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lunedì 8 settembre 2014

“I racconti di Canterbury”, di Pier Paolo Pasolini

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



I racconti di Canterbury, di Pier Paolo Pasolini

Pasolini sceglie nove delle ventidue novelle firmate da Chaucer, per officiare una celebrazione della vita nelle sue forme più impetuose e istintuali. Così come nelle altre due opere della Trilogia della vita, i temi rappresentati sono il sesso, l’amore e la morte. Ma a trionfare è la sessualità, autentica protagonista di questa pellicola, che del corpo e delle sue vitalistiche esibizioni tesse un vero e proprio elogio. 
"Sentieri selvaggi"


1971–1972 | I RACCONTI DI CANTERBURY 


(tratto da The Canterbury Tales, di Geoffrey Cahucer); 

scritto e diretto da: P.P.P.; 

fotografia: Tonino Delli Colli; 

scenografia: Dante Ferretti; 

costumista: Danilo Donati; 

musica: scelta da P.P.P. con la collaborazione e l’elaborazione di Ennio Morricone; 

montaggio: Nino Baragli; 

aiuti regia: Sergio Citti, Umberto Angelucci; 

assistente alla regia: Peter Shepherd; 

interpreti e personaggi: 

Hugh Griffith (Sir January); 
Laura Betti (la donna di Bath); 
Ninetto Davoli (Perkin il buffone); 
Franco Citti (il diavolo); 
Josephine Cahplin (May); 
John Francis Lane (il monaco); 
Alan Webb (il vecchio) J.P. Van Dyne (Cook); 
P.P.P. (Geoffrey Cahucer); 

produzione: P.E.A. Produzioni Europee Associate, Roma;
produttore: Alberto Grimaldi;
pellicola: Kodak Eastmancolor; 
formato: 35 mm., colore, 1:1.85; 
macchine da presa: Arriflex; 
sviluppo e stampa: Technicolor; 
sincronizzazione: Cinefonico Palatino; 
mixage: Gianni D’Amico; 
distribuzione: United Artists Europa; 

riprese: settembre-novembre 1971, 

interni: Safa Palatino, Roma, 
esterni: Canterbury, Maidstone, Cambridge, Bath, Wells, Hastings, Abbazia di Battle, Warwick, Chipping Campden, Layer Marney, Lavenham, Paycocks Greenacrey, Icklesham, Rolvenden (Inghilterra); Etna (Sicilia);
 
durata: 110’ (3038 m.); 

prima proiezione: XXII Festival di Berlino, 2 luglio 1972;
premi: Orso d’oro, XXII Festival di Berlino. 

Serafino Murri 
Pier Paolo Pasolini
Il Castoro cinema


Il film

Un tripudio di natura per un’esaltazione della corporeità e della sessualità. È la cifra stilistica che caratterizza I racconti di Canterbury, il secondo film della Trilogia della vita firmata da Pier Paolo Pasolini nei primi anni Settanta. Se per la prima opera l’ispirazione proveniva dal Decamerone di Giovanni Boccaccio e per la terza e ultima dalle novelle arabe raccolte ne Il fiore delle Mille e una notte, il lungometraggio centrale della trilogia attinge direttamente dalla penna del poeta inglese Geoffrey Chaucer per adattare al grande schermo quello che è considerato il suo capolavoro, una raccolta di racconti pervenuta incompleta, scritta dal letterato sul finire del 1300 e ispirata al Decamerone di Boccaccio.
I racconti di Canterbury pasoliniani, premiati con l’Orso d’Oro al Festival di Berlino, mantengono la struttura a episodi del modello letterario ma, a differenza di quest’ultimo, i diversi racconti non sono intervallati dalle voci dei narratori (i pellegrini diretti alla tomba di san Tommaso Becket a Canterbury) e l’unica cornice mantenuta dal regista è incarnata dalla presenza di Chaucer (interpretato dallo stesso Pasolini) che, all’inizio del film, si unisce idealmente ai pellegrini e in seguito è colto all'interno di uno studio mentre scrive i racconti. L’assenza di intermezzi tra un episodio e l’altro rende i passaggi lievemente artificiosi, ma il regista ha preferito questa soluzione stilistica, come attestano i tagli apportati alla prima e più lunga versione del film.
Pasolini sceglie nove delle ventidue novelle firmate da Chaucer, per officiare una celebrazione della vita nelle sue forme più impetuose e istintuali. Così come nelle altre due opere della trilogia, i temi rappresentati, più che trattati, sono il sesso, l’amore e la morte. 


Quest’ultima incombe, con la sua aura sinistra, su quasi tutti gli episodi del film e, nonostante sia spesso cruenta (un uomo accusato di sodomia bruciato vivo su pubblica piazza, un altro impiccato), impersonata dal diavolo (incarnato da un misterioso Franco Citti nell’episodio più surreale e affascinante dell’intero film) o raffigurata in maniera irriverente all’Inferno, appare anch’essa del tutto naturale, genuina, pronta a lasciare spazio ad altra vita e nuovi godimenti (come ben rappresentato nel Racconto della Donna di Bath, dove il funerale del marito è subito seguito dal nuovo matrimonio della vedova, tratteggiato in chiave macchiettistica). 

Molto probabilmente la naturalezza estrema della morte è diretta conseguenza del trionfo della sessualità, autentica protagonista di questa pellicola, che del corpo e delle sue vitalistiche esibizioni tesse un vero e proprio elogio. Per il regista, non c’è peccato nel sesso, né senso di colpa, ma solo sano godimento. 
Questa apologia della corporeità ben si adatta alla scelta di un’ambientazione storica in cui le sofisticate e complicanti sovrastrutture della moderna società dei consumi non trovano spazio. Il Medioevo chauceriano, valorizzato dall’accurata e splendida scenografia di Dante Ferretti e dalle musiche curate da Ennio Morricone (melodiosi e semplici richiami a canzoni popolari inglesi medievali e rinascimentali), è visto da Pasolini come un’epoca che esalta la genuina naturalezza e vitalità del corpo e dei suoi bisogni, non conoscendo i falsi pudori e il viscido moralismo dei benpensanti borghesi. Gli eroi pasoliniani sono contadini, artigiani, gente semplice, umile, magari anche rozza ma autentica, incarnazione di un erotismo potente e liberato. La presenza di tali personaggi allontana da questo film i toni gravi e nichilisti delle opere precedenti e permea I racconti di Canterbury di un’ironia (come nell’omaggio a Charlie Chaplin nel simpatico personaggio interpretato da Ninetto Davoli) e di una leggerezza che costituiscono le cifre distintive anche degli altri due capitoli della trilogia. 

Del resto, come scrive un soddisfatto Chaucer alla fine della pellicola, le novelle sono state raccontate solo per il piacere di raccontarle. Ciò non impedisce al regista di imbastire un richiamo alla critica sociale di cui sono intessuti tutti i suoi lungometraggi e che qui prende le forme della denuncia dell’avarizia che corrompe le coscienze, anche quelle di chi (la Chiesa cattolica) vende promesse di liberazione dal peccato (la pratica delle indulgenze).


Il commento di Pagine corsare

Su alcuni aspetti relativi alle origini letterarie del film, il regista risponderà così in un'intervista: 

"I racconti di Canterbury sono stati scritti quarant'anni dopo il Decameron ma i rapporti tra realismo e dimensione fantastica sono gli stessi, solo Chaucer era più grossolano di Boccaccio; d'altra parte era più moderno, poiché in Inghilterra esisteva già una borghesia, come più tardi nella Spagna di Cervantes. Cioè esiste già una contraddizione: da un lato l'aspetto epico con gli eroi grossolani e pieni di vitalità del Medioevo, dall'altro l'ironia e l'autoironia, fenomeni essenzialmente borghesi e segni di cattiva coscienza". 

All'inizio del film, Chaucer/Pasolini si unisce idealmente ai molti pellegrini diretti all'Abbazia di Canterbury; in seguito Pasolini rappresenterà il narratore che, all'interno di uno studio, penserà e scriverà i racconti. I temi di Canterburysono, come in Decameron, sesso, amore e morte, con un'accentuazione di quest'ultimo: in tutti gli episodi, viene infatti rappresentato un funerale, o un assassinio, o un condannato a morte, o un moribondo. 
Pasolini affronta poi con grande ironia i temi della violenza esercitata dalla ricchezza, e dell'immoralità del potere. La sgradevolezza dei personaggi dei ceti “alti” è messa in particolare risalto da un trucco molto pesante, carico, volgare. Nella gente comune (come al solito Pasolini utilizza attori non professionisti) si ritrovano la stessa gestualità, le stesse espressioni e fisionomie di quelle presentate in Decameron
La musica (curata da Ennio Morricone) si richiama a canzoni popolari inglesi medievali e rinascimentali. Riappare la famosa canzone napoletana Fenesta 'ca lucive (già utilizzata in Decameron) – che parla della morte improvvisa di una giovane donna – quasi a costituire un ulteriore richiamo al tema della morte. 
Una delle regole più rigorose, nei film di Pasolini, è quella di eseguire un doppiaggio integrale.
 

"Il doppiaggio", diceva Pasolini, "deformando la voce, alterando le corrispondenze che legano il timbro, le intonazioni, le inflessioni di una voce, a un viso, a un tipo di comportamento, conferisce un sovrappiù di mistero al film. Con il fatto poi che molto spesso, se si vuole ottenere un rapporto determinato tra suono e immagine, un rapporto di valori preciso, si è costretti a cambiare voce. Detto questo, mi piace elaborare una voce, combinarla con tutti gli altri elementi di una fisionomia, di un comportamento… Amalgamare… Sempre la mia propensione per il pastiche, probabilmente! E… il rifiuto del naturale."

L'edizione italiana dei Racconti di Canterbury fu doppiata in gran parte a Bergamo con le voci di persone scelte nella città e dintorni.
Il tema sessuale sarà uno degli elementi di provocazione del film che verrà subito raccolto dai difensori di un ipocrita senso della morale e del pudore. Le denunce per pornografia e oscenità fioccheranno sul film fin dalla sua apparizione nelle sale di proiezione italiane. In un convegno tenutosi a Bologna in quel periodo sul tema “Erotismo, eversione, merce”, Pasolini fece un lungo intervento, nel quale tra l'altro disse:
 

"Perché io sono giunto all'esasperata libertà di rappresentazione di gesti e atti sessuali, fino, appunto, come dicevo, alla rappresentazione in dettaglio e in primo piano, del sesso? Ho una spiegazione che mi fa comodo e mi sembra giusta, ed è questa. In un momento di profonda crisi culturale (gli ultimi anni Sessanta), che ha fatto (e fa) addirittura pensare alla fine della cultura – che infatti si è ridotta, in concreto, allo scontro, a suo modo grandioso, di due sottoculture: quella della borghesia e quella della contestazione ad essa – mi è sembrato che la sola realtà preservata fosse quella del corpo […] Protagonista dei miei film è stata così la corporalità popolare. Non potevo – e proprio per ragioni stilistiche – non giungere alle estreme conseguenze di questo assunto. Il simbolo della realtà corporea è infatti il corpo nudo: e, in modo ancor più sintetico, il sesso […] I rapporti sessuali mi sono fonte di ispirazione anche di per se stessi, perché in essi vedo un fascino impareggiabile, e la loro importanza nella vita mi pare così alta, assoluta, da valer la pena di dedicarci ben altro che un film. Tutto sommato il mio ultimo cinema è una confessione anche di questo, sia detto chiaramente. E, siccome ogni confessione è anche una sfida, contenuta nel mio cinema è anche una provocazione. Una provocazione su più fronti. Provocazione verso il pubblico borghese e benpensante […] Provocazione verso i critici, i quali, rimuovendo dai miei film il sesso, hanno rimosso il loro contenuto, e li hanno trovati dunque vuoti, non comprendendo che l'ideologia c'era, eccome, ed era proprio lì, nel cazzo enorme sullo schermo, sopra le loro teste che non volevano capire".  

Per la realizzazione del film furono impiegate nove settimane di riprese in Inghilterra e un lungo lavoro di montaggio e di doppiaggio. 


"[…] era un periodo molto particolare, ero molto, molto, molto infelice, non ero adatto per una trilogia nata all'insegna della spensieratezza, dello “stile medio”, del sogno e anche del comico, per quanto astratto.", dichiarò Pasolini. "E forse se non fossi stato così infelice, non mi sarebbe venuto in mente di citare Chaplin così apertamente, con bastoncino e cappello." 


Qui Pasolini si riferisce alla sequenza interpretata da Ninetto Davoli che fa il verso a Charlie Chaplin riproducendone alcune gag famose. Continua il regista: 


"Devo anche dire che il mondo che ho trovato in Inghilterra, quando giravo Canterbury, era molto diverso; a Napoli e nell'Oriente non avevo confini, potevo scatenare intorno a me questo linguaggio della terra, delle cose, dei vulcani, delle palme, delle ortiche e soprattutto della gente. Invece in Inghilterra […] le persone che sceglievo appartenevano a un mondo ormai storicizzato, borghese, e questa costrizione pesava sul mio stato d'animo. È difficile parlare di un film come test di uno stato d'animo, ma comunque ho un rapporto sempre molto passionale con i film che giro. Si tratta di veri e propri amori".



Il Dvd
Il DVD, prodotto dalla Dall’Angelo Pictures e distribuito dalla Sony Pictures Home Entertainment, ha una qualità appena sufficiente. I problemi iniziano già con l’immagine, a tratti sgranata e rovinata da graffiature. I danni apportati dal tempo sono evidenti anche nei colori, meno vividi rispetto all’originale. Neppure l’audio si presenta in condizioni ottimali: una leggera ma fastidiosa gracchiatura si mantiene costante per l’intero film, in particolare quando dai dialoghi si passa alla musica e al canto. Un’altra nota dolente è l’assenza di contenuti extra. Il formato video è disponibile in 1.85:1 e in 16:9. Limitata al target nazionale la scelta della lingua: italiano 1.0 Dolby Digital. Disponibili i sottotitoli in italiano per non udenti.

Il commento di Angela Molteni.





Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi

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