forse, Pasolini ci direbbe: quanti morti d’Italia, a causa dell’Italia segreta, sono stati trovati così e non hanno avuto ancora giustizia? Quanti corpi uccisi dal segreto? Forse, Pasolini, come Socrate, indicherebbe il segreto politico come il male del passato nel presente della città. Il paradosso italiano è questo: il passaggio politico e economico è chiaro erede dei responsabili di quella «sconfitta democratica», di quella «questione democratica», che portò all’utilizzo del terrorismo per fini restaurativi, alle stragi e al depistaggio, alla eliminazione fisica e dissimulata degli oppositori di quel «piano di rinascita» nazionale”, che Gelli e Ortolani ereditarono da Cefis, che passa per Tangentopoli e arriva al piduismo mafioso già al governo della Seconda Repubblica. Forse, Pasolini ci ricorderebbe la continuità di quel progetto, e certo chiederebbe di nuovo il Processo: storico, pubblico, collettivo, perché la verità delle stragi italiane e del paesaggio politico-economico che le ha prodotte e «incassate» venga fuori. Questo non escluderebbe il riaprirsi dei procedimenti giudiziari, sullo stesso delitto di Pasolini, che già un giudice come Vincenzo Calia ha collegato al delitto Enrico Mattei: non ci sarebbe più il segreto di Stato, e forse Calia potrebbe riaprire l’inchiesta archiviata nel 2003, e proprio per questo motivo: il «muro di gomma» del segreto, sugli affari di Cefis e dei suoi amici... Probabilmente, Pasolini, scrivendo un articolo dei suoi, costringerebbe intellettuali e politici a schierarsi, a iniziare una campagna d’opinione forte su tutti i giornali democratici, perché una cosa ragionevole e dunque sacra come questa si potesse realizzare: la pulizia di questo paesaggio inquinato, riformare i Servizi Segreti, abolire il segreto di Stato; e forse riunire tutte le Commissioni parlamentari (Mafia, P2, Terrorismo) in una Commissione del Perdono sulle Stragi, come in Sudafrica, perché la confessione dei delitti almeno implichi per le vittime e per tutti gli italiani l’acquisizione del bene prezioso della verità politica, per rifondare su questa la pratica politica di un futuro civile. 


@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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