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martedì 28 dicembre 2021

SALÒ o le 120 giornate di Sodoma - Pier Paolo Pasolini

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro 

 

Ho finito per dimenticare com’era l’Italia fino a una decina di anni fa e anche meno, e, poiché non ho altra alternativa, ho finito con l’accettare l’Italia com’è diventata. Una immensa fossa di serpenti, dove, salvo qualche eccezione e alcune misere élites, tutti gli altri sono appunto dei serpenti,
stupidi e feroci, indistinguibili, ambigui, sgradevoli... E tutto ciò a causa, a) del loro degradante consumismo coatto, b) della scuola d’obbligo che li ha frustrati rendendoli coscienti della propria ignoranza e nel tempo stesso presuntuosi per quelle quattro sciocchezze moralistiche e pseudo-
democratiche che vi hanno imparato; c) della televisione, che mostra loro i modelli di vita e concretizza i valori attraverso il suo linguaggio che, essendo pura rappresentazione, non ammette repliche logiche; d) di un’infinità di altre cause tutte

concorrenti e tutte nate dalla stessa matrice
che è il mutamento della natura del Potere economico.... Non resta che adattarsi. E poiché l’adattamento è una sconfitta e la sconfitta rende aggressivi e magari anche un po’ crudeli, ecco Salò, o diciamo pure salaud. Questo film va talmente al di là dei limiti che ciò che dicono sempre di me dovranno poi
esprimerlo in altri termini. E’ un nuovo scatto. Un nuovo regista. Pronto per il mondo moderno... Dopo Salò farò un film che mi sta molto a cuore e quindi mi isolerò nella mia casa di campagna per scrivere il libro della mia vita... Diciamo che metterò fine alla mia carriera cinematografica con Salò e il
prossimo film.


P.P. Pasolini, Autointervista, 
in Le regole di una illusione, 
Roma, Associazione Fondo Pier Paolo Pasolini


SALÒ o le 120 giornate di Sodoma

 
Titolo originale
- Salò o le 120 giornate di Sodoma
Regia - Pier Paolo Pasolini
Soggetto - Pier Paolo Pasolini (da Le 120 giornate di Sodoma del Marchese de Sade e dagli scritti di Roland Barthes e Pierre Klossowski)
Sceneggiatura - Pier Paolo Pasolini, Sergio Citti, Pupi Avati
Produttore
- Alberto Grimaldi
Fotografia - Tonino Delli Colli
Montaggio - Nino Baragli, Tatiana Casini Morigi
Effetti speciali - Alfredo Tiberi
Musiche - Pier Paolo Pasolini, Ennio Morricone
Scenografia - Dante Ferretti
Costumi - Danilo Donati
Genere
- Drammatico
Paese di produzione - Italia, Francia
Anno 1975
Durata 145 minuti
117 minuti (versione rimontata e distribuita)
111 minuti (versione italiana censurata)
Colore - Colore
Audio
- Sonoro

Interpreti e personaggi

Paolo Bonacelli: Il Duca
Giorgio Cataldi: Il Monsignore
Uberto Paolo Quintavalle: L'Eccellenza
Aldo Valletti
: Il Presidente
Caterina Boratto: Signora Castelli
Elsa De Giorgi: Signora Maggi
Hélène Surgère: Signora Vaccari
Sonia Saviange: La Pianista
Marco Lucantoni: I° Vittima (Maschio)
Sergio Fascetti: Vittima (Maschio)
Bruno Musso
: Vittima (Maschio)
Antonio Orlando: Vittima (Maschio)
Claudio Cicchetti: Vittima (Maschio)
Franco Merli: Vittima (Maschio)
Umberto Chessari: Vittima (Maschio)
Lamberto Book: Vittima (Maschio)
Gaspare Di Jenno: Vittima (Maschio)
Giuliana Melis
: Vittima (Femmina)
Faridah Malik: Vittima (Femmina)
Graziella Aniceto: Vittima (Femmina)
Renata Moar: Vittima (Femmina)
Dorit Henke: Vittima (Femmina)
Antiniska Nemour: Vittima (Femmina)
Benedetta Gaetani: Vittima (Femmina)
Olga Andreis
: Vittima (Femmina)
Tatiana Mogilansky: Figlia
Susanna Radaelli: Figlia
Giuliana Orlandi: Figlia
Liana Acquaviva: Figlia
Rinaldo Missaglia: Collaborazionista (Soldato)
Giuseppe Patruno: Collaborazionista (Soldato)
Guido Galletti
: Collaborazionista (Soldato)
Efisio Etzi: Collaborazionista (Soldato)
Claudio Troccoli: Collaborazionista (Repubblichino di leva)
Fabrizio Menichini: Collaborazionista (Repubblichino di leva)
Maurizio Valaguzza: Collaborazionista (Repubblichino
di leva)
Ezio Manni: Collaborazionista (Repubblichino di leva)
Paola Pieracci: Ruffiana
Carla Terlizzi: Ruffiana
Anna Maria Dossena: Ruffiana
Anna Recchimuzzi: Ruffiana
Ines Pellegrini: La serva nera

Doppiatori italiani

Giorgio Caproni
: Il Monsignore
Marco Bellocchio: Il Presidente
Laura Betti: Signora Vaccari

PRIMA PROIEZIONE:
22 novembre 1975: I Festival di Parigi

USCITA NELLE SALE:
10 gennaio 1976: Milano, Cinema Majestic, Nuovo Arti, Ritz.


STORIA:

Film girato dal 3 marzo al 9 maggio 1975 nei teatri di posa di Cinecittà. 
Esterni a Salò, Mantova, Gardelletta. 
Il 26 agosto 1975
dalla Technicolor di Roma furono rubate pizze di negativi di film in lavorazione di Federico Fellini, Damiano Damiani e Pasolini. 
Dal positivo di Salò fu stampato un intermediate negativo a contatto. 
La lunga sequenza girata per i titoli di testa (una festa da ballo di tutta la troupe) non è più rintracciabile. A testimonianza restano solo alcune
fotogafie. 
Proiettato in anteprima al Festival di Parigi il 22 novembre 1975 (Pasolini era morto da tre settimane), il 23 dicembre ottenne il visto per le sale italiane ma tre settimane dopo venne sequestrato e si aprì un procedimento penale contro il produttore Alberto Grimaldi. Fu l’inizio di un’odissea giudiziaria che durò quindici anni: solo nel 1991 venne riconosciuta piena
dignità artistica al film, per altro mantenendo il divieto della visione ai minori di 18 anni. 
Il film è tuttora inedito nelle televisioni in chiaro, mentre per quelle a pagamento, il primo passaggio è avvenuto sul canale Stream il 2 novembre 2000 per i 25 anni della morte di Pasolini.


TRAMA

Il film SALÒ segue la falsariga del romanzo del Marchese de Sade, attraverso la ripetizione infinita del numero magico 4. Quattro "Signori", rappresentanti di tutti i Poteri, il Duca (Paolo Bonacelli, quello nobiliare), il Monsignore (Giorgio Cataldi, quello ecclesiastico), Sua Eccellenza il Presidente della corte d'Appello (Uberto Paolo Quintavalle, quello giudiziario) e il
Presidente Durcet (Aldo Valetti, quello economico), si riuniscono in una villa assieme a quattro Megere ex meretrici, e a una schiera di giovani ragazzi e ragazze, camerati tra i figli dei
partigiani, o partigiani essi stessi, in una sontuosa e cadente villa, isolata dal Mondo dal presidio dei soldati Repubblichini e delle SS.
Nella villa, per centoventi giorni, sarà vigente per tutti un regolamento sottoscritto dai quattro Signori, con il quale essi sono autorizzati a disporre indiscriminatamente e liberamente della vita delle loro giovani vittime, le quali dovranno tenere un comportamento di assoluta obbedienza nei confronti dei Signori e delle loro regole. Ogni insubordinazione o
pratica religiosa, verrà punita con la morte.

Le giornate si svolgono attraverso una struttura infernale dantesca che corrisponde alle quattro parti (un Antinferno e tre Gironi), in cui è diviso il film.
Le tre Megere, nella mansione di narratrici, hanno il compito di raccontare le proprie perversioni sessuali
nella cosiddetta Sala delle Orge, con lo scopo di eccitare i Signori e contemporaneamente di "educare" i ragazzi alla soddisfazione dei loro appetiti sessuali. Le narratrici sono accompagnate al pianoforte da una quarta donna, che ha il compito di estetizzare ulteriormente il loro racconto crudo, pornografico e compiaciuto.

L'Antinferno mostra la sottoscrizione delle regole da parte dei quattro Signori, il loro patto di sangue (ognuno sposa la figlia dell'altro), e la cattura dei giovani repubblichini di leva da parte delle SS, e infine la caccia delle vittime da parte dei repubblichini. Le vittime vengono tradotte poi nell'enorme villa della
Padana, fuori Salò, selezionate e irregimentate dai Signori e i loro orribili galoppini.
I giovani subalterni, maschi e femmine, si dividono così in quattro gruppi: le vittime, i soldati, i collaborazionisti, la servitù.

Il primo girone è il Girone delle Manie. In esso,
guidati dalla Signora Vaccari (Hélène Surgère), i Signori esercitano una serie di sevizie sui corpi nudi o vestiti degli adolescenti, aiutati e rinforzati dai fedeli repubblichini. Tra le molte sevizie, primeggia quella di farli mangiare a quattro zampe, nudi, latranti come dei cani, dagli scampoli di cibo gettati in terra o nelle ciotole, quando alcuni di questi bocconi di cibo sono
riempiti, a sorpresa, di chiodi.

Il Girone della Merda, dalla denominazione fin troppo esplicita, sotto la guida della signora Maggi (EIsa Dé Giorgi), si svolge tutto all'insegna dell'analità, o meglio, dell'oroanalità, dal momento in cui alle sempre più fitte chiacchiere erudite dei signori (che citano a memoria
Klossowski, Baudelaire, Proust e Nietzsche) si aggiunge la scatofagia, coronamento metaforico del film, per cui tutti sono letteralmente obbligati a cibarsi della propria merda, appositamente raccolta durante il giorno.

Il Girone del Sangue mostra I'apice delle efferatezze del film: qui i signori, dopo aver costretto ognuno dei
ragazzi a trasformarsi in delatore nei confronti delle infrazioni altrui, prescelgono le vittime designate allo strazio e accettano i peggiori come collaborazionisti.
In seguito, in un'orgia progressiva di torture, amputazioni, e varie uccisioni rituali, i Signori, aiutati dai loro vecchi e nuovi collaboratori, si prodigano in balletti isterici e atti sessuali necrofili sulle vittime,
portando all'apoteosi il loro sentimento di disprezzo reciproco e del mondo.

Il film ha poi, non preannunciato, un Epilogo. Nel mezzo dell'immane carneficina, due giovanissimi collaborazionisti, annoiati e assuefatti, cambiano canale alla radio d'epoca che trasmette i Carmina Burana di
Orff, e improvvisano maldestramente, sulla canzonetta degli anni Quaranta Son tanto triste , leitmotiv del film, qualche passo di valzer, pronunciando questo dialogo:
"Sai ballare?". "No". Dai, proviamo, Proviamo un po'..." "Come si chiama la tua ragazza?"... "Margherita".
Serafino Murri, Il castoro cinema
 


"Salo' o le 120 giornate di Sodoma"

di Massimiliano Valente e Angela Molteni

"Salo' o le 120 giornate di Sodoma", come e' stato giustamente ribadito nei replay che ti sono giunti, e' ispirato a "Le 120 giornate di Sodoma" di De Sade; e' stato girato nel 1975 ed e' quindi l'ultimo film realizzato da Pasolini prima del suo omicidio all'idroscalo di Ostia. In questa pellicola, a differenza delle precedenti, Pasolini aspira alla perfezione tecnica e stilistica. Se il
"Cinema di poesia" lo ha spinto a richiedere il non professionismo agli attori professionisti, e a preferire attori presi dalla strada, in Salo' si ricerca il massimo del perfezionismo. E' un film, sostanzialmente, di scenografia, dove gli ambienti sono costituiti da stanze vuote, con pochissimi elementi, come per esempio la stanza del Cardinale, ove non c'e' alcun quadro, alcun
tappeto, nulla. Cio' che si ricava e' un'ambientazione cupa, in un contesto freddissimo e raggelante. Il film e' ambientato in una casale di campagna di Salo' e il periodo e' quello della RSI, ma alcuni elementi scenografici sono ripresi da anni precedenti (1925). Pasolini, ripercorrendo le intenzioni di De Sade, ha cercato di dare un carattere dantesco alla struttura del
film dividendola in gironi proprio come il verticalismo teologico di Dante. Con questo film Pasolini affronta il mondo moderno in una luce inedita rispetto alle esperienze del passato; c'e' qui, una drammatica consapevolezza dell'orrore e dell'anarchia del potere, che egli si rifiuta di affrontare in modo realistico per rifuggire in una trasposizione metaforica. La metafora,
quindi, rappresenta l'espediente grazie al quale il poeta-regista riesce a esprimere gli orrori perpetrati dal potere sul corpo umano: 


"la riduzione di questo a cosa, l'annullamento della personalita' dell'uomo". 
Nulla, secondo la visione pasoliniana, e' piu' anarchico del potere arbitrariamente spinto da esigenze puramente economiche che sfuggono ad un sentire comune.
 

"E' un potere che manipola i corpi in modo orribile e che non ha nulla da invidiare alla manipolazione fatta
da Hitler: li manipola trasformando le coscienze, cioe' nel modo peggiore; istituendo dei nuovi valori alienanti e falsi, che sono i valori del consumo; avviene quello che Marx definisce: il genocidio delle culture viventi, reali, precedenti".
 
[P.P. Pasolini] 

Il potere, di per se', e' codificatore e rituale; la ripetitivita' del gesto sodomitico rappresenta, per la sua meccanicita' e la sua inutilita', il paradigma che riassume questa ripetitivita' dell'atto. Per il carnefice si pone, dunque, il problema della ripetitivita' dell'atto in riferimento alla morte, che lo porta a ricerca non una ma cento vittime, perche' altrimenti non potrebbe
ripetersi perdendo, in ultima analisi, il suo potere. Ma nel film c'e' un'altra soluzione, ovvero fingere di ammazzare la vittima, ma in realta' non ucciderla affatto:
 

"il ritorno alla vita diventerebbe una variante perversa, essendo ormai il rito della morte consumato".

I carnefici di Salo', attraverso la manipolazione dei corpi assumono la potenza di dei in terra, cioe' il loro modello e' sempre Dio.


DIALOGHI ESTRATTI DALLA SCENEGGIATURA 


BLANGIS: 

"Il gesto sodomitico e' il piu' assoluto per quanto contiene di mortale per la specie umana, il piu' ambiguo, per questo accetta, allo scopo di trasgredirle, le norme sociali, e' infine il piu' scandaloso, perche' pur essendo il simulacro dell'atto generativo, ne e' la totale derisione"

BLANGIS:
 

"Il gesto sodomita ha il grande vantaggio di poter essere ripetuto centinaia di volte. Come lei ben sa, Monsignore, la reiterazione, e' indispensabile perche' il morto rinasce a livello della mostruosita'"

BLANGIS: 
"... noi tutti siamo d'accordo che il giorno del giudizio, Dio, rimproverera' i virtuosi in questi termini: - Allorche' avete visto che sulla terra tutto era vizioso e criminale, perche' vi siete persi sulla strada della virtu'? Le perpetue sciagure che io, Dio, seminavo sull'universo, dovevano convincervi che io amavo unicamente il disordine e che per piacermi, non era
necessario farmi irritare, dato che ogni giorno io, Dio, vi davo esempio della distruzione; perche' allora voi non distruggevate? Imbecilli, perche' voi non distruggevate?"
 

CURVAL: 
"Dunque noi non riusciamo mai a liberarci del modello
di dio? La cosa comincia a preoccuparmi, dopotutto, quando ognuno di noi fa dei corpi delle sue vittime cio' che vuole, egli non e' che Dio in terra!"
 

BLANGIS: 
"Si tranquillizzi, Eccellenza, e' vero che noi tendiamo a identificarci fatalmente in modo parossistico e un poco
fasullo col presunto rappresentante dell'ordine, cioe' con Dio, e cio' e' seccante, ma dopo aver meditato a lungo sono giunto ad una conclusione liberatrice: basta sostituire la parola DIO con la parola POTERE, cosi' tutto rientra perfettamente nel programma che ci siamo prefissi"
 

CURVALE: 

"Ma Dio non equivale forse a potere?" 

BLANGIS: 
"Si', ma per coloro che credono che il potere sia appunto ordine". 

CURVAL: 

"Ma scusi, noi, non siamo forse la dimostrazione vivente di che e' realmente il Potere? L'unica vera, grande, assoluta Anarchia, e' quella del potere. Infatti noi, qualsiasi cosa ci venga in mente, la piu' folle ed inaudita, la piu' priva di senso, possiamo scriverla in  questo quadernetto, ed essa diviene immediatamente
legale; se poi saltasse in mente di cancellarla, essa diverrebbe immediatamente illegale. Le leggi del Potere, non fanno altro che sancire questo potere anarchico,... e cio' vale per qualsiasi potere".
 

CURVAL: 
"La vostra idea e' quella che si dice "un uovo di
Colombo" e mi trova del tutto consenziente, quanto poi alle altre forme di potere, quelle cosi' dette democratiche o tolleranti, non esiterei a rincarare la dose: infatti la' dove tutto e' proibito, in realta' si puo' fare tutto, mentre la' dove si puo' fare qualche cosa, si puo' fare solo quel qualcosa". 


Per l'aspetto musicale riporto una precisa interpretazione di Angela Molteni: 


""Il mio principale apporto a questa sceneggiatura", disse Pasolini rispondendo alle domande di un intervistatore della televisione svizzera a proposito della trasposizione filmica delle Centoventi giornate di
Sodoma di De Sade, "è consistito nel dare alla sceneggiatura una struttura di carattere dantesco che probabilmente era già nell'idea di De Sade, cioè ho diviso la sceneggiatura in gironi, ho dato alla sceneggiatura questa specie di verticalità e di ordine di carattere dantesco. Ma mentre lavoravamo a questa sceneggiatura, Sergio Citti [collaboratore alla
sceneggiatura insieme a Pupi Avati] man mano si disamorava perché gli era giunta un'altra idea, l'idea di un altro film e io invece pian piano me ne innamoravo definitivamente quando è avvenuta questa illuminazione, quando cioè è venuta l'idea di trasporre De Sade nel '44, a Salò." (23) Durante gran parte del film una pianista, in apparenza completamente assente
da quanto sta accadendo attorno a lei, esegue come un'automa canzoni degli anni Trenta, qualche motivo di regime, alcuni Valzer e Preludi di Chopin, a rappresentare con il commento sonoro, oltre all'ambiente e al momento storico, la decadenza, il disfacimento di quell'epoca di massima espansione della dittatura, della repressione, della nefasta guerra
fascista. Quando, dopo inenarrabili torture commesse su giovani tenuti come schiavi in una tetra villa di Salò, avverranno nei confronti degli stessi ragazzi e ragazze i primi crudeli omicidi, anche la pianista apparentemente estraniata, robotizzata, non reggerà allo strazio e al disgusto e si suiciderà. Sarà in questo stesso momento del film che, anche musicalmente, si avrà la percezione
"infernale" di ciò che sta accadendo, con alcune introduzioni accordali e canti dai Carmina Burana di Carl Orff, una composizione del 1936 che raccoglie antichi canti medievali e li rielabora unendo arcaico e moderno, musica colta e popolare con soluzioni antiche e attuali. (I contenuti dei Carmina Burana sono vari: accanto a canzoni sulla primavera, l'amore, le gioie del sesso e della tavola vi si trovano poesie satirico-moraleggianti che lamentano la perversione del mondo, la decadenza dei costumi e degli studi, la malvagità del clero e del potere, lo strapotere del denaro)."

 


@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

Grazie per aver visitato il mio blog

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