"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Nei sensi dell’arte: Bernhard Waldenfels ‘lettore’ di Pier Paolo Pasolini
Dipartimento di Scienze Pedagogiche e Filosofiche
Gabriella Baptist
Università di Cagliari
baptist@unica.it
Gabriella Baptist
Università di Cagliari
baptist@unica.it
Uno degli ultimi scritti pubblicati da Bernhard Waldenfels indaga la ricerca e il profilo della creatività artistica contemporanea a partire dalla resistenza e dalla capacità di risposta dei sensi.(1) Si tratta di interrogare la genesi stessa di quanto in genere non è semplice abbellimento o decorazione e nasce invece nel confronto con sfide provenienti da ciò verso cui è necessario un approccio ‘altro’, giacché non può essere accalappiato nella rete della comprensione o dell’interpretazione. Mettendo in risalto la sensualità e sensibilità dell’arte contemporanea, Waldenfels intende mantenere e mostrare ‘il pungolo dell’estraneo’(2) in quelle macchinazioni in cui si coglie e porge l’accessibilità dell’inaccessibile, la possibilità dell’impossibile, la visibilità dell’invisibile, la leggibilità dell’illeggibile, il tono e il timbro dell’inaudito, il tocco dell’intatto, la pertinenza dell’impertinente e via dicendo, insomma quei rovelli e quelle aporie ai quali ci ha iniziato la fenomenologia del Novecento degli Husserl, Heidegger, Merleau-Ponty, Derrida o Nancy. L’indagine procede ‘classicamente’ partendo dai sensi filosoficamente nobili e fenomenologicamente da sempre in evidenza quali la vista e l’udito – interrogando perciò innanzitutto la traccia, lo specchio, la figura, lo sguardo, il doppio, il frammezzo, e poi anche la voce, la tonalità, l’eco, il rumore, l’accordo, l’ascolto, la quiete –, ma senza dimenticare peraltro l’universo sensibile del movimento o quei sensi altrimenti ritenuti più grevi e ottusi come il gusto o il tatto, che solo di recente hanno acquistato una qualche cittadinanza filosofica, e senza mascherare perciò le opacità e le nebbie coinvolte nel sentimento e nell’affetto. A metà del percorso, dopo gli approfondimenti dedicati all’immagine, al timbro, alla danza e prima di passare a interrogare la sensazione o il dolore nelle sinestesie e diestesie dei sensi e delle affezioni, Waldenfels indaga il teatro come scena e sipario dell’estraneo, è questo il contesto in cui compare il breve confronto con l’opera di Pier Paolo Pasolini, che qui intendiamo approfondire.(3)
Con i suoi spazi e tempi reinventati nell’evocazione scenica, con la percezione doppia di personaggi fittizi, ma in carne ed ossa, con i travestimenti, le ombre e i fantasmi che suscita, con le emozioni e sorprese che codifica nei suoi coups de théâtre e dei ex machina, con gli effetti di straniamento, spaesamento e disincanto che produce, con il gioco reciproco da un lato di attori non solo ‘attanti’ e ‘agenti’, ma anche messi in scena, e perciò ‘agiti’, e dall’altro di spettatori niente affatto disinteressati, anzi emotivamente coinvolti, talvolta addirittura resi parte dello spettacolo, con i suoi passaggi, le sue soglie, le sue quinte, le sue ribalte, il teatro sembra affatto recalcitrante ad ogni riduzione e omologazione a qualcosa di ovvio e di scontato, quasi si trattasse solo di un giocattolo estetico, di un programma di intrattenimento, di un veicolo per scopi politici o morali, di un succedaneo per estasi più o meno misticheggianti o per profanazioni altrettanto ritualizzate. Anzi il teatro riunisce in sé molti spunti per una riflessione sul momento ‘patico’ – non componente qualsiasi, ma nocciolo stesso, secondo Waldenfels, di ogni confronto con l’alterità –, oltre che per una disamina di quella fenomenologia responsiva che egli indaga nei suoi scritti, tematizzando ripetutamente la nascita del senso/dei sensi dallo scontro e dall’appello che proviene da quanto segna la nostra esperienza come un affronto, una crepa o un margine.(4)
Il teatro coinvolge inoltre contemporaneamente tutti i sensi in sinergie co-modali, intermodali ed eteromodali, cosicché per esempio, pur senza dover tirare in ballo le fascinazioni del Gesamtkunstwerk, occorrerà riconoscere che sulla scena i colori acquistano un certo tono, i suoni rivelano coloriture diverse, le voci, i testi, le musiche evidenziano intensità, luminosità, spessori che coinvolgono la sensibilità stessa dell’esperienza, il suo senso addirittura. La riflessione di Waldenfels su un teatro nel quale il pungolo dell’estraneo si presenta in tutta la sua evidenza e urgenza ed è anzi messo esplicitamente in scena nei suoi esperimenti che mirano alla rappresentazione dell’irrappresentabile avviene poi dalla prospettiva dell’esperto invitato, ma estraneo all’ambito specifico, funzione che egli ha ufficialmente ricoperto in occasione del Festival di Salisburgo del 2007, dove è avvenuto appunto il contatto con la riduzione teatrale di un testo pasoliniano.(5)
Si tratta del progetto Come un cane senza padrone del gruppo teatrale "Motus" di Rimini, ideato e diretto da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, in programma al Festival di Salisburgo nei giorni 4, 5 e 10 agosto 2007: sul palco tre schermi riportano il cinema nel teatro quasi come in un trittico smontato e scomposto, alternando polifonicamente scene di desolazione e di degrado ambientate nei deserti di una natura liminare e di una periferia urbana abbandonata a se stessa, al centro della scena si trova una narratrice – tra un tavolo-consolle e un’Alfetta come quella dell’ultima notte all’idroscalo di Ostia – che legge la storia di Carlo e il suo incontro con Carmelo, mentre questa si svolge parallelamente tra gli schermi e i due attori sul palco.(6) Si tratta di due protagonisti del romanzo incompiuto al quale Pasolini stava lavorando prima della tragica fine e pubblicato postumo col titolo Petrolio, una specie di frammentario Satyricon contemporaneo, "poema dell’ossessione dell’identità e, insieme, della sua frantumazione", scritto insieme come limitato e leggibile, ma anche come illimitato e illeggibile, ambientato tra le speculazioni economiche, le manipolazioni politiche, le degenerazioni e le inettitudini umane del secondo dopoguerra italiano.(7) Implacabile ed estremo, il racconto espone l’inquietudine e lo spasmo erotico, dagli accenti sadiani, nella vicenda eterna del signore e del servo, della vittima e del carnefice, rivisitati nei loro scambi di ruoli, di tempi, di sessi, di ceti: questo spiega anche la ricercata frammentarietà della rappresentazione, che porge appunto, come sottolinea Waldenfels, un’"estraneità intrascenica corrispondente alle fratture della nostra esperienza".(8 )Carlo e Carmelo, così come i cani rinselvatichiti o i bambini rom delle baraccopoli che scorrono sui video, espongono la crudezza di un realismo niente affatto ‘realistico’, giacché mira a presentare l’irruzione dell’ospite imprevisto o del doppio inquietante, la visitazione angelica o demoniaca, l’incubo o il disastro che avvengono nelle zone d’ombra degli intrighi, della marginalità, della patologia politica e sociale, osservate con acume dall’outsider Pasolini.(9) L’evento chiave del rapporto tra Carlo, il padrone che è di casa nei centri del potere, e Carmelo, il giovane cameriere immigrato che è invece a suo agio nelle borgate, è dominato in particolare dal motivo del corpo, sempre nel bilico di essere insieme corpo vissuto – e quindi corpo proprio, desiderante, desiderato, sessuato, notoriamente tematizzato dalla ricerca fenomenologica come il Leib – ma anche corpo estraneo, anonimo, oggettivato a cosa, mercificato a valore di scambio, degradato a oggetto di piacere, insomma quel Körper sottoposto semplicemente alle leggi della materialità e della sua manipolazione. Di qui le alternanze e i miscugli tra richiesta di protezione e aggressione, irruenza amorosa e violenza carnale, consapevolezza adulta e innocenza infantile. Ma nonostante le scene esplicite, non c’è alcun voyeurismo pornografico nella rappresentazione, anzi, secondo Waldenfels, la distanza è sempre rimarcata nella voce distaccata della lettrice, che corrisponde ai vari narratori del romanzo, nella moltiplicazione delle scene e degli schermi, che corrisponde alla sovrapposizione degli appunti e degli schemi, quasi un rimando al ‘terzo’ che osserva e giudica gli effetti seducenti e distruttivi della prospettiva già mediatica e consumistica degli anni Settanta. Nella contraddizione sempre di nuovo in campo nessuna conciliazione è peraltro possibile, come se da una rinnovata dialettica del servo e del padrone potesse risultare, hegelianamente, una qualche conquista spirituale, e nemmeno si tratta semplicemente del compiacimento o del disappunto di fronte a perversioni sadomasochistiche che seguono una loro economia nella permuta dei piaceri; piuttosto nei corpi e tra i corpi è in gioco, secondo Waldenfels, quanto resta genuinamente estraneo: l’ingegnere avvezzo a comandare, ma ormai accortosi di essersi trasformato in un cane, anzi in una cagna, si consegna a chi potrebbe essere il suo assassino o anche il suo salvatore e cerca in questi, più che un padrone, l’altro estraneo di cui ha nostalgia nella ricerca anarchica per cui è ormai appunto un ‘cane senza padrone’, come suona il titolo scelto per il progetto teatrale.
Nel contrastare l’edonismo e il perbenismo consumistico con i suoi effetti conformisti di omologazione e livellamento culturale, Pasolini aveva scritto significativamente, in un articolo pubblicato sul "Corriere della sera" il 26 luglio 1974 e intitolato Abrogare P.: "Io vivo nelle cose, e invento come posso il modo di nominarle", attestazione che Waldenfels interpreta come genuino impulso fenomenologico.(10) In effetti anche Pasolini potrà dirsi, a suo modo, un fenomenologo, perlomeno in seguito alla sua passione per la descrizione poetica delle cose nella loro unicità. Egli ha incontrato certamente la fenomenologia nel suo percorso intellettuale soprattutto attraverso l’interesse semiologico dell’artista; in particolare negli scritti teorici sul cinema alcuni rimandi sono espliciti e inequivocabili, anche se non approfonditi.(11) Anche nella sua produzione più propriamente letteraria egli ha talvolta elaborato spunti che gli provenivano dalla riflessione fenomenologica, così non sarà sorprendente trovare nel 1971 il progetto per un romanzo dedicato al suo collaboratore e amico Sergio Citti, da lui forse ispirato o suggerito e intitolato L’epochè, un’elaborazione dell’alone enigmatico che circonda il senso.(12) Anche nell’incompiuto romanzo Petrolio una parte del manoscritto porta il titolo: "L’Epochè", nel tentativo rinnovato di mettere a soqquadro l’essere attraverso il racconto.(13) Certamente si dovrà riconoscere che in genere non si va al di là della suggestione, pur sottile, per la complicazione filosofica, eppure il rimando continuo al motivo del doppio e dell’altro, di tonalità forse più psicoanalitica, risalta comunque in maniera vigorosa ed è significativo il fatto che Waldenfels lo colga e lo elabori individuando in Pasolini non semplicemente e banalmente l’artista versatile ed enciclopedico, incarnazione novecentesca di una poliedricità ancora rinascimentale che non sa contraddizioni e anzi trova sinergie tra l’ingegno tecnico, il talento letterario, l’impegno etico-politico, la vita vissuta e cercata, ma anche e soprattutto il poeta dei sensi e l’indagatore del reale, l’artista irriverente e il pubblicista provocatore che ha saputo aporeticamente esprimere quanto nell’arte e nella realtà è sorprendente, terribile e inaudito per misurare i limiti dell’esperienza e indagarli. In fondo quell’epoché che Pasolini esplicitamente architetta nella sua ultima opera e che Waldenfels coglie come uno spunto fenomenologico a partire dalla sua riduzione teatrale sembra essere molto prossima a quell’epoché estetica e narrativa che Waldenfels stesso individua altrove, nello stesso testo, anche se in riferimento ad un altro autore, e che considera come la sospensione che l’arte del Novecento instaura rispetto alla complicità altrimenti data per scontata nell’esperienza e con l’esperienza: "È necessaria una epoché estetica, da intendersi nel senso più ampio del termine, che sia ancorata all’ambito dei sensi e della sensibilità, è necessario un trattenere il movimento con il quale vedendo, ascoltando, desiderando, ci accostiamo al visibile, all’udibile e al desiderabile";(14) non si tratta solo di un’epoché dentro l’opera, che, per così dire, la lavora dall’interno come una presa di distanza dai ritmi immediati e immeditati della vita (per esempio attraverso i rallentamenti o le accelerazioni delle narrazioni, delle messe in scena, delle recitazioni, degli sdoppiamenti), ma anche di un’epoché dell’opera stessa, da questa azionata in risposta a qualcosa che resta irriducibile e che non è puramente estetico né solo immaginario o illusionistico, perché chiama piuttosto ad una responsabilità etica da ripensare nel senso e nei sensi.
Anche l’approccio di Waldenfels a Pasolini è un avvicinamento indiretto e sospeso, retto dalle macchinazioni dell’epoché fenomenologica, non solo perché media la lettura di un suo romanzo incompiuto attraverso un’avanguardistica riduzione teatrale che commenta, ma anche perché lo incontra attraverso una scrittura essa stessa indiretta, che è anche vista, audizione, reportage per il giornale locale,(15) quasi un esercizio di epoché affezionale e responsiva(16) attraverso cui, al ‘che cosa’ e all’‘in vista di che cosa’ dell’atto intenzionale implicito nella valutazione filosofico-critica, si aggiunge anche il ‘da che/da chi’ della sorpresa e l’‘a che/a chi’ della risposta, grazie a uno sbircio laterale che non perde mai di vista quanto resta estraneo ed estraniante, perché irriducibile e irreparabile, quanto si esprime nel dolore, nel grido, nella desolazione, in tutto quanto insomma dice la finitezza e la sua fragilità. Di fronte a quest’ultima, l’arte come il pensiero non possono che voler tenere insieme i fili diversi dell’aisthesis, della mimesis, della kinesis, della poiesis, riannodandoli sensibilmente e carnalmente là dove il pathos, lo shock, il trauma, la morte chiamano a rispondere o almeno a tacere: "Non a caso resta senza parole alla fine anche la voce della narratrice. Si mostra di più di quanto non si lasci dire".(17)
Note:
1 Bernhard Waldenfels, Sinne und Künste im Wechselspiel. Modi ästhetischer Erfahrung, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 2010.
2 Questo è il titolo di un suo precedente libro, cfr. Bernhard Waldenfels, Der Stachel des Fremden, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1990.
3 Due sono in particolare i capitoli dedicati esplicitamente al teatro, ai quali segue una riflessione sul cinema, cfr. Bernhard Waldenfels, "9. Theater als Schauplatz des Fremden", "10. Mimetische Differenz und pathische Impulse", "11. Überraschte Wahrnehmung im Kino", in Sinne und Künste im Wechselspiel, cit., pp. 241-268, 269-277, 278-298; il rimando a Pier Paolo Pasolini compare nel primo dei capitoli citati, all’interno dell’ultimo paragrafo sui "Salzburger Theaterexperimente", ivi, pp. 252-268, in part. 256-260: "Pasolinis Streifzüge durch die Großstadtwüste".
4 Tra i molti testi dedicati alla questione sia qui ricordato soltanto Bernhard Waldenfels, Grundmotive einer Phänomenologie des Fremden, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 2006; trad. it. a cura di Ferdinando G. Menga, Fenomenologia dell’estraneo, Milano, Cortina, 2008. In italiano si potrà vedere anche Id., Fenomenologia dell’estraneità, a cura di Gabriella Baptist, Napoli, Vivarium, 2002 e Id., Estraniazione della modernità. Percorsi fenomenologici di confine, a cura di Ferdinando G. Menga, Troina (En), Città Aperta, 2005.
5 Cfr. Bernhard Waldenfels, Sinne und Künste im Wechselspiel, cit., p. 241, nota 1, come "artfremde[r] Expert" egli è stato infatti ufficialmente coinvolto nel "Young Directors Project" dal direttore teatrale e dalla curatrice del Festival.
6 Il titolo dello spettacolo è stralciato da un verso pasoliniano dalle Poesie mondane del 10 giugno 1962, in cui l’autore racconta le sue erranze nella periferia romana: "Giro per la Tuscolana come un pazzo, / per l’Appia come un cane senza padrone", Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di rosa, Milano, Garzanti, 2006, p. 24. Materiali sullo spettacolo Come un cane senza padrone del gruppo teatrale "Motus" si trovano altrimenti in rete all’indirizzo:
http://www.motusonline.com/it/progetto/pasolini/come_un_cane_senza_padrone
Sul lavoro del gruppo teatrale "Motus" si potrà vedere anche Enrico Casagrande, Daniela Nicolò, Io vivo nelle cose. Appunti di viaggio da "Rooms" a Pasolini, Milano, Ubulibri, 2006.
7 Cfr. Pier Paolo Pasolini, Petrolio, Milano, Mondadori, 2005, le parti del testo alle quali fa riferimento la messa in scena sono in particolare quelle comprese tra l’appunto 58 e l’appunto 62, cfr. ivi, pp. 285-319. La citazione nel testo, così come il rimando alla limitatezza/illimitatezza e alla leggibilità/illeggibilità dell’opera si trova all’appunto 42, ivi, p. 194.
8 Bernhard Waldenfels, Sinne und Künste im Wechselspiel, cit., p. 257.
9 Si veda in proposito anche la traccia del romanzo stilata nella primavera/estate del 1972, cfr. Pier Paolo Pasolini, Petrolio, cit., pp. 576-578.
10 Bernhard Waldenfels, Sinne und Künste im Wechselspiel, cit,, p. 257, il riferimento implicito è a Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Milano, Garzanti, 1990, p. 74. Il passo pasoliniano citato così prosegue: "Certo se io cerco di «descrivere» l’aspetto terribile di un’intera nuova generazione, che ha subìto tutti gli squilibri dovuti a uno sviluppo stupido e atroce, e cerco di «descriverlo» in «questo» giovane, in «questo» operaio, non sono capito: perché al sociologo e al politico di professione non importa personalmente nulla di «questo» giovane, di «questo» operaio. Invece a me personalmente è la sola cosa che importa", ibid.
11 Si veda per esempio il discorso pronunciato in occasione della Seconda mostra internazionale del nuovo cinema tenutasi a Pesaro nel 1966 e pubblicato nello stesso anno all’interno della rivista "Nuovi argomenti", cfr. Pier Paolo Pasolini, La lingua scritta della realtà, in Id., Empirismo eretico, Milano, Garzanti, 2000, p. 200: "Non è chi non veda, a questo punto, come la semiologia del linguaggio dell’azione umana verrebbe poi ad essere la più concreta delle filosofie possibili. E non è chi non veda in conseguenza, quanto in comune avrebbe una simile filosofia, dovuta a una descrizione semiologica, con la fenomenologia, con il metodo di Husserl, magari lungo la linea esistenzialistica sartriana". Nel quadro di un’indagine teorica sul cinema, il rimando al ‘pregrammaticale’ per caratterizzare il linguaggio delle azioni che il cinema riproduce, operando così sulla realtà, che è a sua volta un cinema in natura, sembra risuonare di echi anche al precategoriale husserliano, così come il ‘cinèma’ sembra somigliare, oltre che al fonema, anche al noema. Sul rapporto di Pasolini con la fenomenologia cfr. in particolare Giuseppe Perico, Il cinema come lingua scritta della realtà. La riflessione di Pier Paolo Pasolini sul linguaggio cinematografico e il suo rapporto con la fenomenologia, tesi di laurea, Università degli Studi di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Filosofia, anno accademico 2003-2004, relatore: prof. E. Dagrada, si veda in particolare il cap. IV: "Il sordo caos delle cose, la fenomenologia e Pasolini", accessibile anche in rete all’indirizzo: http://www.pasolini.net/tesiPerico_cinema-cap-quarto.htm.
12 Cfr. Pier Paolo Pasolini, L’epochè, in Romanzi e racconti, vol. II: 1962-1975, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, Milano, Mondadori, 1998, pp. 1879-1880.
13 Pier Paolo Pasolini, Petrolio, cit., pp. 426-486. Questi in particolare i titoli di alcuni degli appunti più significativi: "L’Epochè: Storia di un uomo e del suo corpo" (pp. 436-439); "L’Epochè: Storia della ricostruzione di una storia" (pp. 440-441); "L’Epochè: Storia di mille e un personaggio" (pp. 442-450); "L’Epochè: Storia di quattro critici e di quattro pittori" (p. 451); "L’Epochè: Storia di un padre e delle sue due figlie" (pp. 452-458); "L’Epochè: Storia di due padri e di due figli" (pp. 459-466); "L’Epochè: Storia di un volo cosmico" (pp. 467-475); "L’Epochè: Storia delle stragi" (pp. 476-483); "L’Epochè: Commenti in salotto" (p. 486).
14 Bernhard Waldenfels, Sinne und Künste im Wechselspiel, cit,, pp. 381-382. Il riferimento è alla Recherche di Proust.
15 Una prima versione della nota waldenfelsiana su Pasolini era uscita infatti sulle "Salzburger Nachrichten" del 7 agosto 2007.
16 Il rimando ad una "epoché responsiva", ancora nel riferimento alla Recherche di Proust si trova in Bernhard Waldenfels, Sinne und Künste im Wechselspiel, cit., p. 384.
17 Ivi, p. 260.
Nessun commento:
Posta un commento