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giovedì 7 agosto 2014

Pasolini e Calvino - Calvino e la parola-imago

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


 
 

QUADERNI DEL LICEO SCIENTIFICO STATALE
“GALILEO GALILEI”
numero 2
Sentieri letterari del Novecento
Relazioni su temi di Letteratura italiana
a cura di
Lina D’Andrea
PROVINCIA DI PERUGIA

Calvino e la parola-imago

Sono due le posizioni critiche che Calvino assume nel suo iter di formazione letteraria. La prima è riassumibile nella presentazione di Una pietra sopra del 1980 cui espone il suo progetto per una letteratura utile alla “ricostruzione”:

In questo volume ho messo insieme scritti che contengono dichiarazioni di poetica, tracciati di rotta da seguire, bilanci critici, sistemazioni complessive del passato e presente e futuro, quali sono andato successivamente elaborando e mettendo da parte durante gli ultimi venticinque anni. […] L’ambizione giovanile da cui ho preso le mosse è stata quella del progetto di costruzione d’una nuova letteratura che a sua volta servisse alla costruzione d’una nuova società. […] Certo il mondo che ho oggi sotto gli
occhi non potrebbe essere più opposto all’immagine che quelle buone intenzioni costruttive proiettavano sul futuro. La società si manifesta come collasso, come frana, come cancrena. […](11)

Subentra, nel successivo processo di delusione, disillusione e disincanto un atteggiamento di distacco dall’attualità, come affermato nella lettera a Pasolini e come già annuncia in questa presentazione. Il discorso sembrerebbe concluso con l’atteggiamento di aristocratico e addolorato ritiro nella torre eburnea della scrittura se non ci fosse un testamento morale di fedeltà alla letteratura, unica e privilegiata depositaria di valori utili per il nuovo millennio.

La mia fiducia nella Letteratura consiste nel sapere che ci sono cose che solo la Letteratura può dare coi suoi mezzi specifici. Vorrei dunque dedicare queste mie conferenze ad alcuni valori o qualità o specificità della letteratura che mi stanno particolarmente a cuore, cercando di situarle nella prospettiva del secondo millennio.(12)

Questa premessa allude ai six memos, ai sei “appunti” - categorie di valori, rappresentati da classici individuati all’interno delle sei categorie. Perché si esprime attraverso i classici rivisitati e non attraverso un romanzo? Ce lo spiega lo stesso autore in

Perché leggere i classici:(13)

I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: “Sto rileggendo...” e mai “Sto leggendo...” […] I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume). [...] Un classico è un’opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso. [...] Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dell’universo, al pari degli antichi talismani. [...] Il “tuo” classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui. [...] Un classico è un libro che viene prima di altri classici, ma chi ha letto prima gli altri e poi legge quello, riconosce subito il suo posto nella genealogia. [...] E’ classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno. [...] E’ classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona.

Cambio di rotta? Maturazione della persona-autore in anni di formazione anche esperenziale? La risposta possiamo trovarla in una formula indicata dallo stesso Calvino già nel 1959: mimesi attiva della negatività che risponde in questo modo alla sfida dei mutamenti sociali, negativamente manifestatisi, con l’imitazione della stessa negatività in forma attiva e con la conseguente tensione all’attenzione costante per immaginazione e linguaggio. Calvino risponde con la crisi personale alla crisi etica della società che ai suoi occhi si manifestava come collasso, come frana, come cancrena e alla quale negli ultimi anni oppone la letteratura, intesa soprattutto come letteratura di valori trasmessi, attraverso i classici di ogni tempo, dalla forza immaginativa della parola-imago nell’intento di comunicazione immediata che la scrittura stabilisce quando evoca nella nostra mente immagini visive secondo la vocazione propria del linguaggio scritto. Ecco allora apparire la fiducia anche nell’uomo non solo destinatario, ma soprattutto decodificatore in comunicazione con la letteratura come universo dei segni. La parola acquista il suo senso enfatico-religioso nella comunicazione cosmica e nella possibilità combinatoria di questi segni, sia all’interno della parola stessa, sia nella combinazione di una espressione scritta. Quando leggiamo la nostra mente avvia un processo di successione di immagini che ci mettono in sintonia con l’autore e questo processo, apparentemente così scontato, avviene per la forza rappresentativa della parola scritta nella sua funzione di imago, di immagine che utilizza e sviluppa la nostra facoltà immaginativa. Le due immagini, quella scritta e quella immaginata entrano magicamente in sintonia e si attiva quello che Calvino chiama cinema mentale dell’immaginazione. Nel capitolo dedicato alla Visibilità si chiede anche quale sia l’origine di queste immagini che cadono nella nostra fantasia, anzi, come ricorda sempre Calvino, Dante per riferirsi a questo meccanismo, usa l’espressione, essa stessa di forte impatto immaginativo, Poi piovve dentro a l’alta fantasia.
Il nostro autore, nel descrivere il suo percorso ideativo, conclude che il processo in vari modi spiegato si riferisce comunque ad un processo intangibile legato alla ispirazione divina, all’inconscio individuale o collettivo e che quindi l’immaginazione è o strumento di conoscenza o identificazione con l’anima del mondo. La sua razionalità non può escludere la prima ipotesi, ma è forte la tentazione per la seconda ipotesi alla fine così rielaborata nelle conclusioni per una spiegazione della parte visuale dell’immaginazione letteraria.

Diciamo che diversi elementi concorrono a formare la parte visuale dell’immaginazione letteraria: l’osservazione diretta del mondo reale, la trasfigurazione fantasmatica e onirica, il mondo figurativo trasmesso dalla cultura ai suoi vari livelli, e un processo d’astrazione, condensazione e interiorizzazione dell’esperienza sensibile, d’importanza decisiva tanto nella visualizzazione quanto nella verbalizzazione del pensiero.(14)

Alla fine di tutto rimane il pensiero che appartiene all’uomo anche oltre l’uomo come vorrebbe Asor Rosa nel suo interessante saggio Calvino e la narrativa strutturale(15) in cui afferma che oltre le strutture mentali Calvino scopre la contemplazione dell’essere: quello che sta prima (o dopo) che l’uomo con la sua infaticabile e inesauribile attività disgiuntiva e associativa, lo abbia sistemato, catalogato, neutralizzato in sistemi logici ed espressivi. […]Oltre il pensiero c’è l’essere e con l’essere c’è la fine dell’essere e con la fine dell’essere c’è la fine del pensiero, della parola, del segno, delle forme, ecc...; ossia la contemplazione, lucida e disincantata, del limite insuperabile di ogni conoscenza umana, anche la più raffinata e profonda. Ma siamo sicuri che la via della conoscenza sia limitata dalla morte? Se si vuole davvero credere nella forza e nella potenza della parola evocatrice di immagini possiamo anche credere che esista un meccanismo di sovrapposizione di immagini che va oltre le singole vite e costituisca, come afferma Starobinski ne L’impero dell’immaginario(16), l’anima del mondo che viene guardato dall’alto come fa il Barone rampante.
A quest’anima in senso laicamente religioso, è affidata la sopravvivenza della parola-imago, una parola che non nasce e non muore, ma che si è radicata in questa anima cosmica e vive sempre con tutti e per tutti. Calvino credeva in questa eternità della parola scritta, aveva almeno questa di inconsapevole e scomoda credenza che testimoniava in qualche modo l’eternità almeno di un’anima, quella cosmica. Negare tutto questo avrebbe determinato togliere la vita alla parola scritta, ad un sistema di segni che si combina in un numero infinito di soluzioni: per questo la conoscenza non può essere limitata alla vita del singolo, ma si alimenta della continuità delle conoscenze in una catena infinita.
Alla fine Calvino avrebbe potuto affermare, se solo lo avesse voluto: “Io credo nella parola di chi scrive Storie di carta e d’inchiostro perché mi fa credere nell’eternità”.



11 I. Calvino Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Torino, Einaudi, 1980, Collana “Gli Struzzi”.
12 I. Calvino, Lezioni americane, Introduzione, Mondadori Milano, 1993
13 I. Calvino Perché leggere i classici, con prefazione di Esther Calvino, Milano, Arnoldo Mondadori, 1991, pp. 5-13
14 I. Calvino, Lezioni americane, op. cit., p. 106
15 A. Asor Rosa, op. cit., pp. 471-472
16 J. Starobinski in La relation critique, Gallimard, 1970



@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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