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sabato 5 luglio 2014

Pasolini in Friuli - Quarta Parte

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Pasolini in Friuli:


1° parte
2° parte
3° parte
4° parte
5° parte
6° parte
7° parte
8° parte

Se, dunque, il luogo da cui partire per riscoprire una civiltà è quello abitato da «uomini ingenui», ecco spiegata la scelta di Casarsa: quale modo dunque più immediato per raccontare le origini di una civiltà, partendo da luoghi, focolari, foglie, acque, volti che cantano, o meglio gridano le sue origini?


A questo punto non possiamo non chiederci perché Pasolini elegga proprio Casarsa come luogo del suo esordio poetico. La sua tensione nello scrivere è volta ad un progetto che va al di là della semplice ambizione, ma che è coscienza di una missione poetica che abbraccerà tutta la vita.
Da Bologna, nell'autunno del 1940, invia a Franco Farolfi il primo «capitoletto di un breve trattatello»: “Noi non vogliamo, amici, porci nel novero di chi vive nell'esilio decretato dagli efebi. (...) Noi non siamo il fantasioso poeta che si accontenta della realtà degli uomini come egli è uso nei suoi sogni mutarla. Questo fantasioso poeta fa come il falso uomo che musica ascolta, e la pensa come pretesto al proprio pigro sogno. Ma noi non siamo come il fantasioso poeta che si umilia, accontentandosi della realtà mutata in idea (...)” (34).
Questo è solo il "timido" dischiudersi della percezione del desiderio di autenticità che Pasolini voleva attribuire alla sua poetica. Solo un'intuizione di quella che qualche anno più tardi sarà la certezza di un «contributo» reale e «necessario» che la sua generazione di poeti poteva dare alla storia: riedificare una civiltà.
“Del resto la genesi di una civiltà nasce da profonde ragioni umane, e poi pratiche-economiche; e il contributo che noi letterati potremo arrecare (...) ci riguarda soprattutto come uomini «che hanno e che sanno», e se ora (...) si avverte una mancanza di una matura e alta civiltà che ci raccolga, noi, questa civiltà, la potremo ritrovare risalendo alle sue origini lontane e immutabili (...). La potremo ritrovare (...), muovendoci nello stretto cerchio che una vita familiare ci riserba, all'ombra del nostro focolare, sotto le foglie dei nostri orti, tra i gesti, che da secoli non mutano, degli uomini ingenui”. (35)
Se, dunque, il luogo da cui partire per riscoprire una civiltà è quello abitato da «uomini ingenui», ecco spiegata la scelta di Casarsa: quale modo dunque più immediato per raccontare le origini di una civiltà, partendo da luoghi, focolari, foglie, acque, volti che cantano, o meglio gridano le sue origini?

“(...) Jo i nas
ta l'odòur che la ploja
a suspira tai pras
di erba viva ... I nas
tal spieli da la roja.

In chel spieli Ciasarsa
- come i pras di rosada -
di timp antic a trima”. (36) 

Mosso da un desiderio di autenticità, dal desiderio di risalire al mistero profondo delle cose e soprattutto del suo essere, Pasolini, nell'eleggere Casarsa, elegge anche la lingua della sua gente.
“Io scrissi i primi versi in friulano a Bologna, senza conoscere neanche un poeta in questa lingua, e leggendo invece abbondantemente i provenzali. Allora per me il friulano fu un linguaggio che non aveva nessun rapporto che non fosse fantastico col Friuli e con qualsiasi altro luogo della terra (...)”. (37)



Pasolini sente la necessità di rendere grafica quella parola che fino a quel momento aveva solo sentito vibrare nell'aria, tra i vicoli del paese materno. Comincia così a comporre i primi versi in friulano, nelle sue mani il casarsese diventa poesia: «una poesia che viene dall'anima di un popolo e della sua parlata».


Pasolini si avvicina alla lingua friulana, a quella varietà casarsese ascoltando i suoi compagni di gioco, i suoi vicini di casa, e rimane subito suggestionato dalla «ruvida musicalità del friulano» (38), da quelle vocali aperte, dalle sibilanti e dalle altre inflessioni caratteristiche che danno una "collocazione romanza" alla parlata casarsese. Da buon studente universitario di filologia romanza, riesce ad accostare i familiari suoni del friulano alla tradizione provenzale delle origini. Non è a caso, infatti, che, in esergo al libretto Poesie a Casarsa che pubblicherà più tardi, cita un verso di Peire Vidal:

Ab l’alen tir vas me l'aire
Qu'eu sen venir de Proensa:
Tot quant es de lai m'agensa
”. (39)

Dai versi di Peire Vidal, oltre che un canto di lode alla Provenza, traspare un'acuta nostalgia per la propria terra.

"(...) l'intenzione di Pasolini è di dichiarare, alla base della propria dichiarazione poetica, un'operazione analogica. Il Friuli descritto in queste pagine è una "Provenza dello spirito"; e quest'epigrafe in provenzale simboleggia certo il rapporto del poeta con la propria terra (...)”. (40)

Ma il fascino per la lingua di Casarsa, nasceva anche dalla scoperta di vedere rappresentata graficamente, per la prima volta, una parola che prima era vissuta solo in una dimensione orale. Ci sia consentito ripercorrere, con il racconto fatto dallo stesso Pasolini, il dischiudersi di questa scoperta come l'avvenimento della parola.

In una mattina dell'estate del 1941 io stavo sul poggiolo esterno di legno della casa di mia madre. Il sole dolce e forte del Friuli batteva su tutto quel caro materiale rustico... su quel poggiolo o stavo disegnando (...), oppure scrivendo versi. Quando risuonò la parola ROSADA.
Era Livio, un ragazzo dei vicini oltre la strada, i Socolari, a parlare. Un ragazzo alto, d'ossa grosse... proprio un contadino di quelle parti... ma gentile e timido come lo sono certi figli di famiglie ricche, pieno di delicatezza. Poiché i contadini, si sa, lo dice Lenin, sono dei piccoli-borghesi, tuttavia Livio parlava certo di cose piccole ed innocenti. La parola ROSADA non era che una punta espressiva della sua vivacità orale. Certamente quella parola, in tutti i secoli del suo uso nel Friuli che si stende al di qua del Tagliamento non era mai stata scritta. Era stata sempre e solamente un suono. Qualunque cosa quella mattina io stessi facendo, dipingendo o scrivendo, certo mi interruppi subito. (...) E scrissi subito dei versi, in quella parlata friulana della destra del Tagliamento, che fino a quel momento era stata solo un insieme di suoni: cominciai per prima cosa col rendere grafica la parola ROSADA
”. (41)

Pasolini sente la necessità di rendere grafica quella parola che fino a quel momento aveva solo sentito vibrare nell'aria, tra i vicoli del paese materno. Comincia così a comporre i primi versi in friulano, nelle sue mani il casarsese diventa poesia: «una poesia che viene dall'anima di un popolo e della sua parlata». (42) Una poesia che riproduce i suoni di quei luoghi attraverso «una lingua più vicina al mondo» (43), «anteriore e infinitamente più pura», (44) il casarsese, che «riporta Pasolini alla madre e alla terra con viscerale insistenza».(45)

Prima che io esistessi che ne era di me, se ora sono così infinito?(...) Ma c'è in noi qualcosa di «solido» che mi sfugge. Mistero, si dice, eterno, ombra, vuoto.. .”. (46)

Ci sembra che il ritorno ad una lingua più vicina al mondo risponda a quell'urgenza nostalgica di "solida" ed autentica originarietà: la ricerca di ciò che Pasolini chiamerà «ossessione dell'identità». (47)

“(...) nostalgia di chi viva - e lo sappia - in una civiltà giunta ad una crisi linguistica, al desolato, e violento, «je ne sais plus parler», rimbaudiano”. (48)

Alla luce di questo, ci sembra che la sua "poesia" non nasca da un trasporto sentimentale da adolescente, né da una svenevole malinconia. I suoi versi si iscriverebbero piuttosto all'ombra della definizione che Heidegger dà della nostalgia: «dolore per la prossimità del lontano». (49)


NOTE

34. In PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p.16.
35. Filologia e morale, in «Architrave», Bologna, n. III, l dicembre1942,ora in P.P. PASOLINI, Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori, Milano 1999, p. 16.
36. O me donzel, in P. P. PASOLINI, Tutte le poesie, tomo I, cit., p.13. Trad.: "Nasco / nell'odore / che la pioggia / sospira dai prati / di erba viva... Nasco / nello specchio della roggia. / In quello specchio Casarsa / - come i prati di rugiada - / trema di tempo antico".
37. Lettera dal Friuli, in «La Fiera Letteraria», 29 agosto 1946; ora in P. P. PASOLINI, Un paese di temporali e di primule, cit., p. 211.
38. Cfr. ROBERTA CORTELLA, Percorsi romanzi nell'opera di Pier Paolo Pasolini, Edizioni concordia Sette, Pordenone 1998, p. 23.
39. Cfr. P. P. PASOLINI, Tutte le poesie, tomo I, cit., p. 3. Trad.: "Aspiro col respiro l'aere / che sento venire di Provenza / mi piace tutto quanto proviene da questo paese". Per la traduzione cfr. CAVALIERE A., Cento liriche provenzali, Zanichelli, Bologna 1938, p. 161.
40. Cfr. FRANCESCA CADEL, Dalla lingua al dialetto. Gli esordi poetici di Pasolini tra Bologna e Casarsa, in AA.VV., Ciasarsa, a cura Franco Ellero, Società Filologica Friulana, Udine 1995, p. 346.
41. Cfr. P. P. PASOLINI, Empirismo eretico, Garzanti, Milano 1972, p. 62.
42. ROBERTA CORTELLA, Percorsi romanzi nell'opera di Pier Paolo Pasolini, cit., p. 24.
43. Cfr. Passione e ideologia, P. P. PASOLINI, Garzanti, Milano 1960, p. 133.
44. Cfr. ibid, p. 133.
45. ROBERTA CORTELLA, Percorsi romanzi nell'opera di Pier Paolo Pasolini, cit., p. 25.
46. Penso ai mondi metafisici, «Libertà» 17 marzo 1946; ora in P. P. PASOLINI, Saggi sulla letteratura e sull'arte, Mondadori, Milano 1999, p. 150.
47. Cfr. P. P. PASOLINI, Petrolio, Einaudi, Torino 1992.
48. Trad. “Io non so più parlare”. Il Friuli, in P. P. PASOLINI, Passione e ideologia, cit., p. 124.
49. Cfr. Canto e discorso nella poesia di Pasolini, di Stefano Agosti, in P. P. PASOLINI, «Una vita futura», "Fondo Pasolini", Garzanti Editore, Milano 1985, p. 83. Nostalgia, infatti, indica appunto il dolore (àlgos) per la lontananza dalla casa e che, nello stesso tempo, vi accompagna il ritorno (nòstos). Tale è il senso dell'etimo tedesco rintracciato da Heidegger nella parola Un-heimlichkeit.

Autore: Chieco, Mariella
Curatore: Leonardi, Enrico


Curatore, Bruno Esposito

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